«Di Pietro, mandali sulla forca»

Un vigile di Ravenna urla «Andate avanti anche nel nome di Raul» Ovazioni anche durante la cerimonia in Duomo. Borrelli: «Certe frasi mi mettono i brividi» «Pi Pietro, mandali sulla forca» Ma i giudici di Milano disapprovano la folla MILANO. Dal microfono dell'altare, un chierico biondo deve alzare la voce: «Per favore ed è proprio una preghiera - ricordiamo ai presenti che sono proibiti i battimani...». E allora torni il silenzio in questo Duomo già pieno di fiori e incenso, perché le bare non sono ancora arrivate, il funerale non è ancora iniziato, le dirette tv nemmeno, e il cardinal Martini non ha ancora condannato all'infamia eterna gli assassini. Torni il silenzio mentre il procuratore Borrelli e i suoi giudici vanno a sedersi in quarta fila. Resti fuori, almeno per questi cento minuti, quella Milano che ama i suoi giudici ma vuole la forca. E' il giorno del lutto e sarà il pomeriggio della rabbia. Quel lutto composto, tutto milanese, che diventerà poco più di un mugugno per l'arrivo di Scalfaro, Ciampi, Spadolini e Napolitano: che evitano il sagrato, vengono e poi se ne andranno dalla sacrestia: non si sa mai, già alla camera ardente di Palazzo Marino c'era stato qualche «vergogna!» di troppo. E quella rabbia che diventa applauso, ira, urlo e lacrime: quando sfilano le bare e quando sfilano i giudici. La scorta di Scalfaro, alla camera ardente, dall'applauso della piazza s'era convinta fosse per Bossi. Era Borrelli, con i suoi giudici. Inattesi, e adesso imbarazzati, confusi, lì davanti alle bare, ai parenti che li vanno a salutare, a Scalfaro, al ministro Conso che bacia Di Pietro, ai vigili del fuoco che lo vogliono toccare. E intanto fuori, dalla piazza sale un «Di Pietro!, Di Pietro!». No, meglio non uscire subito. Meglio aspettare che se ne vadano prima Scalfaro e Spadolini. E' delusa, la piazza, quando li vede, quasi protetti dal sindaco Formentini. Ma tornerà ad eccitarsi, a sbandare, ad improvvisare un corteo quando vedrà Borrelli e Di Pietro e Colombo che imboccano la galleria che porta al Duomo. Le scorte, agguerritissime, nulla possono. Ed è qui, a Milano si chiama l'Ottagono, che la voglia di forca alza la voce. Giovani e vecchi, anziane e famigliole che stringono, premono, gridano. E battono le mani, al passaggio dei giudici, vigili e pompieri e perfino poliziotti e carabinieri. «La forca, Di Pietro, la forca ci vuole!», urla un impeccabile in grisaglia. Di Pietro si blocca, si volta, lo guarda e fa no no con la testa. «Di Pietro tu che sei potente mettili tutti a pane e acqua!». Un vigile urbano di Ravenna: «Vai avanti, fallo anche per Raul!». «Giuralo Borrelli, giuralo adesso! Prendili e dalli a noi». Anche Borrelli si volta: no no no, così non va. Dieci minuti di brividi, per i giudici. Per Borrelli e il suo vice Minale, per Di Pietro, Colombo, Pomarici, per Ramondini che non ha ancora trent'anni, per Italo Ghitti che ha appena mandato a casa Garofano e Sama. In piazza Duomo, appena fuori dalla galleria, solo uno si stacca dal coro: un signore in biciclet¬ ta e maglietta che chiama: «Di Pietro, Di Pietro... Ambisiùs, ambizioso». Ma ci sono ancora trecento metri al Duomo. E allora tutta la piazza che aspetta le bare ritma: «Di Pietro, Di Pietro!». E i giudici vogliono entrare in fretta, basta, Pomarici e Ghitti si sono persi, qualche scorta è ammaccata. Di Pietro entra per ultimo, il Duomo è fresco, c'è silenzio. Che effetto fa, quella piazza, quelle grida, la forca... Sta per rispondere, ma Borrelli l'hanno già visto, Colombo pure, la prima ad applaudire è una suorina in bianco, poi quelli delle ultime file, poi giù giù fin sotto l'altare. «Bravi! Andate avanti! Fate giustizia!» E vigili urbani con gonfalone, e pompieri e barellieri, e cittadini. In fondo, alla destra dell'altare, i 23 monsignori di curia si stanno preparando al funerale