All'alba il Bianco uccide otto volte
Duecentomila metri cubi di ghiaccio e sassi su tre cordate in ascesa verso le Grandes Jorasses Duecentomila metri cubi di ghiaccio e sassi su tre cordate in ascesa verso le Grandes Jorasses All'alba il Bianco uccide otto volte L'allarme scatta subito, ma il buio blocca l'elicottero Recuperate le salme dei3 italiani, dispersigli altri COURMAYEUR DAL NOSTRO INVIATO Alle 4,15 la montagna si spacca, 200 mila metri cubi di ghiaccio travolgono tre cordate che salgono verso la vetta delle Grandes Jorasses. Otto i morti. Tre italiani, di Verona, tre austriaci e due francesi. Sono tre anche i testimoni di questa nuova tragedia alpinistica sul Monte Bianco. Hanno sentito e visto la valanga. «Un colpo di cannone», ha detto uno di loro. Poi il vento li ha quasi spazzati via. Le vittime sono Paola Manzati, 24 anni, studentessa di architettura, Andrea Stocchiero, 27, architetto da pochi mesi, Davide Tomelleri, 24, commesso in un negozio di cancelleria; Etienne Mélin, 30 anni, di Bourg SaintMaurice, Guillaume Cathinard, 38, di Le Bellet; Aloise Furstaller, 38 anni, guida alpina di Taxxenbach, Hans Hezel, 49, di Eichstatt e Gunter Tschirsch, 59, di Reischach. Le squadre di soccorso hanno potuto recuperare solo i corpi dei tre veronesi. Erano partiti alle 2,30 dal rifugio Boccalatte (2803 metri), ai piedi della «via normale» (la Sud) delle Grandes Jorasses. Con loro altri 19 alpinisti, tutti divisi in cordate. Tutti per la stessa via. Partono di notte perché l'itinerario è lungo e pericoloso. Quel canalone in cui s'infila il ghiacciaio delle Jorasses di giorno diventa un colatoio di ghiaccio e sassi. I francesi sono i primi a circa 8 minuti dalle rocce del Réposoir, seguono la guida austriaca e i suoi due clienti, poi i tre veronesi, ancora a metà canalone. Sono le 4,15. La notte è stata calda, ai 2800 metri del Boccalatte l'acqua non è gelata. Il distacco del seracco («imprevedibile», diranno le guide del Monte Bianco) è improvviso. Avviene a 4000 metri, tra le punte Whymper e Walcher. Tre alpinisti liguri che sono fermi sulle rocce del Réposoir sentono il boato. Vedono l'enorme blocco di ghiaccio precipitare per trecento metri, sbattere contro uno sperone di granito. Si spezza in blocchi, grossi come auto, distacca una valanga di neve e riempie il canale Whymper. Non c'è possibilità di scampo. Il fronte di 200 metri di neve e ghiaccio travolge gli alpinisti, raschia i versanti. Poi precipita ancora fino agli sfasciumi del piede delle Jorasses: quasi mille metri. I tre testimoni sono Renato Berruti, 34 anni, agente di commercio di Albissola, Venturino Pantaleo, 42, insegnante, di Varazze, e Paolo Pierone, 29 anni, geologo. Berruti ha il telefonino. Chiama il rifugio Boccalatte. «C'è stata una valanga, abbiamo visto travolgere cinque alpinisti». Dal rifugio danno il numero della protezione civile di Aosta. Un'altra chiamata e il soccorso viene subito organizzato. Ma è troppo buio per far alzare in volo l'elicottero. La prima squadra parte alle 5,30 da Aosta. La guida Mario Mochet, responsabile del soccorso alpino di Courmayeur, è sull'elicottero pilotato da Oreste Gerard, con il collega Carlo Ziggiotto e il medico rianimatore Carlo Vettorato. Alle 5,50 sono sulla valanga. In venti minuti recuperano i tre veronesi. I corpi sono dilaniati dai blocchi di ghiaccio. La prima salma a essere trovata è quella di Paola Manzati. Le guide hanno visto un rampone emergere. A qualche metro c'è il corpo di Davide Tomelleri, il più esperto dei tre. Affiora la testa. La terza salma, di Andrea Stocchiero, è stata trovata dal cane «Ciccio». Soltanto i cani servono, le sonde si spezzano contro il ghiaccio. Inutile provare. La valanga a ventaglio, in certi punti è profonda sette metri. Arrivano altri elicotteri, le altre guide del soccorso alpino, la guardia di finanza, i carabinieri. Venti uomini, e i cani, sei pastori tedeschi che cercano senza sosta e si danno il cambio. All'una e trenta le ricerche sono sospese. «Troppo pericoloso», dice Renzino Cosson, capo del soccorso alpino valdostano. Le Grandes Jorasses scaricano a valle altra neve, qualche, sasso. Dei due francesi e dei tre austriaci nessuna traccia. Ancora un volo nel pomeriggio, ma senza esito. Questa mattina alle 6 gli uomini del soccorso sono di nuovo sulla valanga. Le salme sono trasportate all'obitorio di Courmayeur. Sul luogo della sciagura arriva anche il sostituto procuratore Pasquale Longarini. Apre un'indagine per omicidio plurimo colposo anche se è convinto che quanto accaduto sia «accidentale». Nel primo pomeriggio interroga i tre testimoni, gli alpinisti liguri. Mario Vaudano, procuratore della pretura di Aosta mette a disposizione dell'inchiesta tutti gli uomini che si erano occupati della valanga del Pavillon (11 morti) del 17 febbraio 1991. Inchiesta finita con l'accusa di disastro colposo. Vaudano dice: «Era un'altra storia». La possibilità di un reato è remota. Esisterebbe soltanto se venisse accertato che il distacco fosse prevedibile o se non fosse¬ ro state prese tutte le precauzioni del caso. Le guide escludono che si potesse prevedere il distacco del seracco. Lo dice Mario Mochet, lo ribadisce Renzino Cosson. «Imprevedibile, gli alpinisti hanno fatto quanto dovevano», ripete sconsolato. L'alta temperatura della notte e di ieri mattina può soltanto essere stata una concausa. Il seracco era già staccato e la fenditura era coperta dalla neve caduta abbondante questa estate. Enrico Martinet A sinistra la cartina ricostruisce il tracciato seguito dagli alpinisti per l'ascensione verso le Grandes Jorasses. Erano partiti nel cuore della notte dal rifugio Boccalatte-Piolti che si trova a 2800 metri di altitudine. Due ore di scalata, poi la sciagura II distacco del seracco è avvenuto a 4000 metri, tra le punte Whymper e Walcher: duecentomila metri cubi di ghiaccio e di sassi che hanno travolto tre cordate. Otto dei diciannove alpinisti impegnati nell'ascensione
Luoghi citati: Aosta, Courmayeur, Varazze, Verona
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