Messa da requiem per il partito di Fabio Martini

A Messa da requiem per il partito Tutti in coda per la comunione, ma finiscono le ostie «IL VERO TESORO NON E* IL POTERE» A ROMA SCOLTACI o Signore», sussurrano Mino Martinazzoli e Flaminio Piccoli uno accanto all'altro, lo sguardo assorto. Sono le nove del mattino e i democristiani - ecco il primo miracolo - sono quasi tutti qui, nell'auditorium del palazzo dei congressi, per un'ora consacrato per questa messa domenicale. Una messa speciale, una messa per la de. Tra le poltroncine di vellutino turchese sono seduti peccatori incalliti, peccatori pentiti, credenti ispirati. C'è Rosy Bindi con le guance color di pesca, perennemente arrossite e qualche fila più sotto c'è Vito Lattanzio, vecchio notabile del Tavoliere delle Puglie. E laggiù, lontano, al tavolo della presidenza trasformato in altare, c'è padre Franco, venuto dall'eremo di Camaldoli. Col suo bel saio bianco recita un'omelia che somiglia ad un saluto estremo alla vecchia de. Prima quel passo della Bibbia: «Al Signore piacque che re Salomone avesse domandato la saggezza del governare, anziché una lunga vita, la ricchezza, la morte dei suoi nemici». E padre Franco quel passo lo interpreta così: «Possiamo essere ricchi e potenti, ma senza saggezza si può rovinare tutto». Tra le poltroncine Mario D'Acquisto, ex potente delle due Sicilie, ha un fremito. Ma padre Franco non ha finito: «Salomone ha scoperto che il vero tesoro non è il potere...». Sono tutti qui per la messa della domenica i capi della de, ma l'atmosfera e le parole del frate di Camaldoli trasformano la cerimonia in qualcosa di diverso, qualcosa che assomiglia all'addio al vecchio partito. Un addio solenne. Una messa di requiem. Il frate camaldolese, con la sua parabola di re Salomone, ha creato un'atmosfera speciale in questo gelido auditorium, ma all'improvviso il clima si rompe. Padre Franco sta terminando la sua omelia, quando dal microfono fuoriesce, inattesa, una voce metallica: «Prova, prova, prova voce...». Un contatto malefico di cavi, un'irruzione demoniaca, chissà. Il frate venuto dall'eremo non perde la calma, va avanti, ma l'esorcismo funziona soltanto a metà. La voce romanesca ripiomba in sala: «Prova, prova, così funziona...». L'omelia è finita, la messa continua. In sala, intanto, è arrivato anche Pierferdinando Casini, uno dei nuovi leader del partito, elegantissimo nel suo completo grigio, ma il suo ritardo viene notato, qualcuno si dà di gomito. Accanto a lui c'è il mastodontico Tonino Zaniboni, pizzo risorgimentale e una partecipazione distratta alla cerimonia: Tonino sbadiglia, si siede mentre gli altri si alzano, scambia una mezza chiacchiera con Casini. Ma la messa prosegue e le sorprese non sono finite. Un po' appartata, laggiù vicino alla presidenza-altare, c'è una bella ragazza bruna con un vestito verde a pois bianchi. Tutti la vedo¬ no e soprattutto - ecco la sorpresa - tutti la sentono: sì perché Maria Rita Viaggi si mette a cantare e a suonare la chitarra, alla maniera delle messe «scout», una sorpresa che piace a Rosy Bindi, ma che provoca sguardi infastiditi, battutine sottovoce («Ma che roba è questa?»). E alla fine la signora che ha organizzato la messa si scuserà con padre Franco: «Quella ragazza me l'ha imposta un onorevole...». La canzone e la chitarra preludono alla comunione. Resta al suo posto Martinazzoli, assorto, immobile per tutta la cerimonia. Ma per fare la comunione c'è la fila, duecento democristiani aspettano l'ostia, l'ostia finisce e resta all'asciutto anche Rosy Bindi. Alle 10 è finita. Padre Franco se ne va, torna subito a Camaldoli. Padre, un requiem per la vecchia de? «Sì, ma speriamo che ora ci sia anche la resurrezione». Fabio Martini Sopra: Flaminio Picco A destra: Rosa Russo Jervolino

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