La prostituta di Manet indomabile femminista

La prostituta di Manet indomabile femminista il caso. Svelata la storia della conturbante modella Olympia: era un'artista La prostituta di Manet indomabile femminista il LONDRA ■ OLYMPIA di Manet non adescava clienti ai croi cicchi, né si attaccava Li perdutamente alla bottiglia in una sordida soffitta parigina. La più celebre modella del genio impressionista, sguardo invitto che buca la tela, è stata diffamata da una storia dell'arte maschilista. Si chiamava Victorine Meurent ed era un'artista, indipendente e fiera. Viveva con una donna. Non per niente le si legge in faccia una sfida: «Uomini, non ho bisogno di voi». La giustiziera della fama di Victorine è una storica dell'arte femminista, l'americana Eunice Lipton. L'editore Thames and Hudson ha appena pubblicato a Londra il suo libro Alias Olympia. Una donna alla ricerca della famigerata modella di Manet e dei suoi desideri. Buttando all'aria gli archivi del Musée d'Orsay, l'autrice ha scoperto che la rossa conturbante che fissava da un quadro i visitatori del Salon del 1865 giunse ad essere ammessa, trentotto anni dopo, nell'autorevole Société des Artistes Francais. Per averla ritratta distesa nuda su un letto, pigramente servita da un'ancella, il pittore quasi rischiò il pestaggio, e il dipinto dovette essere protetto dalla forza pubblica. «Perché tanto putiferio? - si chiede l'autrice -. Tutti i grandi artisti avevano sempre dipinto donne nude. Ma in questo caso la gente si ritrovò di fronte a una donna che aveva un "no" scritto negli occhi, una donna che diceva: questo corpo è mio». Figlia del popolo, sapeva di essere bella e quando Manet le propose di posare per lui accettò senza indugio. Diede un volto e un corpo anche alla scandalosa figura femminile del Déjeuner sur l'herbe, seduta senza veli su un prato accanto a due uomini vestiti. Il pittore la ritrasse ben nove volte: sono sue le sembianze di La donna con il pappagallo e di Victorine nel costume di un espada. Ma fare la modella non le bastava. Aveva probabilmente imparato a usare il pennello posando per Couture, maestro di Manet, che aveva uno studio apposito per le studentesse. A ben quattro edizioni del Salon partecipò Victorine, non più come modella ma come pittrice: nel 1876, 1879 (quale non fu la sorpresa di Manet quando in quest'occasione si imbatté nella sua «Olympia» che esponeva raggiante una Borghese di Norimberga nel Cinquecento), 1885, e infine nel 1904. E pensare che critici e storici la davano per morta attorno al 1892, consunta dall'alcol. Invece campò, ottuagenaria, fino al 1928. Nessuno dei suoi quadri è sopravvissuto; sappiamo tuttavia che lo stile era accademico. Ai funzionari del censimento del 1906 dichiarò altera: «Sono un'artista». «Si considerava una pittrice - spiega Eunice Lipton, innamorata dell'indomabile Meurent - ed ebbe un certo successo. La mia non è una biografia, ma uno studio politico. Volevo capire come una ragazza povera dell'Ottocento aspirasse a un mestiere che la sua classe sociale e la sua condizione di donna non le permettevano di fare. La verità su Victorine è stata nascosta da pittori maschi come Goenutte, che anziché ritrarla al lavoro ce l'hanno tramandata, non più giovane, come una beona, una prostituta degradata sull'orlo del disfacimento: era questo lo stereotipo della modella». Anche scrittori e storici, uomini naturalmente, hanno le loro colpe. Zola scrisse: «Olympia l'avevamo incontrata per la strada». Adolphe Tabarant, autore di una monografia su Victorine recuperata da Eunice Lipton, aggiunse che negli Anni Novanta la Meurent «tentava di vendere i suoi disegni ai suoi compagni di una notte... ma non disegnava più bene. L'alcol fu la sua rovina finale. Un quadro di Goenutte la ritrae sprofondata in una sedia, la chitarra in una mano e la bottiglia nell'altra. (...) La sua fu una vita maledetta e finì nel disastro». Calunnie, incalza l'autrice. Tabarant ha rimosso gli ultimi trent'anni di Victorine. «Olympia» non sarebbe stata accettata in nessuna corporazione di artisti, qualche anno dopo, se non avesse saputo disegnare e dipingere. C'è di più: dal certificato di ammissione alla Société des Artistes risulta che la Meurent ebbe due mallevadori illustri, Tony Robert-Fleury, direttore e fondatore dell'organizzazione, e Charles Hermann-Leon, rispettato pittore di animali. Per mantenersi faceva non la meretrice, ma l'usciere in un teatro. Dopo la morte di Manet, Victorine scrisse alla vedova per ricordarle una promessa del pittore: «Avrebbe stanziato una sommetta per me quando non avessi più potuto posare. Mi assicurò che mi avrebbe aiutato a trovare un lavoro come usciere», recita il manoscritto su cui la Lipton ha messo le mani. Madame Manet non si degnò mai di risponderle. «Ma nonostante il rifiuto, quel lavoro lo ottenne davvero», esclama l'autrice. Dopo un misterioso viaggio in America (per seguire un amore, vuole la tradizione; per cercare fortuna coi propri quadri, ipotizza la studiosa), Victorine si stabilì a Montmartre. Non si sposò mai. Nei caffè degli artisti si faceva chiamare La Giù, la colla, e condivideva il letto con una prostituta, Marie Pellegrin, al numero 6 del boulevard de Clichy. Dal 1906 al 1926 visse con Marie Dufour, pianista. Erano amanti? «Lo spero», conclude con enfasi la Lipton, che alterna il resoconto delle proprie ricerche con brani romanzati scritti in prima persona dalla sua eroina. E bisbiglia: «Ho soltanto riscritto la storia che Manet ha dipinto». Maria Chiara Bonazzi «Victorine» viveva aMontmartre non si sposò mai. Ma fu ammessa alla Società degli artisti francesi Edouard Manet. A sinistra «Olympia». Una storica dell'arte femminista, l'americana Eunice Lipton, riabilita la modella