La Storia? Si scrive con odori e sapori

Uno studioso tedesco: «Ogni attimo della vita è legato al gusto di un cibo» Uno studioso tedesco: «Ogni attimo della vita è legato al gusto di un cibo» La Storia? Si scrive con odori e sapori BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Fra i primi a «scrivere la sua storia di memoria e sapori» è stata una donna di Berlino vicina ai settanta. Ha raccontato di quando alla fine del '41, da ragazzina, passò una serata dai vicini di casa, una famiglia di ebrei. C'erano «festa e tristezza», attesa e tensione. C'era una «disinvoltura con gli eventi» alla quale nessuno credeva davvero. Non c'era gran che da mangiare, per via della guerra, ma alla fine di cena servirono la torta di mandorle, la sua preferita: «Mi dissero prendine quanta nei vuoi, e ne mangiai davvero quanta volevo, senza lasciarne a loro. Il giorno dopo scoprii da mia madre la ragione di quella strana atmosfera: nella notte la famiglia ebrea si era suicidata, erano morti tutti per sfuggire alla deportazione». Quella sera e l'indomani, e poi quel che seguì per la Germania e per lei, l'anziana donna di Berlino l'ha portato con sé «chiuso dentro a un sapore»: ancora oggi, la torta di mandorle è quella serata, quella famiglia di ebrei vicini alla morte, quell'ansia di tutti. «Quando si chiede a qualcuno di ricordare un sapore, affiorano subito, spontaneamente, scene chiave della sua vita», dice Andreas Hartmann, professore di etnologia e folclore all'Università di Amburgo, che da mesi raccoglie in Germania «storie di sapori»: uno studio sistematico sulla cultura del quotidiano dal quale nascerà un libro. Ne sono arrivate a migliaia: spesso sono «piccole perle letterarie», quasi sempre momenti straordinari di vita, parabole, scene da un passato sfiorito, fotografie di un Paese e della sua gente che si è trasformata con lui. Hanno risposto in tanti perché succede spesso che un sapore sia la nostra memoria, che ricordi di infanzia 0 esperienze meno remote si riaffaccino ogni volta che torniamo a incontrarlo. Quasi sempre conferma Hartmann - si tratta di momenti decisivi per il nostro futuro. Anche quando in apparenza sono soltanto parentesi brevi, episodi: ce li portiamo appresso per sempre, per la misteriosa alchimia che collega un evento a un odore, a un sapore, a un cibo qualunque capace però di evocare il nostro passato. In queste «scene culinarie primordiali», come le definisce Hartmann, c'è molto di noi. Co me conferma un'altra storia femminile: siamo nell'imme diato dopoguerra questa volta; quando la Germania era stre mata dalla sconfitta, quando «si doveva improvvisare ogni giorno per mangiare, e si dove va preparare un pasto con bue ce di patate e ogni tipo di surro gato». Capitò all'improvviso, < fu uno straordinario momento di felicità: «Dopo settimane di fame ricevetti dai miei genitori un piccolo panino imburrato. Mentre mangiavo il pane, spin gevo il burro in fondo al palato per non doverlo inghiottire L'ultimo boccone fu un grosso pezzo di burro». Il burro è ri masto per lei le rovine del dopoguerra, i cumuli di macerie nelle strade, la sua fame di bambina uscita dall'incubo: «Quando mi ricordo quel sapo re di panino, è come avere un film colorato davanti agli oc chi». C'è un'altra storia, nel mate riale raccolto da Hartmann, che sembra l'episodio successi vo di un racconto comune, il suo doppio: la scrive una donna alla quale l'odore di paté rievoca la povertà e la gioia, e un'esplosione che non ha mai più provato ma che ritorna soltanto «in immagine», quando «l'odore di paté la spreme dalla memoria». E' una storia che comincia a Francoforte subito dopo la guerra: quando i soldati americani davano alle bande di bambine e bambini i panni sporchi perché li lavassero a casa. Quando li riportavano, la ricompensa erano gomme da masticare, tavolette di cioccolata, sigarette