Un Ken Follett a Tangentopoli

Un Ken Follett q Tangentopoli Un Ken Follett q Tangentopoli Gigi Bisignani, tra romanzi e mazzette I «GRANDI INQUINATORI» SONO assetati di vendetta. Disperati- -per aver- perso privilegi e potere. Prónti a tutto-pur di-rovesciaré-il corso della storia. E possono contare su alleati pericolosi e senza scrupoli». Chi sono? Sono forse gli uomini della nomenklatura italiana, i più longevi al mondo, costretti adesso ad arretrare dall'incalzare di «Mani pulite»? Sono forse gli Andreotti, i Craxi, i Gava, i Pomicino? Sono la mafia e quelle misteriose «schegge» impazzite di servizi segreti che mettono le bombe sui portali delle basiliche, sotto l'appartamento del cardinal Ruini? No, non siamo in Italia, ma nell'Est europeo, tra i protagonisti di «Nostra signora del Kgb», il romanzo edito da Rusconi che, sullo sfondo del crollo del comunismo, conduce il Ken Follett italiano, in un magnifico intreccio spionistico, sulle orme di Jean Korek, un dissidente polacco che ha dedicato la sua vita a un sogno: la verità. Un sogno insidiato dalle nefandezze del vecchio apparato di regime, che non si è arreso e vuole, con ogni mezzo, la restaurazione. Il Ken Follett italiano - come una volta lo definì un giornale - è Luigi Bisignani, simpatico giornalista oggi quarantenne e, soprattutto, ultimo latitante, da sessanta ore, dell'inchiesta «Mani pulite». Pare che, nella sua veste di direttore delle pubbliche relazioni del gruppo Ferruzzi e di cervello pensante dell'ultimo boss Carlo Sama, abbia consegnato un mazzettone di origine Enimont all'ex ministro Paolo Cirino Pomicino. Ma il giudice Gherardo Colombo, rimasto a presidiare l'inchiesta nel canicolare Palazzo di giustizia milanese, lo valuta ben di più. Lo colloca di diritto nella schiera degli «inquinatori» della Repubblica, quel gruppetto di uomini defilati, quasi sconosciuti ma potentissimi, che hanno partecipato programmaticamente a inquinare l'ultimo decennio, almeno, della nostra vita democratica. Possibile che un giovanotto quarantenne con il volto infantile come Gigi Bisignani, oscuro redattorino dell'Ansa che tenta la fortuna con romanzoni politi co-spionistici per i quali si dice che si serva di un fenomenale ghost writer, sia così importante nelle gesta del regime prima im perante e poi morente, come mo stra di pensare il giudice Colombo? Non siamo capaci, onestamente, di anticiparvi una rispo sta, possiamo soltanto rico struirvi con qualche cognizione la storia di Gigi, un prodotto tipico del sottobosco della politica romana. Avete presente Carlo Sama, quel ragazzone altissimo e leg germente bolso, fasciato in dop e, con la rapidità di un furetto, si adegua. Figlio di un importante dirigente della Pirelli, per molti anni in Argentina, riceve alla morte del genitore una discreta eredità finanziaria, ma soprattutto una cospicua eredità di relazioni politiche e, a quanto pare, massoniche. Fatto sta che, quando all'inizio degli Anni 80 un governo Forlani rende nota la Usta degli aderenti alla loggia P2 sequestrata a Castiglion Fibocchi, Gigi, appena ventiseienne, vi compare non come un qualunque affiliato, ma come un generale capo di stato maggiore. Un reclutatore e soprattutto un consigliere assai ascoltato di Lido Gelli, cui tutti i giorni fornisce una sorta di «Mattinale» in aggiunta a quelli un po' ottusi che il venerabile Gran Maestro riceve dai capi dei servizi segreti deviati. Per capire l'opinione del giudice Colombo e l'importanza che attribuisce a questo latitante dalla faccia infantile, saltiamo per un momento un