«Datemi una settimana e vi catturerò Aidid» di Giuseppe Zaccaria

« Parla il nuovo capo della polizia di Mogadiscio: il generale è in difficoltà, i suoi lo stanno abbandonando « Datemi una settimana e vi catturerò Aìdid » «Con i25 mila dollari della taglia Onu potrei comprare tutta la sua scorta» Ogni notte bombe a mano o spari contro l'accampamento deipara italiani . . . .v. . : V NELLA SOMALIA IN FIAMME MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO Di giorno ci si ripara dalla pioggia, alla sera si sente sparacchiare, il mattino dopo si tenta di capire cos'è successo. Strano clima, sfibrato, quello della Mogadiscio di questi giorni. E non per il sudario che i monsoni hanno steso sulla devastazione: il fatto è che nel suo progressivo intorbidirsi, dal punto di vista occidentale la situazione sembra giunta ai limiti dell'incomprensibilità. Gli «ultimatum» americani al generale Aidid si susseguono? Lui mette a sua volta una taglia sul rappresentante delle Nazioni Unite. La caccia continua? L'ultimo, grande nemico della pace fa dire dalla sua radio che gli Habar Ghidir formeranno «commandos» suicidi. E via così, in una guerra multimediale che si fa più accesa man mano che più isolati si fanno gli scontri veri. L'altra notte, due bombe a mano al Porto Vecchio, contro l'accampamento italiano. Ieri, altri spari di provenienza incerta. Cosa sta succedendo, allora? Se davvero deve accadere che tra poco più di un mese il nostro contingente sia promosso e spostato (il gen. Loi però lo esclude) ci lasceremo alle spalle un lavoro già fatto, o assisteremo da Nord a nuovi bombardamenti, ad altri massacri? Forse, in questa prospettiva di totale incertezza c'è un punto di vista che merita di essere valutato. Non proviene da uno stinco di santo, ma proprio per questo forse è più credibile. A nume della neonata polizia somala, il gen. Ahmed Jilad Addò, ultimo governatore di Mogadiscio, tiene a far sapere: «Se davvero vogliono Aidid, affidino le ricerche a noi: glielo portiamo in una settimana». E' una persona che si fa ascoltare, il generale, se non altro per il timore che incute. Proviene dalla tribù Hawija, a cinquantasette anni d'età ostenta ancora un fisico da lottatore e la quadrata mascella dell'uomo d'azione. Ma il dettaglio più inquietante è nello sguardo: ricorda quello di certi marescialloni di un tempo, di quei poliziotti di lungocorso cui nulla sembra più fare orrore. «Tutto il mondo sta parlando del generale Aidid come di una sorta di invincibile diavolo, e io le dico che invece si trova in gravi difficoltà. Descrivete la sua banda come un vero e proprio esercito, io vi garantisco che non lo è più: secondo le nostre stime, attualmente Aidid può contare al massimo su tre, quattrocento armati, e la sua gente continua ad abbandonarlo. Con i fedelissimi, ormai, Mohamed Farad Aidid si trova bloccato tra Mogadiscio Nord e un retroterra ostile, è stato costretto ad asserragliarsi in tre soli quartieri». E le sue capacità di reazione? «Ridotte al minimo: non vi siete accorti che sta sempre più scivolando verso la guerriglia?». A ben guardare, la più recente geografia degli scontri a fuoco sembra corrispondere all'analisi del generale. Attacchi improvvisi contro postazioni (in prevalenza italiane) che rispondono con una determinazione impressionante, mezz'ora di fuochi d'artificio e poi neppure un ferito sul terreno. Non fra i nostri, grazie a Dio: ma dall'altra parte, nei settori sui quali «para» resi nervosissimi dagli ultimi eventi, scaricano il munizionamento di una settimana. «La spiegazione è chiara continua il generale -: Aidid ormai può solo organizzare provocazioni. Punture di spillo, direi, se non ci fossero andati di mezzo i vostri soldati. Ci risulta che anche fra gli Habar Ghedir le defezioni si stiano moltiplicando, ci risulta che negli ultimi giorni Aidid abbia modificato i suoi proclami. Un tempo prometteva alla sua tribù le case e i terreni invasi, adesso dice: «State attenti, senza di me vi schiacceranno». Catturarlo non è più impresa impossibile: ma soprattutto, non da compiere attraverso i bombardamenti». Quando dice «ci risulta», il generale Addò parla a nome suo e del collega Ibrahim Mumin, anch'egli ex generale, e attuale componente la diarchia che decide l'impiego dei cinquemila poliziotti reclutati negli ultimi sei mesi. Due di essi assistono rigidi all'intervista: indossano le divise estive dell'esercito italiano, arricchite da un cordone blu. «Solo a Mogadiscio gli arruolamenti (i riarruolamenti, anzi) sono stati tremila. Tutti ex poliziotti con almeno due anni di servizio e appartenenti a etnie diverse, su questo l'Onu è stato irremovibile. Abbiamo ufficiali bene addestrati: in base all'età e alle fasi politiche di Siad Barre, c'è chi si è formato in Italia (io, per esempio, ho fatto l'Accademia di Modena), chi in Inghilterra, chi in Russia o a Cuba». Poliziotti veri, insomma, gente tra cui probabilmente si na- sconde anche chi ha svolto per Barre lavori sporchi. Professionisti che, come il ruolo richiede, sono pronti a lavorare per qualsiasi nuovo presidente. Storcere il naso non serve: piuttosto è il caso di chiedersi se davvero tremila poliziotti male armati siano in grado di giungere lì dove la grande potenza americana non riesce ad arrivare. Ma davvero, generale, voi sareste in grado di catturare Aidid? «Le dico di sì, e di recente l'ho ripetuto anche agli ufficiali delle Nazioni Unite. Basta poter contare su un minimo di mezzi. Non chiediamo carri armati, ma qualche fucile Fai al posto delle settecento mitragliette polacche di cui ci hanno forniti. Noi conosciamo questa città, conosciamo questa gente: apparteniamo a etnie diverse, dunque non rischiamo di scatenare nuove vendette tribali. L'Onu ha fissato una taglia di venticinquemila dollari su Aidid? Con quel denaro si potrebbe corrompere quasi tutta la sua scorta. A noi sembra elementare: se cercate un uomo a Mogadiscio, chi meglio dei poliziotti di Mogadiscio può aiutarvi a scovarlo? Ho detto anche questo, ai militari: se davvero volete Aidid, noi ve lo scoviamo in pochi giorni. Se no, ditelo, che libero vi serve di più». Giuseppe Zaccaria Un casco blu italiano del battaglione San Marco a Mogadiscio [FOTO ANSA]