solenne. Anche tra loro c'è chi applaude, timidamente. Ma siamo in Duomo! Ed ecco il chierico: «Per favore sono proibiti i battimani». Non sono ancora le cinque, da Palazzo Marino le cinque bare stanno per partire. Driss Moussafir se ne andrà all'angolo della piazza, portato alla moschea di Segrate, così come hanno voluto i suoi amici. Le quattro bare entrano dopo mezz'ora, e qui l'applauso è forte, intenso, senza voglie di forca o grida per i giudici. Per le 14 vittime di Piazza Fontana, stesso Duomo, stessa cerimonia, non c'erano applausi: non si usava, allora, era il primo e il Cardinal Giovanni Colombo pregava fosse l'ultimo. Come allora le autorità politiche sono alla sinistra dell'altare. Scalfaro, Spadolini, Napolitano, Conso, il sindaco. Il Cardinal Martini va all'altare, il coro del Duomo intona «Signore che dinanzi al Sepolcro piangesti»: l'aveva composto monsignor Migliavacca la notte dopo la strage di Piazza Fontana. Celebra piano il Cardinale, parole lente. In alto, dal pulpito, legge la sua omelia e ricorda «Driss Moussafir anch'egli vittima innocente di una macchinazione crudele». Pochi seguono l'invito del chierico: applausi, applausi, applausi anche dagli altri chierici che stanno dietro l'altare e dalle suore che spiegano la funzione ai cronisti. Dalla fila dei politici partecipa solo Formentini, il sindaco leghista. Infami assassini, dice il Cardinale. Cita Daniele con il tono severo del gesuita, e da lassù, dall'alto del pulpito come vuole il rito ambrosiano, pare più severo ancora: «Sì, bollati da infamia eterna sono coloro che perpetrano delitti così orrendi, che ci mettono di fronte a bare di innocenti, che gettano nel lutto madri, padri, spose ancora festanti dalle nozze, bambini che hanno appena imparato a conoscere il padre». Pausa, quasi a voler ripetere: infamia, infamia eterna dal Duomo di Milano! Chissà se il Cardinale dall'alto vede i giudici, là in ottava fila, quattro file prima di Bossi. Ora vede, guarda e parla a Scalfaro: «La notte buia della nostra società ha bisogno di stelle, di punti di riferimento, di segni di coraggio civile e sociale. Col nostro pianto si mescola la fierezza per uomini così, per questi vigili, per giovani così entusiasti del loro lavoro, così sereni e pronti ad ogni chiamata. E' guardando a loro che le nostre somme autorità come il Presidente della Repubblica guardano con fiducia». Un vigile del fuoco legge un brano dell'Apocalisse, un vigile urbano legge il profeta Daniele. La comunione di Scalfaro, la comunione dei parenti, la benedizione, le note dell'organo del duomo salgono di due toni e parecchio volume, la messa è finita. Piangono i parenti, piangono i vigili, piangono i pompieri. Non si applaude, adesso. Le scorte preparano l'uscita dalla sacrestia e il Cardinale lascia l'altare. Benedice Scalfaro e la prima fila, benedice e saluta i parenti, sfiora le bare per un ul timo saluto, non può sentire l'ambulanza che parte con la fidanzata del pompiere Lacatena, svenuta e immobile. E' un attimo, dalla sacrestia esce Scalfaro, poi Ciampi, Spadolini, Mancino, Parisi e tutti. Le sirene impazziscono, ma è l'ultimo saluto di Piazza Duomo alle bare. Via, via, via tutti. E fuori dalla sacrestia restano Borrelli, Di Pietro e Colombo. Non hanno voglia di sentir quella voglia di forca. Colombo saluta Nando Dalla Chiesa, Di Pietro parte per Palazzo di Giustizia. Borrelli, che aspetta la scorta, è in un angolo. Impeccabile e turbato. «Quegli incitamenti al nostro lavoro per un secondo potrebbero anche far piacere - commenta -. Ma non è giusto, non è questo il nostro ruolo. E certe grida mi mettono i brividi». Giovanni Cerniti Un vigile di Ravenna urla «Andate avanti anche nel nome di Raul» ta folla ai funerali dei tre vigili del fuoco e del vigile urbano uccisi in via Palestro Sopra, il giudice Di Pietro

Luoghi citati: Milano, Ravenna, Segrate