E dall'alcova uscì Claretta

anturi ouel giorno Luglio '43: l'Italia scopre l'amante del duce dall'alcova \ usa EMILANO LARA, io sono te, tu sei me, Ben»: erano le parole incise sul ciondolo che Claretta Petacci portava al collo. Dono del suo Benito. Un particolare fra i tanti di una storia che gli italiani cominciarono a conoscere cinquant'anni fa, dopo il 25 luglio, crollo del regime fascista. Finalmente si sollevavano i tendaggi dell'informazione di parata e si scoprivano i personaggi nelle loro tresche e debolezze. Finalmente si rideva, si lapidava l'ex Duce con il sarcasmo, anticipo a parole dello scempio di Piazzale Loreto. Pettegolezzi furiosi, scandali a raffica. E Claretta uscì dall'ombra. Che Mussolini avesse un'amante, che fosse un amatore forsennato e fulmineo, si era tenuti a saperlo. Ma che l'amante si chiamasse Claretta Petacci questo no, il grande pubblico lo ignorava. Il primo a parlarne - secondo Antonio Spinosa - fu II Popolo di Roma tra la fine di luglio e i primi di agosto del '43. Lo dirigeva Corrado Alvaro. Apparvero alcune lettere che Claretta scrisse all'amato. In una Claretta ringraziava per il dono di un pianoforte che il dittatore le aveva comprato in via Fontanella Borghese. Poi fu la volta del Messaggero: due articoli anonimi («Chi si firma è perduto», era uno slogan fra i giornalisti del tempo) rivelarono in pieno la relazione. Il Corriere della Sera li riprese a ruota, il 29 e il 30 agosto. Articoli brillanti, che cucivano insieme le dicerie più in voga: «Un irresistibile fumettone», li definisce Gaetano Afeltra, che li ha recuperati quasi integralmente nel suo I 45 giorni che sconvolsero l'Italia, appena uscito (Rizzoli). «Un polpettone che mise in ridicolo Mussolini». L'autore sul Messaggero era un tipo singolare, Vincenzo Talarico, più tardi animatore del Caffé Rosati in Piazza del Popolo, amico di Pannunzio e Benedetti. Vittorio De Sica si innamorò della sua faccia stramba, dagli occhi sporgenti e spiritati come quelli del comico americano Marty Feldman, e lo volle come macchietta in un suo film. Gli italiani lessero con smisurata passione piccole golosità. Claretta ossessionava Ben, gli telefonava tre volte al giorno. Quanto a Ben, forse era quell'agente travestito da prete che la spiava sotto la casa facendo finta di leggere il breviario. E a Monte Mario fece costruire «due fastose ville per le due sorelline, le amichette», Claretta e la sorella Myriam, che impose come attrice. Sulla sua carta intestata di amante erano impresse un'aquila dalle ali spiegate e una trepida colomba. Claretta ebbe addirittura un ufficio a Palazzo Venezia, dove era chiamata «eccellenza». Il bello è che Talarico si pentì di questi suoi articoli. Si era divertito. Lo racconta Afeltra: «Me lo confidò poco prima di morire». Non era vero per esempio che fu Mussolini a far costruire la villa della Camilluccia per la famiglia di Claretta. Se la pagò il padre. E perché Talarico si pentì? A parte le questioni di veridicità storica, perché aveva «deriso l'amore di una donna che per amore ha sacrificato la propria vita». Gli articoli ebbero una conseguenza. Claretta li lesse sul Corriere mentre era in carcere a No- vara con la famiglia: «Una mano ignota glieli fece scivolare in cella - racconta Arrigo Petacco -. Lei si arrabbiò terrìbilmente. Vedeva preso in giro e distrutto il suo amore. Per lo stile spiritoso credette che l'autore fosse Indro Montanelli: e Montanelli finì a San Vittore. Fu salvato da Ugo Osteria, capo della polizia politica di Salò. Ho parlato con Osteria. Fu lui a dirmi che Indro stava per rimetterci la pelle perché Claretta voleva vendicarsi. Indro non sapeva neanche perché