intero decennio e arriviamo alla fine degli Anni Ottanta, quando Giulio Andreotti torna a Palazzo Chigi e fa un'epurazione antidemitiana. Lo scalpitante Bisignani, che nell'eredità paterna aveva trovato anche una relazione seria con Andreotti, licenzia l'ultimo libro partorito nel periodo di punizione, che lo aveva visto confinato al turno di notte al «Traffico)! dell'Ansa, liquida il suo ghost writer, dismette i panni del Ken Follett italiano e si trasferisce in un lussuoso ufficio in un palazzo nobiliare di piazza Fontanella Borghese. All'attico dello stesso palazzo, con una piscina per idromassaggio in terrazza, c'è Lamberto Dini, direttore generale della Banca d'Italia pronto a scalare il governatorato appena Carlo Azeglio Ciampi lascerà. Quando Ciampi sarà nominato presidente del Consiglio brinderanno a champagne col buon Carletto Sama, che intanto si trova con 30 mila miliardi di debiti occulti. A fianco c'è Ovidio Lefebvre D'Ovidio, con una porticina che mette in comunicazione lo studio del Ken Follett italiano e quello del protagonista dello scandalo Lockheed, un mazzettone Anni Settanta che portò in galera l'ex ministro della Difesa e segretario del partito socialdemocratico Mario Tanassi. Che c'entra il giovane Bisignani con Lefebvre? C'entra, perché lui e il figlio di Ovidio, che fa il finanziere, hanno sposato due sorelle. In quei due studi adiacenti, dal 1990 al 1992 passano tutti, o almeno tutti quelli che vogliono mia presentazione per piazza San Lorenzo in Lucina, l'mdirizzo lì a due passi dove Andreotti riceve gli amici degli amici. E poi si riuniscono gli artefici dei destini d'Italia: comandanti dei carabinieri, alti graduati della Guardia di finanza, capi dei servizi, il direttore della Banca d'Italia, il professor Joseph La Palombara, autorevole consulente d'Oltreoceano, portatore del verbo di chi Yintelligence la sa fare. Forse oggi il buon Sama maledirà quel giorno, maledirà il giorno in cui mise piede in quello studio di piazza Fontanella Borghese. Ma quando la scissione Enimont fu compiuta, con quei 2805 miliardi versati dallo Stato, il piccolo Ken Follett italiano giganteggiava, sembrava possedere tutte le chiavi della politica, deiramministrazione, della polizia, delle banche,, dei servizi segreti. Come fare a meno di lui, che tanto si era adoperato per un esito finanziariamente dignitoso dell'affare Enimont? E poi chi, se non lui, poteva aprire al ragazzone ravennate le porte del grande potere romano, dei salotti che contano, dello studio di piazza in Lucina, delle sedi istituzionali, delle banche andreottiane unificate dal carissimo amico Cesare Geronzi? . » Ken Folleit, quello vero, a questo punto farebbe forse un flash back. Tornerebbe a Gigi poco più che ventenne, che fa già il baby- lobbista. Ricordate il caso EniPetromin? Gelli, Ortolani, Signorile, Mazzanti, Andreotti, Tassan Din, Angelo Rizzoli, Formica, Di Donna, la conquista del Corriere della Sera. Di quelle vecchie vicende (100 miliardi e passa di tangenti che dovevano servire soprattutto alla riconquista del psi craxiano uscito dal Midas) il piccolo Ken sa tutto, perché lui vegliava sugli eventi non solo come segretario generale di Lido Gelli, ma anche come segretario tuttofare di Gaetano Stammati, ex Ragioniere generale dello Stato ed ex presidente della Banca Commerciale Italiana, portato da Andreotti a responsabilità di governo: prima al Commercio estero, poi al Tesoro. I suicidi hanno segnato questa stagione, con le morti violente di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, ma c'è un