Il Boccioni americano con l'erede di Wright

Il Boccioni americano con l'erede di Wright Il duo Meier & Stella da New York a Roma Il Boccioni americano con l'erede di Wright AROMA L Palazzo delle Esposizioni, fino al 30 agosto, una mostra bella e sin golare è dedicata a due esponenti di punta della cultura visiva a New York negli ultimi trent'anni: l'architetto, ma inizialmente anche pittore espressionista astratto e ultimamente scultore, Richard Meier (1935) e il pittore e scultore Frank Stella (1936), massimo esponente negli Anni 60 assieme a Noland, della astrazione otticosminimalista» e oggi travolgente barocco neoespressionista o neofuturista. L'accostamento della loro opera, a sale alternate, è giocato su uno confronto dialettico fra due tipi di terza dimensione. Da un lato ci affascina quella magica o drammatica, espressiva, dello spazio cromatico e dell'assemblaggio vorticoso di ritagli metallici colorati o di cartoni modellati di Stella; dall'altro splende la luce razionale dei purissimi volumi e spazi architettonici, tipici del gruppo dei «Five Architects» dei primi Anni 70, di cui Meier fa parte, emergenti dai plastici e dai disegni di progetti museali, dalla proposta per Villa Strozzi a Firenze nel 1973 ai grandi lavori in corso per il Getty Center di Los Angeles e per il Museo di Arte Contemporanea di Barcellona. Non si tratta solo di un'operazione intellettuale e culturale, con gli sbocchi finali nelle sculture-modelli utopici di Meier in fusione e assemblaggio di acciaio inossidabile e nel colossale Werner Herzog eats his shoes della serie Fitzcarraldo di Stella, misto di reperti e di fusione di alluminio e acciaio inossidabile che quasi mi evoca l'idea di un Boccioni fine secolo; vi è, fra i due, esponenti dell'intellet tualità ebraica, una lunga storia di amicizia e di presenza sulla scena newyorkese sin dal l'incontro nel 1958 e dal lavoro di Meier come pittore, assieme ad un altro tipico «minimalista» come lo scultore Andre, nello studio di Stella al Lower East Side. Il catalogo Electa contiene una pregevole intervista-colloquio fra i due, a cura di Peter Slatin (purtroppo tradotta in maniera assai affrettata), in cui essi rievocano questa già mitica stagione, la frequentazione di De Kooning, di Barnett Newman, il lavoro di Meier nello studio di Marcel Breuer e al Jewish Museum; seguono le reciproche idee sulje opere, sullo spazio, quello architettonico attingibile solo con l'esperienza diretta e quello pittorico definito dalla luce. Per Stella, l'essenziale dello spazio è la libertà, al di là dei confini dell'opera; per Meier, «non esiste luce senza spazio». Come spiega nel colloquio riportato nel catalogo, «lo spazio permette alla luce di prendere posto, ed essa a sua volta definisce la qualità dello spazio». Ed ecco allora l'evocazione di Wright dalla Casa della Cascata al Museo Guggenheim, ma anche le citazioni di Borromini e del Padre Pozzo sulla volta di S. Ignazio a Roma. Qui emergono ragioni non estrinseche di questa mostra romana. Stella, a Roma un decennio fa, vi scopre lo spazio pittorico di Rubens e di Caravaggio, confermando la scelta per «inflazione della linea curva, fantasmagoria cromatica, pittoresco decorativo, emozione, ridondanza barocca», come scrive Umberto Boatto in catalogo. Questa caratterizzazione trionfa in mostra nei tre rilievi in alluminio dipinto del 199091 ispirati a un'idea apocalittica del MobyDick e letteralmente esplode nella scultura dedicata a Herzog e alla follia di Fitzcarraldo. Il più celebre punto di partenza di Stella «minimale» è offerto dalle quattro tele con vernice fluorescente del 1970-74. Fra di esse, l'enorme Damascus Gate larga 15 metri su «shaped cànvas», tela sagomata, offre, per evidenziare la svolta successiva, un fruttifero paragone con il caos organizzato della xilografia-acquatinta-serigrafia The Fountain del 1993, una fra le più grandi stampe mai realizzate con i suoi 7 metri di base. Quanto a Meier, architetto residente nel 1973 all'Accademia Americana di Roma, egli porta i borsisti a studiare il bianco, oro e pastello delle chiese barocche della Baviera. Si spiega allora, nei suoi candidi modelli e nella straordinaria scultura-plastico in legno di balsa del progetto per il Getty Center su due crinali delle Santa Monica Mountains a Los Angeles, la raffinata ambiguità fra la purezza razionalista e un senso barocco di modellazione della e nella luce. Marco Rosei Richard Meier: High Museum of Art di Atlanta (1980-83). Vista della rampa d'ingresso. Il riferimento al famoso Guggenheim di F. L. Wright è evidente. Qui però il vuoto centrale, ha funzione di luogo d'incontro, non di luogo di esposizione. Contiene anche un auditorium Richard Meier, pittore e architetto