finì dentro. Anni dopo mi disse che gli articoli li aveva scritti Domenico Bartoli». Fiorirono le battute, una volta infranto il tabù di quell'amore. Enzo Biagi ne ricorda due: «"Claretta? Sarebbe più cordiale chiamarla Venticelli, anziché Petacci": parola di Trilussa. La povera attrice Myriam di San Servolo venne ribattezzata "Eleonora Duce"». A Roma il nome svelato e deriso di Claretta, «l'amante del regime», fece meno effetto: «Era già nota nei vari ambienti - dice Giordano Bruno Guerri -. Bottai e Ciano ne parlano spesso nei loro diari. Nel maggio '41 Bottai scrive per esempio che Ciano a colazione si scaglia in termini vivaci contro Buffarmi Guidi, il potentissimo sottosegretario agli Interni: "Va a prendere ordini alla Camilluccia", sibila». Giravano da tempo barzellette: «Una è del '43 - racconta Guerri -. E' pesante, a suo modo atroce. Mussolini sta scavalcando nudo la vasca da bagno e si guarda i genitali. "Che cosa guardi?", gli domanda Claretta. "Gli ultimi coglioni che mi sono rimasti attaccati"». Come viene giudicata oggi Claretta? Enzo Biagi: «Simpatica e coraggiosa, con la fine che ha fatto. E' morta per fedeltà a un uomo: non è consueto. L'abbiamo conosciuta dopo la sua fine: oggi le amiche dei potenti le vediamo in tv. Ricordo che a casa di Myriam vidi un piccolo quadro dipinto da Claretta: c'era un muro, un cancello, dello squallore. Sembrava Giulino di Mezzegra, il posto dove morirà». Antonio Spinosa: «E' lei la vera protagonista, lei che decide di raggiungere Mussolini negli ultimi mesi, lei che vuol morire con lui. Una dedizione completa. Adesso si può parlare di questo amore senza pregiudizi politici». E Roberto Gervaso, che ha scritto Claretta (Rizzoli): «E' morta con lui perché lo amava, perché l'ordine di Pertini era di far fuori tutti, perché capì che soltanto in quegli ultimi momenti Mussolini, che l'aveva sempre tradita ("Porto più corna io di un cesto di lumache", diceva Claretta), sarebbe stato solo suo. E' una delle più belle storie d'amore». Risuonano anche campane un po' dure: «Non voglio apparire stonato - mette le mani avanti Petacco -. Ma Claretta era una povera oca innamorata. Ho letto le sue lettere all'Archivio di Stato: tutte uguali. "Mi ami o non mi ami? Ho sognato che mi tradisci". Sempre così, mai un pensiero più alto. Questo non diminuisce il suo sacrificio. Ho ri- spetto. Non sono uno psicoanalista e non voglio dire volgarità, ma sospetto che non ha provato neanche un orgasmo: era solo felice di vedere lui appagato. Lui, si sa, era frettoloso: a volte non si levava neanche gli stivali». «Un fanatismo idolatra, un amore pazzo - è il parere di Guerri -. Come innamorarsi di un mito, di un attore. Mussolini riceveva valanghe di lettere erotiche. Una volta, guardando il suo carteggio, trovai una lettera azzurra ancora chiusa e profumata. Sulla busta, una nota del segretario diceva: "Restituita chiusa dal Duce". L'ho aperta: era una nobildonna romana che implorava un ultimo colloquio». Poco alla volta gli italiani conobbero l'intera storia e risalirono al 24 aprile del '32, quando sulla via del Mare, fra Roma e Ostia, un'Alfa Romeo rossa sorpassa una Lancia Astura. «E' il Duce! E' il Duce!», grida Claretta nella Lancia. Ha 20 anni. LAlfa d'improvviso rallenta, si fa superare, di nuovo sorpassa. La guida un Mussolini quasi cinquantenne. Sorride a Claretta, alla piccola Myriam, alla loro madre Giuseppina Persichetti. Poco dopo Claretta lo vede appoggiato a una balaustra davanti al mare, trema e lo raggiunge: «Duce, vi mandai delle poesie tempo fa, legate da un nastro tricolore in una cartella verde». Qualche giorno dopo suona il telefono in casa di Francesco