altro tentato suicidio del tutto dimenticato, proprio quello del professor Gaetano Stammati, grand commis dello Stato tutto d'un pezzo, condotto per i sentieri della corruzione politica e autore di un tentato suicidio che i servizi cercarono di far passare nelle voci di corridoio come il finale tragico di una notte di passione sessuale senile. Sull'esperienza di Stammati al ministero del Commercio estero esiste - ne siamo certi - un diario. Dov'è finito? Bisignani, che probabilmente ne fu l'estensore materiale nonostante la sua modesta dimestichezza con la lingua italiana, ne conserva una copia? Con la moglie e con i suoi quattro figli, il Ken Follett italiano vive in una casa a Monte Mario costruita da uno dei Caltagirone. Ma non i Caltagirone storici, Gaetano e Francesco, vecchi amici di Andreotti, sempre interessato all'edilizia palazzinara, i Caltagirone di nuova generazione, più avvertiti, più cauti, meno propensi a esporsi in quell'ansia di comparire propria del «Generane». Anche dei vecchi Caltagirone, quelli che dicevano a Evangelisti «A Fra' che te serve?», ormai gravitanti tra Montecarlo e Central Park, Gigi sa qualcosa, come di Sindona, non foss'altro che per i fascicoli gel- liani che, con certosina pazienza, ha provveduto a suo tempo ad archiviare. Il Ken Follett italiano latita, con scorno del dottor Colombo che - immaginiamo - vorrebbe chiedergli non solo e non tanto del mazzettone Enimont, di cui sa già quasi tutto, quanto della gestione dei rapporti andreottiani con Nobili e Cagliari, ma soprattutto dei tentativi di far aprire l'inchiesta alla procura di Roma invece che a quella di Milano, seguendo uno schema che tanto successo ebbe nella vicenda dei fondi neri dell'Ili gestiti da Ettore Bernabei. Gigi Bisignani ha un fratello che è un bravissimo manager. Si è occupato con Prodi del settore Estero dell'Ili e adesso è amministratore delegato dell'Alitalia, la compagnia di bandiera. Non sappiamo come sia arrivato a quel posto, se per decisione manageriale o politica, ma l'ha occupato con passione e con determinazione, in un periodo difficile. Non vorremmo che oggi la la titanza del giovane Ken, suo fra tello, lo penalizzasse oltremisura: nessuno è respon sabile per le colpe dei padri o dei fratelli. «Il vecchio apparato di regime - scrive Gigi-Ken nel suo ultimo romanzo - è ben lontano dall'es sersi arreso. E prepara la sua ri vincita d'accordo con le frange più irriducibili e spietate dei vec chi servizi segreti. Insieme com plottano, a Bucarest, a Praga, a Berlino, a Budapest, a Mosca. Un complotto che non si arresta nemmeno dinanzi alle mura dei palazzi vaticani. Obiettivo: la re staurazione. Per raggiungerlo, nessuno scrupolo e una via oh bligata: la destabilizzazione, co sti quel che costi». Vi sembra strano che il giudice Gherardo Colombo, quando si at taccano persino le mura dei palazzi vaticani, voglia ascoltare al più presto gli «mquinatori» e, in particolare, Gigi-Ken Bisignani, giovane giornalista dell'Ansa dalla grammatica incerta ma dal passato certo? Alberto Staterà . . Una carriera «andreottiana» Da giornalista a collaboratore di Carlo Sama a eminenza grigia nell'affare Enimont Il latitante di Mani pulite ancora giovanissimo era «colonnello» nella P2 e segretario di Gelli pipetti stretti, e con uno sguardo un po' acquoso? Bene, Bisignani è proprio l'opposto: piccolo, scattante, sguardo intelligentissimo, capisce immediatamente il pensiero dell'interlocutore Gigi Bisignani (foto grande) A sinistra Ovidio Lefebvre D'Ovidio Qui accanto Carlo Sama e Giulio Andreotti