Si sfiora la rottura sul rapporto tra informazione televisiva e «piazza» Demattè-Santoro, primo scontro di Maria Grazia Bruzzone

Si sfiora la rottura sul rapporto tra informazione televisiva e «piazza» Si sfiora la rottura sul rapporto tra informazione televisiva e «piazza» Demottè-Santoro, primo scontro Canale 5 tenta il conduttore ROMA. Mezzogiorno di fuoco al settimo piano di viale Mazzini 14, dove ieri il presidente della Rai Claudio Demattè aveva invitato a colazione quattro esponenti di spicco del giornalismo talk-show: Corrado Augias, Gianni Riotta, Michele Santoro e Enza Sampò. Tutti sereni attorno a una tavola imbandita in una saletta adiacente alla presidenza, adatta per queste piccole riunioni aziendal-conviviali. (A Minoli toccherà più tardi, da solo, ma senza vivande). Finché tra Santoro e Demattè i toni si fanno accesi. E il popolare conduttore di Rai 3 minaccia di andarsene alla Fininvest con tutta la sua baracca. «I miei programmi hanno avuto sulla politica italiana lo stesso impatto che ha avuto il neorealismo nel dopoguerra - replica stizzito Santoro al culmine del match -. Anzi. All'estero sono stati apprezzati prima e di più del neorealismo. Il cambiamento in Italia è cominciato con la trasmissione su Libero Grassi». E il presidente, calmo: «Io apprezzo moltissimo le sue trasmissioni. Le trovo interessanti. Ma ho avuto l'impressione che qualche volta le siano scappate di mano. Sarei più a favore di un'informazione fredda e consapevole. Viviamo in una situazione esplosiva, c'è da aiutare la gente a capire». Ma è Santoro a non voler capire. «Se cerca la tv dei buoni sentimenti, si rivolga alla Prima Rete, dove sono specialisti. Se il mio programma non le piace, me lo dica». Demattè: «Guardi che io sono qui per capire, se ci facciamo solo dei complimenti, questo non aiuta». E via, in un dibattito acceso, gli altri ospiti che tacciono. Eppure all'inizio tutto scorreva liscio. I cinque discorrono amabilmente. Il presidente ha inaugurato questa usanza un po' americana di incontrare vari protagonisti della tv, per rendersi conto personalmente di quel che fanno. Un'abitudine nuova e criticata da alcuni, ma apprezzata da altri («un atto di civiltà», commenta Augias). Si parla inevitabilmente dei conti in rosso, più gravi di quel che sembra, dell'influenza che la necessità di far quadrare il bilancio potrà avere sulla programmazione. E, a sorpresa di alcuni, Demattè insiste sull'importanza dell'Auditel, che non deve diventare un feticcio ma sicuramente è un misuratore della popolarità. «I programmi devono essere graditi - ribadisce il presidente -. Popolari ma di largo gradimento». Tutto bene, finché il discorso scivola sul delicato tema dell'informazione. «In questa fase la tv è stata causa e effetto del cambiamento politico in atto - riconosce Demattè -. E azzarda una critica: «In questa fase, il giornalismo deve anche indicare delle prospettive». Come è possibile, senza diventare agiografico? Ribattono gli altri. Ma Demattè insiste. E davanti ha proprio due dei protagonisti delle più accese trasmissioni-dibattito. «Ora che la tv ha sfondato il muro - spiega il presidente - bisogna dare al pubblico la possibilità di farsi una sua idea, più che proporne una già bell'e fatta». E' a questo punto che Santoro si sente punto sul vivo. E insorge. Difendendo il suo programma, i suoi ascolti, e il suo ruolo politicoartistico sociale, il Di Pietro della Raitv, il Rossellini televisivo. Più tardi, dai microfoni di Italia radio, il conduttore di Samarcanda e de II rosso e il nero ritornerà sul tema, in difesa della sua «piazza» tirando in ballo anche Pasolini. E chiarendo meglio la sua intenzione a passare alla concorrenza, se non verrà messo in condizione di continuare in piena libertà. «Io preferisco il termine gente - spiega al giornalista che gli chiede del ruolo della "società civile" nel suo programma -. La società civile è quella dei sindacati, delle cooperative, è la società organizzata. Mentre noi diamo la parola anche a quelli che organizzati non sono. Ed è questo uno dei fattori del successo della nostra trasmissione». Poi chiarisce: «Lo abbiamo fatto in omaggio al nostro grande maestro Pier Paolo Pasolini, che nella gente credeva fino in fondo, è stato il primo a crederci». Ma è vero che sarebbe disposto a passare alla Fininvest? «E' vero che loro ci hanno ripetutamente contattato. E questo avviene ogni volta che noi concludiamo la nostra stagione, da tre anni a questa parte. Noi siamo dei professionisti e, in questo momento in cui i muri sono caduti, dobbiamo valutare tutte le circostanze e le ipotesi che ci vengono proposte. Sono tre anni che diciamo di no e si può capire quanto ci sia costato. Anche perché alla Rai premi non ne hanno mai dati, ne a me né ai miei collaboratori. Ci hanno sempre maltrattati e vilipesi. Ignorando i sacrifici anche personali di tanti collaboratori, pagati metà di un redattore, loro che lavorano rischiando anche la vita». Maria Grazia Bruzzone Il giornalista: «La Fininvest ci ha contattato Voglio garanzie» A sinistra, il conduttore di «Samarcanda» Michele Santoro. Sopra, Gianni Locatelli

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