Strauss sul set del «Cavaliere» di Marco Vallora

A Siena il raro film del 1926 A Siena il raro film del 1926 Strauss sul set del «Cavaliere» Li A risposta di Richard Strauss fu laconica. «D'accordo film», diceva il telegramma. Il suo liJbrettista-principe, il grande Hofmannsthal, aveva durato fatica per convincerlo a concedere il suo benestare, per un film muto tratto dal suo Cavaliere della Rosa. Intanto c'erano non pochi interessi economici, e poi «sarei portato piuttosto a considerare l'apparizione del film come un potente incentivo per l'opera e la sua rinascita sul palcoscenico», non un'indebita concorrenza, dunque, come temeva Strauss. «Wiene è (insieme a Lubitsch) l'unico regista tedesco che abbia acquistato fama mondiale». E che meraviglia immaginare un film di Lubitsch dal Rosenkavalier\ Ma ci si può davvero consolare con l'arte raffinata di Wiene, il regista di Caligari. Come ha dimostrato la folgorante proiezione del Cavaliere della Rosa, film muto del 1926, presentato alla Settimana Musicale Senese. Una vera rarità, inseguita da sempre dai patiti di Strauss, che sapevano di questa rielaborazione musicale dell'opera da parte del compositore (che la diresse anche a Dresda, con grande successo, esistono ancora alcuni rulli di registrazione), ma sapevano anche che il film era praticamente smembrato. Dopo anni di paziente curatela filologica, Berndt Heller, che ha diretto anche, in quest'occasione, la vivace e coinvolta Orchestra della North Carolina School ofArts, ha il meritato orgoglio di presentare questa emozionante Prima ripresa mondiale, dopo anni di oblio. Straordinario pastiche, il film, e non soltanto grazie alla perizia di Wiene, o all'arte consumatissima di Alfred Roller, lo scenografo amico di Mahler che meravigliosamente racconta attraverso dettagli architettonici questo «romanzo sentimentalgalante di epoca teresiana». Ma perché Hofmannsthal, anche per convincere Strauss, ci ricamò moltissimo, completamente reinventando l'opera, in una sceneggiatura che «è condotta come un romanzo: fa fare la conoscenza con i personaggi o - se si conoscono già - racconta cose nuove di questi vecchi amici». Insomma: risaliamo, godendo con l'intelligenza, agli antefatti del Rosenkavalier: andiamo a conoscere il goffo Barone Ochs nei suoi possedimenti di campagna, inseguiamo lo stendhaliano consorte della Marescialla sui campi di battaglia, in una sequenza molto Napoleon di Abel Gance. Così anche Strauss, messo di fronte al fatto compiuto, deve inventare musica per sequenze che non esistono nell'opera lirica. Soprattutto per gli esterni, di cui Hofmannsthal sembra volersi improvvisamente ubriacare, dopo tante situazioni teatrali, goldoniano-molieresche. E tradisce il poeta, come una golosa verve strutturalista: mandando la trama in aria, mescolando le funzioni narrative, giocando molto su contrasti, da Levy-Strauss avant-lettre. Giovane-vecchio, campagna-città, nobile-parvenu: con la complicità quasi lussuriosa di Wiene, che cesella a montaggio alternato (il classico «arrivano i nostri» alla Griffith) tra tartufeschi dettagli alla Murnau e minerali giochi di luminosità alla Pabst. E trattenuti primi piani della sfinita Marescialla, Pompadour dal seno generoso, che si sfalda come una camelia tarlata dall'inesorabilità del tempo. Sarto di sublime virtuosismo, Strauss cuce insieme alcune sue vecchie marce (scritte per catturare la benevolenza di Guglielmo II in previsione della sua scandalosa Salomè) grazie ad impercettibili rammendi. Ed è davvero emozionante ascoltare il Rosenkavalier, dimagrito di ogni voce, con il mimato del muto che sostituisce il canto. Marco Vallora

Luoghi citati: Dresda, North Carolina, Siena