«Non sono Maradona ma darò il sangue per il Toro» di Bruno Bernardi

«Non sono Maradona ma darò il sangue per il Toro» PROMESSE DI UN BOMBER Le confessioni di Silenzi, un attaccante che cerca il riscatto dopo le amarezze e i problemi della passata stagione «Non sono Maradona ma darò il sangue per il Toro» «Sono una punta che prende botte: se mi hanno tenuto, vuol dire che servo» MALLES VENOSTA DAL NOSTRO INVIATO Ricomincia da due. La doppietta all'Olimpico, nella finale di Coppa Italia con la Roma, è il biglietto da visita che Andrea Silenzi presenta a Mondonico. Oggi (ore 18) il ventisettenne bomber romano farà coppia con Poggi contro la selezione della Val Venosta. E' un test di allenamento ma Silenzi vuole dimostrare che, quando torneranno Aguilera e Francescoli, ci potrà essere posto anche per lui. Le prodezze nella trionfale notte romana hanno cambiato il suo rapporto con Mondonico? «C'è sempre stata un'amichevole sintonia tra noi. Ma l'unica cosa che abbiamo messo in chiaro è l'onestà e la sincerità. Qualche volta la verità può far male, eppure bisogna essere uomini. Nel nostro ambiente ce ne sono pochi, purtroppo». Lo dice con una punta dì amaro in bocca. Perché? «La storia che Moggi mi aveva portato al Torino ha pesato come un macigno. Alle mie spalle c'è stata una campagna negativa che ha fatto di me il capro espiatorio. Fortunatamente è arrivato un grande risultato e tutto è passato, ma certi comportamenti non li dimentico». Questo le dà una rabbia superiore? «Non ce n'era bisogno. Senza la rabbia e una preparazione seria e meticolosa non sarei arrivato a quel fatidico 19 giugno così caricato. I due gol alla Roma hanno fatto rimangiare a molta gente i dubbi sul mio conto». Lei è rimasto al Torino come uomo part-time o con la prospettiva di diventare titolare? «Non è piacevole giocare con addosso la paura di sbagliare. Da qualche anno vado avanti con questa manfrina. Solo nel Napo¬ li, Bigon mi assegnò un posto fisso, in partenza. Poi mi chiese di fare il tornante alla Carnevale ma non era il mio ruolo e finii in panchina. Diciannove presenze e due gol il primo campionato, venti presenze e quattro gol il secondo. Troppo poco per uno con il mio fisico». A Roma è stato profeta in patria. Ha ritrovato l'identità perduta? «Se uno si ferma sugli allori non va avanti. Sicuramente adesso mi guardano con altri occhi. Ero richiesto da Cagliari, Atalanta e Reggiana, dove avrei trovato meno concorrenza. Se mi hanno tenuto significa che servo. Qui, come centravanti puro che prende botte, non c'è nessuno. E sono certo che giocherò più di prima. Non ricòrdo quante partite e quanti spezzoni ho disputato, ma sette gol ufficiali, tre in campionato e quattro in Coppa Italia li rammento tutti». Segnerà di più, sfruttando finalmente la sua statura? «Un attaccante ha bisogno di fortuna e di palloni giusti. Se ti gira bene vai in gol anche con il ginocchio. Sono abbastanza ottimista sul futuro. Ho già fatto qualcosa di importante in granata e conto di dare di più sino al '95, quando scadrà il mio contratto. Posso sbagliare lo stop, tecnicamente non sono come Maradona ma il sangue, in campo, lo dò sempre e al Torino è la prima prerogativa». C'è stata una trasfusione di sangue di Toro nella squadra con gli arrivi di Galli, Francescoli, Osio, Jarni, Gregucci, Carbone e Delli Carri? «La campagna trasferimenti della società ci impone di centrare almeno uno dei tre obiettivi principali. Il quarto, ma primo in ordine di tempo, è la Supercoppa del 21 agosto a Washington con il Milan, un trofeo che ho già vinto con il Napoli battendo 5-1 la Juventus. L'estate scorsa nessuno credeva che ci saremmo aggiudicati la Coppa Italia. Per sapere se il Torino è più forte, bisogna aspettare il campo e le partite vere. Il valore di una squadra non lo si vede dai nomi». Bruno Bernardi

Luoghi citati: Atalanta, Cagliari, Italia, Malles Venosta, Roma, Washington