Saverio Petacci, medico in Vaticano. Una voce profonda, non quella dei discorsi nelle adunate, dice: «Ho ritrovato le vostre poesie. Venite da me alle sette». Claretta va. A Palazzo Venezia lo vede laggiù in fondo, nella Sala del Mappamondo, ritto in tutto il suo metro e 67 centimetri (due in più di Napoleone) dietro lo scrittoio. «Non ho dormito pensando a voi», le dice il tremendo marpione. La scruta: le piacciono i suoi seni potenti, la sua pelle liscia, i piedi piccolissimi (numero trentatré di scarpe), le orecchie minute, la voce un po' roca, i denti brillanti, forse anche il profumo (Arpège o Fleur de rocaille o Tabac blond). Si rivedono una ventina di giorni dopo. Parlano di Petrarca, Leopardi, dei Notturni di Chopin, della primavera e delle rondini. «Io vivo solo, senza un amico», le sussurra. Si siedono sul ripiano sotto le finestre, ai lati del celebre balcone, e si tengono le mani. Alle volte suonano il violino. Lui, sul suo Stradivari, adora la canzone Ramona. Incontri platonici («verosimili», secondo il biografo Gervaso) che durano fino all'ottobre del '36: Claretta si è separata dal marito, un ufficiale d'aviazione conosciuto in tram, e Mussolini convoca la madre per domandarle brusco: «Signora, mi permette d'amare Clara?». Da allora e fino al 25 luglio del '43, Claretta quasi tutti i giorni esegue lo stesso rito: sale su una limousine, si ferma a comprare delle violette e una rosa rossa che lui metterà «davanti alla foto della mamma», passa in un sidecar rosso, entra da un ingresso secondario in Palazzo Venezia e attende ore e ore nella Sala dello Zodiaco del suo appartamentino. Alle cinque il commesso Quinto Navarra le porta il tè. Le angosce si alternano ai deliri. Nel '40 una gravidanza extrauterina mette in serio pericolo Claretta. Pare sia stato l'unico momento d'abbandono in Mussolini: «Ho pregato per te», le confida. Un celebre avvocato una sera la definisce «la bella Pompadour del nostro secolo». Lei si mette a piangere: «Sono povera. Questo anello, l'unico mio gioiello di valore, me l'ha regalato mio padre». Melodrammatica e presaga, mormora: «Morirò d'amore». Segue Mussolini fino in fondo. Rifiuta di prendere l'aereo della salvezza in Spagna: «Io seguo il mio destino, che è il suo», scrive alla sorella. Nella cascina dove passa la prima e ultima vera notte d'amore con lui, gli dà il suo cuscino intatto e tiene per sé il cuscino rammendato. Poi la scarica di mitra, la fine. Alle tre della notte fra il 28 e il 29 aprile '45 il suo cadavere è ammassato in Piazzale Loreto. Sputi, urine, calci, colpi sulla testa, sul corpo. Viene appesa a testa in giù con gli altri cadaveri. Un sacerdote le ferma in alto con una spilla la gonna, rovesciatasi sul capo. «Non sapevo nulla della Petacci - ricorda Leo Valiani, a Milano quel giorno nel Comitato di Liberazione -. Non questo si rimproverava a Mussolini. Pertini andò a Piazzale Loreto e tornò disgustato. Noi deplorammo e votammo la rimozione immediata dei cadaveri». Claudio Altarocca La storia, prima solo sussurrata, esplose improvvisa con articoli anonimi su «Messaggero» e «Popolo di Roma» Un polpettone rosa che mise in ridicolo Benito Mussolini anturi È Ck l duce / l'^'tif^J?* / la f9*Orita „ ut "" £° tas. W[^Bi| ' u a monto ne / r. WàPeh personagoja ^!MM^M[|^gM^MHMMW[^Bi| JÉ febt. Nella foto grande: Claretta Petacci Sotto: la madre. Giuseppina Persichetti, e la sorella Myriam ai funerali di Claretta nel 1956 Myriam tentò anche la carriera cinematografica con il nome d'arte di Myriam di San Servolo Una rara immagine di Claretta e della sorella Myriam a Rapallo nel Sopra: i due titoli del «Corriere della Sera». Sotto: Galeazzo Ciano