Israele non molla Ivan di Aldo Baquis
Bloccato a 4 ore dalla partenza, forse subirà un altro processo. All'annuncio è svenuto Bloccato a 4 ore dalla partenza, forse subirà un altro processo. All'annuncio è svenuto Israele non molla Ivan Demjanjuk dovrà restare in carcere TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO «La giustizia ha prevalso sulla memoria»: così lo scrittore Elie Wiesel aveva amaramente commentato nell'apprendere che colui il quale nel 1988 era stato riconosciuto come «Ivan il terribile» di Treblinka (e condannato a morte) giovedì era stato prosciolto dalla Corte Suprema israeliana, «con il beneficio del dubbio». Ieri però la «memoria» è tornata alla riscossa e ha costretto la «giustizia» a rinviare di almeno dieci giorni l'ordine di espulsione spiccato nei confronti di John Ivan Demjanjuk, 73 anni. Mancavano tre ore alla partenza del volo 5102 dell'Air Ucraina, con destinazione Kiev. Nella sua cella del carcere Ayalon, a cinque minuti di automobile dall'aeroporto, Demjanjuk aveva finito di raccogliere in una valigia i suoi indumenti (fra cui la divisa di carcerato), le lettere dei familiari e il diario. Quando nella cella è entrato il direttore del carcere, non era però per dargli l'addio. In mattinata, la Corte Suprema di Gerusalemme aveva accolto preliminarmente il ricorso contro l'espulsione sporto da sei superstiti dell'Olocausto e da un attivista del movimento di estrema destra Kach, secon- do cui esistono le prove che Demjanjuk abbia servito come ausiliario delle SS (wachtman) almeno nei campi di sterminio di Sobibor, Flùssenburg e Regensburg. Se forse non è l'Ivan il terribile di Treblinka, si dice nell'appello, è sicuramente un Ivan, magari altrettanto terribile, di Sobibor, e deve rispondere della morte di migliaia di ebrei. Nell'apprendere del nuovo impedimento, Demjanjuk ha reagito con collera. «Che democrazia è mai questa? - ha chiesto esasperato al direttore del carcere -. Prima mi rila- sciate e poi mi richiudete in carcere?». L'anziano ucraino non ha retto all'emozione e si è accasciato a terra. Nell'infermeria del carcere gli è stato somministrato un sedativo. C'è molta agitazione, del resto, anche fra le migliaia di superstiti dell'Olocausto che vivono in Israele e che da giovedì non si danno pace al pensiero che un ausiliario dei nazisti - e questa circostanza è stata confermata nella sentenza dalla Corte Suprema - possa lasciare impunemente lo Stato ebraico. Un'anziana signora ha così dato sfogo ieri ai suoi sentimenti, in una trasmissione radiofonica: «Sono stata nell'inferno di Auschwitz, ho perso tutti i miei familiari, sono sopravvissuta perfino alla "marcia della morte". In diverse occasioni non riuscivo più a comprendere se fossi viva o morta. Adesso, nel vedere Demjanjuk andarsene, mi chiedo che senso abbia avuto sopravvivere all'Olocausto e stabilirmi in Israele». Per l'avvocato difensore di Demjanjuk, Yoram Sheftel, l'ipotesi di un nuovo processo è irrealistica. Il suo cliente, ricorda, fu estradato dagli Usa nel 1986 solo perché sospettato di aver avuto un ruolo centrale nello sterminio di circa 800 mila ebrei a Treblinka. Demjanjuk non può dunque essere processato per episodi avvenuti in un'altra località, dove egli del resto nega di essere mai stato. «Negli Stati Uniti ci sono decine di "wachtman", responsabili di crimini non meno odiosi - incalza l'avvocato -. Non mi risulta che Israele abbia mai fatto il minimo sforzo per ottenere la loro estradizione». Sheftel - figlio di ebrei sopravvissuti alle persecuzioni naziste - è in questi giorni una delle persone più odiate in Israele. Uno dei superstiti ricorsi in appello è Israel Yehezkely, un ex internato di Sobibor che ha appena scontato due anni di carcere per aver gettato sul volto di Sheftel una sostanza acida. Ieri, imperterrito, l'avvocato del Diavolo ha voluto spargere altro sale sulle piaghe: «Se domani giungesse in Israele un uomo accusato di essere Josef Mengele - ha detto - sarei felice di difenderlo». Aldo Baquis John Demjanjuk doveva partire oggi per l'Ucraina [FOTOAFP]
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