Vìa D'Amelio preso il terzo uomo

Palermo, è il carrozziere della mafia: l'auto della strage fu custodita nel suo garage Palermo, è il carrozziere della mafia: l'auto della strage fu custodita nel suo garage Vìa D'Amelio, preso il terzo uomo Fornì le targhe della 126 che uccise Borsellino CALTANISETTA NOSTRO SERVIZIO Per la strage in via D'Amelio a Palermo c'è un nuovo arrestato. E' il terzo. Giuseppe Orofino, un autocarrozziere incensurato di 44 anni. Almeno in apparenza nel suo passato nessun rapporto con i boss. Invece proprio lui avrebbe fornito le targhe «pulite» per la Fiat 126 che, rubata dieci giorni prima e riempita di esplosivo, il 19 luglio dell'anno scorso fu fatta scoppiare con un radiocomando azionato a distanza massacrando il giudice Paolo Borsellino e cinque degli agenti della sua scorta. Orofino, se davvero colpevole, è uno dei «manovali» della strage, come i due finiti in carcere prima di lui. Restano nel buio i mandanti e chi materialmente hsu causato l'esplosione. Ma, in ogni modo, si tratta di un altro importante sviluppo nell'inchiesta. «Abbiamo salito un terzo gradino, possiamo essere soddisfatti» commenta nel suo ufficio nel Palazzo di giustizia il procuratore della Repubblica di Caltanissetta Giovanni Tinebra. E' lui che coordina le indagini su questa e sull'altra feroce strage dello scorso anno in autostrada a Capaci con vittime Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre dei poliziotti che li scortavano. Nessun pentito, pare, ha svelato il ruolo di Orofino. A lui la polizia è risalita dopo non facili indagini seguite alla sua denuncia della sparizione delle targhe. Una versione che non aveva affatto convinto gli investigatori della squadra mobile. «Tutto è frutto di pura attività inquirente» aggiunge il procuratore. E i pentiti? Tinebra assicura che soltanto uno di loro ha dato una mano, confermando però una cosa che è sotto gli occhi di ognuno: che i mafiosi, cioè, hanno mutuato da anni la tecnica «libanese» delle auto fatte saltare azionando radiocomandi. A questo proposito il procuratore di Caltanissetta nota che dieci anni fa, per la strage Chinnici, fu utilizzata ancora una 126. Una semplice coincidenza, oppure l'opportunità di adoperare un'utilitaria largamente diffusa, un modo per non dare nell'occhio nel 1983 come l'anno scorso? Le targhe della 126 rubata (il furto era stato denunciato dalla pro¬ prietaria) avrebbero potuto insospettire la polizia se qualcuno in via D'Amelio si fosse accorto della vettura. Allora si ricorse a quelle smontate da una vecchia auto in deposito nell'officina di Orofino in via Messina Marine. Si fa strada intanto l'ipotesi di un coinvolgimento nelle due stragi (via D'Amelio e Capaci) del boss Antonino Gioè, 37 anni, che giovedì si è suicidato nel carcere di massima sicurezza di Rebibbia a Roma dopo essere stato arrestato 4 mesi fa dalla Dia. Con lui era stato catturato Giuseppe La Barbera, altro medio calibro dei clan mafiosi. Una loro conversazione, registrata da una microspia, permise di apprendere che un «botto» sarebbe avvenuto in tribunale a Palermo. Nella lettera lasciata prima di uccidersi Gioè ha discolpato alcune persone delle quali aveva parlato con La Barbera. Aveva aggiunto di non avere più via d'uscita davanti all'alternativa di essere ucciso dai mafiosi che aveva nominato o di essere costretto a pentirsi e a collaborare con la giustizia. Gioè aveva sostenuto di aver vissuto come «un mostro». Gli altri due arrestati nei mesi scorsi per concorso nella strage in via D'Amelio sono il cognato di un mafioso, Vincenzo Scarantino di 28 anni, accusato di aver fornito la 126 che avrebbe fatto rubare da tre balordi, e il tecnico di una società specializzata in collegamenti telefonici, Pietro Scotto, di 43 anni. Quest'ultimo è indiziato di aver manipolato la centralina da cui è servito l'edificio in via D'Amelio dove Borsellino era atteso dall'anziana madre e dalla sorella. Scotto avrebbe fatto intercettare ai mafiosi la telefonata del giudice che avvertì le congiunte: «Sto arrivando». Il resto per gli attentatori fu facilissimo. Antonio Ravidà Le indagini sull'attentato al giudice e alla scorta portano al boss Gioè morto suicida a Rebibbia Mazzi di fiori dove morì Borsellino Qui accanto Giuseppe Orofino arrestato

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Palermo, Rebibbia, Roma