Michael l'ultima diva

Da Hollywood a Cinecittà, quella gran voglia di vestirsi da donna Da Hollywood a Cinecittà, quella gran voglia di vestirsi da donna Michael l'ultima diva ouglas, Williams e la prova-sottana Lj ULTIMA diva è come la prima: un uomo vestito da donna. Sarà Michael Douglas, produttore e protagonista del film «One of the Girls» (Una delle ragazze), in cui uno dei più acclamati sex symbol hollywoodiani, fresco d'una fama di dongiovanni incontinente, interpreta per l'appunto la parte di «una delle ragazze»: un poliziotto costretto a fingersi una segretaria per meglio seguire un'indagine. Oppure sarà il professor Robin Williams, che sul set di «Mrs. Doutbfire» di Chris Columbus recita in abiti femminili, un cimento cui pochi attori, nella storia del cinema, sono riusciti a sottrarsi, e che certo ha aleggiato, più o meno irrisolto, pure nell'immaginario di tanti registi (si disse che Marlene Dietrich ne «L'angelo azzurro» altri non fosse che Joseph von Sternberg vestito da donna). Molto tempo prima che Pedro Almodóvar mettesse i tacchi a spillo a Miguel Bosè, risultando assai meno trasgressivo di tanti suoi predecessori, e prima che Bertrand Blier li facesse indossare a un Depardieu nel pieno del suo virile fulgore, il travestimento è stato sempre uno tra i pilastri più solidi e redditizi su cui è poggiata l'industria cinematografica. Sono cambiate le motivazioni, le fantasie, così come il senso del pudore e i concetti di ambiguità e trasgressione: ma la voglia maschile di indossare abiti femminili, di interpretare ruoli femminili, di essere «divine», non è mai tramontata. Erano uomini le prime donne del cinema muto, e in gonna e parrucca han recitato gli eroi delle comiche Stan Laurei e Oliver Hardy, e Charlie Chaplin. Nella Hollywood degli Anni Trenta e Quaranta il travestimento era la norma, così come lo era la bisessualità dei divi. Ma pure in decenni sessualmente più rigidi, il travestitismo ha funzionato. In abiti femminili, e per di più al fianco di Marilyn Monroe, han recitato Tony Curtis e Jack Lemmon (celebre lo scambio di battute nel finale: «Ma io sono un uomo!», «Oh, nessuno è perfetto»). E persino un Cary Grant nel fiore degli anni e della prestanza fisica, in «Era uno sposo di guerra», indossò nel finale gli abiti di un'ausiliaria. Travestimenti e feticci: la gonna indossata da Mickey Rooney nei panni di Carmen Miranda, il cappello di piume di struzzo di Danny Kaye, la parrucca bionda di Jerry Lewis, Jean-Paul Belmondo in guèpière ne «L'uomo di Hong Kong», il reggicalze di Helmut Berger ne «La caduta degli dei». In tempi più recenti, il travestimento più riuscito, la prova di bravura con cui confrontarsi, resta la trasformazione di Dustin Hoffman nella trepidante «Tootsie». Lontano dalla tradizione di Hollywood, anche Cinecittà non è insensibile alla prova dei I boccoli. E' indimenticabile Totò vestito da donna impegnato a rabbonire il padrone di casa Nino Taranto («I figli non sono fiaschi che si gonfiano»), meno credibile l'Alberto Sordi de «I vitelloni», imbarazzanti le bambinone di Aldo Fabrizi. Ma in Italia raramente il travestimento è fine a se stesso, si carica di intenzioni e giustificazioni, vira facilmente al grottesco: Tognazzi è comico ne «Il vizietto», oppure è tragico in «Splendori e miserie di Madame Royale». Così come il teatro, anche il cinema nasce maschio e ai suoi albori non contempla femmine recitanti, ma solo «female impersonator», uomini con boccoli e sottane. Tanto, ciò che conta non è la donna, ma un'idea di donna, un sogno, maschile, di donna. I retropensieri sono di là da venire: un attore travestito non è ancora ridi¬ colo, o perverso, non serve a segnalare la decadenza d'una società. E' pura maschera, semplicemente interpreta un ruolo (come ha poi saputo fare, forse, il solo Dustin Hoffman). Ma se l'uomo ha saputo talvolta essere donna, raramente la donna ha saputo o potuto essere uomo. Era un gioco di seduzione perfezionato a tavolino l'androginia di Greta Garbo e Marlene Dietrich, dive in pantaloni, che perlatro non si curarono mai troppo di nascondere la propria omosessualità. E un doppio salto motale risulta essere il celebre travestimento di Julie Andrews in «Victor Victoria»: lei si finge un uomo che si traveste da donna, facendo innamorare di sé James Garnier e costringendolo a scoprirsi nella prova d'amore più assoluta, nella confessione finale: «Non m'importa se sei un uomo». Oppure, accade nei soggetti cinematografici ciò che accade nella vita, e la donna si finge uomo per poter esistere o sopravvivere in campi riservati ai talenti maschili. Così Barbra Streisand, che in «Yentl» diventa un giovane ebreo per poter studiare la torà, materia riservata agli uomini. Ma il travestimento d'una donna, sia pure dettato da necessità di copione, viene accolto con diffidenza, genera sospetto, fastidio, mette immediatamente in circolo aneddoti esplicativi. Quando la Columbia lanciò il film «Chi te l'ha fatto fare?», una rivista americana indisse un concorso tra le sue lettrici, per cercare la sosia della protagonista Streisand. Vinse un uomo. Stefania Miretti Laurei e Hardy Chaplin, Cary Grant Curtis, Belmondo Depardieu e Dustin Hoffman Il sex symbol ama molto travestirsi: da «don Giovanni» a segretaria modello W I Da HollywoM battute nel finale: «Ma io sono

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