per i genitori. La volta che capitò finalmente anche a lei, di «portare la biancheria di un nero che si chiamava Abraham», il compenso fu un vasetto di paté: una sorpresa ma anche un salto della fanta- sia, un balzo da stentate abitudini alimentari a «un cibo che non esisteva», o esisteva soltanto nei discorsi di casa. Dentro un sapore, spesso, resta racchiusa un'esperienza anticipata da quel «primo incontro». Come nella storia del «Kaiserschmarren», una specie di crèpe calda, ripiena di zucchero e uvetta. «Sono passati venticinque anni ma è come ieri», scrive una donna di mezza età. E racconta, come fosse l'occasione aspettata da sempre per sfogare un rancore, una rabbia repressa per anni. Era in viaggio di nozze col secondo marito e i due figli nati dal primo matrimonio. Quel giorno, alla locanda del villaggio, arrivò un gran vassoio di Kaiserschmarren: troppi, per due bambini di cinque e sei anni, che ne lasciarono qualcuno nei piatto. Anche alla donna e al marito ne portarono un grande vassoio, «molto caldi e molto dolci». Erano troppi anche per loro: «Ma mio marito si impuntò, disse che bisognava finirli perché dopotutto li aveva pagati lui. I miei bambini avevano nausea ma li picchiò, gridava che dovevano vuotare il piatto. Anch'io cominciai a piangere, perché non avevo mai picchiato i bambini». Gli altri ospiti della locanda si divisero, qualcuno approvava le urla dell'uomo, «perché l'educazione si insegna con la mano forte», qualcuno si schierò con la donna e i suoi figli. «Per aiutarli finii io di mangiare per loro, svuotai io tutti i piatti»: ma quel sapore caldo e dolciastro è rimasto come «un sasso sul cuore», non se n'è più andato, è un angolo di memoria dolorosa e un'occasione di rammarico, per aver vissuto ancora a lungo insieme a quell'uomo. Un quarantenne di Amburgo, invece, porterà sempre con sé un sapore magico. Lo conoscono milioni di altre persone, ma per lui è legato a un'emozione forte e indelebile. Vent'anni dopo, vuol dire ancora tenerezza e paura, attesa, stupore, felicità improvvisa e travolgente. E' un sapore di scuola, di settima classe, la nostra seconda media. Di quando comparve una ragazzina inglese che lo stregò ma che lui, timido e impacciato, non aveva il coraggio di avvicinare: «Con Vivian avevo per la prima volta sperimentato una magica forza di attrazione. Perché era diversa e perché era bella. A tredici anni, per la prima volta mi trovai di fronte al dilemma di come parlarle senza che i miei compagni maschi mi prendessero in giro. E mi venne un'idea». Sapeva che Vivian adorava pan carré non tostato e Nutella; così convinse la madre a comprarla, ma «quella vera, perché lei non mangiava che quella, e non una finta tipo Captain Nuss o Pip di Aldi. Doveva essere la cosa migliore, quella che le piaceva così tanto». Pregò a lungo la madre, e finalmente si ritrovò pan carré non tostato e Nutella nel cestino di scuola. Funzionò: Vivien gli chiese un assaggio, e «alla sua domanda mi sentii quasi svenire di felicità e di orgoglio». Quell'ebbrezza esaltante riaffiora ogni volta che torna il sapore molle e dolce di pane e Nutella. E non è soltanto un incontro con le emozioni acerbe dell'adolescenza; è anche un confronto, un'occasione di rivedersi nella corsa degli anni. Uno stimolo a pensare il futuro. Emanuele Novazio «Facevamo la fame, dice una berlinese ma i vicini ebrei mi offrirono una j torta di mandorle: "Mangiala tutta tu" Il giorno dopo capii perché: si erano suicidati» illliiiliiililiilliiii «Quel grosso pezzo di burro» «Basta cercare: un panino o un paté e il passato è ricostruito» Pan carré e Nutella j Nella litografia di J. Champagne: una festa di Carnevale nella Parigi di fine '800 Sopra: particolare

Persone citate: Aldi, Andreas Hartmann, Emanuele Novazio, Hartmann

Luoghi citati: Amburgo, Berlino, Francoforte, Germania, Parigi