UN ALTARE PER IL PADRE

UN ALTARE PER IL PADRE UN ALTARE PER IL PADRE Reberschak, vita di famiglia IL bel titolo del libro di Sandra Reberschak, Se anche tu non fossi,t ricavato da Pianissimo di Sbarbaro (ma perché nell'epigrafe i versi originari sono trascritti come se fossero prosa?), indica immediatamente quello che l'opera vuole essere: la celebrazione della figura del padre sull'onda della memoria, che ne ricostruisce paziente e devota l'esistenza rifacendosi, per l'infanzia e la giovinezza, allo strumento evocativo delle fotografie ancora conservate malgrado le tante vicende private e pubbliche che hanno coinvolto la famiglia della narratrice. E', di conseguenza, un'opera di commozione e di affetti, che non temono di manifestarsi intrepidamente in primo piano, con una chiarezza che a tratti sembra perfino disarmata nella descrizione di un uomo esemplare in tutte le circostanze della vita, soprattutto in quelle più difficili del periodo delle discriminazioni e delle persecuzioni razziali e della vecchiaia alle prese con le malattie delle persone care e poi con la propria. C'è, nel libro, una piena del cuore che è lasciata liberamente esprimersi nella scrittura, colma di una tenerezza appena mossa da un sorriso di ironia per rendere meno monotona la lode e dare una misura più quotidiana e discreta al personaggio. Avviene così che la parte più inventiva e avvincente del libro sia quella in cui la memoria diretta della scrittrice non ha parte o, al massimo, è filtrata attraverso i resoconti di parenti, testimoni diretti o bene informati della Vita della famiglia paterna, abbastanza vasta e complicata fra matrimoni, incroci, partenze, mutamenti di lavoro e morti, sullo sfondo della Venezia alla vigilia della prima guerra mondiale, poi durante la guerra ed il dopoguerra, quando il padre via via si fa da bambino adolescente. Sandra Reberschak sa raffigurare con molta grazia il mondo ebraico con l'osservanza religiosa ora rigorosa, ora molto allentata, in case avventurose, fra zie, zii, parenti che appaiono come in un perenne carosello di arrivi e sparizioni, con professioni anche curiose: un mondo un poco bizzarro ma solidale nelle sue medie condizioni di vita, non troppo agiate ma neppure inquiete. C'è un'animazione vivace e Sancirti IMh'i m Sancirti IMh'i alacre nella ricostruzione fra fantasia e realtà della Venezia ebraica, punteggiata dai frequenti cambiamenti di casa, con le conseguenti scoperte, per il padre, di nuove prospettive cittadine e umane; ed è il frutto di quella sapienza del cuore che efficacemente sostituisce il documento e la memoria diretta. Sia pure con una tensione un poco allentata, anche gli anni della giovinezza paterna, con l'impiego in banca, il matrimonio, i trasferimenti in vari centri per gli obblighi del lavoro, sono descritti con un bel contemperamento di affetto figliale e di gusto sicuro nella delineazione dei casi semplici di un'esistenza normale, nella quale, tuttavia, la figura paterna si impone con l'eccezionalità dell'integrità morale e della profonda fede religiosa. E ancora limpide e passionate sono le sezioni che raccontano il trasferimento a Torino e il nuovo lavoro in fabbrica del padre, mentre hanno inizio le persecuzioni antiebraiche e la protagonista incomincia a sperimentare l'esclusione e l'isolamento. I modi di sfuggire all'attenzione, i nascondigli in campagna, nel Monferrato, con l'aiuto di preti e contadini, poi il m ritorno a Torino e la vita clandestina, le ansie ma anche le scoperte della vita scluik da parte della narratrice bambina, hanno una misura discreta e quieta, senza cedimento alle tentazioni del sensazionale e del clamoroso, già di per sé la situazione essendo cupamente tragica. La parte in cui troppo forse il patetico prende la mano alla scrittrice è quella che riguarda il dopoguerra, con le rapide fortune industriali del padre che si intrecciano con i molti spunti autobiografici che ormai si allargano nella narrazione. Qui l'idealizzazione del padre, soprattutto nei ripetuti episodi parigini, ha un che di eccessivo, che, se la commozione resta limpida e vera, tuttavia finisce, come nel racconto della malattia paterna, a rendere un poco troppo privato il discorso. E', in fondo, il rischio di tutto il libro; e allora difficile viene a esserne il giudizio, proprio per il troppo esiguo discrimine che c'è fra scrittura e vita. Giorgio Bàrberi Squarotti Sandra Reberschak Se anche tu non fossi Bompiani pp. 207. L 28.000.

Persone citate: Giorgio Bàrberi Squarotti, Reberschak, Sandra Reberschak, Sbarbaro

Luoghi citati: Monferrato, Torino