Il segretario annuncia che la dc cambierà nome e le sue dimissioni dopo il congresso Martinazzoli: «Ecco il partito popolare» di Fabio Martini

Il segretario annuncia che la de cambierà nome e le sue dimissioni dopo il congresso Il segretario annuncia che la de cambierà nome e le sue dimissioni dopo il congresso Mqrtintmoli: «Ecco il partito popolare» Addio ai vecchi notabili: finito il partito delle tessere ROMA. Ride e non la smette più di ridere Mino Martinazzoli, l'uomo dalla faccia quaresimale. Ha appena finito di parlare, la platea 10 acclama, ma lui più di tanto non si offre. Si risiede e invita a sedersi anche il cancelliere Helmut Kohl, che è lì al suo fianco. Ma lo scroscio continua caldo, Kohl invita il suo amico Mino a ritirarsi su e lui, finalmente esilarato, si asciuga la bocca con un fazzoletto celeste e si rialza per godersi il trionfo. Ma si giustifica: «Lo faccio per i fotografi...». In platea Rosy Bindi applaude felice, ma qualcun altro mastica amaro: lontani dai riflettori, il «Masaniello» della de del Sud Clemente Mastella va su e giù, si agita come un leone in gabbia e Pierferdinando Casini, leader dei moderati, è fermo al suo posto, cereo in volto. In questa istantanea sul palco c'è la quintessenza della giornata inaugurale della conferenza programmatica della de. Mino Martinazzoli l'ha aperta, battezzando 11 nuovo nome («partito popolare») ripetendo che il simbolo non si tocca, sbarrando la porta alla Lega, senza spalancarla al pds, anche se il colpo di barra più forte - quello che ha stordito gli ultimi notabili - l'ha dato sul piano del rinnovamento della classe dirigente. A chi puntava a tanti comitati regionali, che decidessero le liste per le elezioni, Martinazzoli ha sbarrato la strada senza equivoci: «La selezione dei gruppi dirigenti» continuerà ad essere fatta a Roma e dunque dovrà essere posto «un limito ai mandati» parlamentari. Un messaggio che, dopo tante parole, potrebbe diventare regola scritta al termine di questa assemblea, completando così il più radicale e rapido rinnovamento di una classe dirigente di partito mai avvenuto in Italia: assieme ai vecchi capi (Andreotti, Gava, Forlani) e ai loro colonnelli (Pomicino, Prandini, Sbardella, Bernini) azzoppati tutti da Tangentopoli, con la nuova regola uscirebbe di scena anche gran parte del gruppo parlamentare. E per dare forza al suo messaggio, alla fine del suo discorso Martinazzoli ha fatto un annuncio per nulla scontato: «Porterò il partito fino al congresso, che spero si tenga entro l'anno e poi mi dimetto». E per far capire che il suo non è un soltanto un bel gesto Martinazzoli aggiunge: «E' giusto così-, per dimostrare il disinteresse di uno che fa una cosa come quella sto facendo io». La convention chiamata a sciogliere virtualmente la de, il partito-Stato, si apre pochi minuti dopo le cinque della sera sotto le volte di quel palazzo dei congressi dell'Eur, voluto da Benito Mussolini proprio negli ultimi anni del regime, una coincidenza se non ci fosse Raggravante» che domani è il 25 luglio. Martinazzoli ha il vezzo del naif, di quello che subisce i mass media, ma i suoi sanno perfettamente che il «clima» della convention conta quasi quanto le parole. E allora, ecco i 250 milioni di spesa per organizzare l'assemblea, ecco la scenografia ben studiata ed ecco soprattutto l'invito al democristiano più famoso del mondo: il cancelliere tedesco Kohl. «Spero di essere qui per portarti fortuna», ha detto il cancelliere, appena è arrivato al palazzo dell'Eur e, una volta entrato, non conoscendo l'incapacità dei partiti italiani ad organizzare congressi a temperature accettabili, è sbottato: «Ma qui fa un caldo tremendo!». E Martinazzoli: «Mica siamo al Nord». E mentre i due si intrattengono dietro le quinte, la platea si riempie. La più fotografata è Rosy Bindi, che immaginando i flash, stavolta ha pensato anche alla sua mise: veste un elegante tailleur blu, con una camicetta di seta color verde acqua. Remo Gaspari, occhialetti neri, è alla fila 14, Forlani alla fila 7 e De Mita in prima fila. Sin dalle sue prime parole si ca¬ pisce che Martinazzoli la sua partita se la gioca tutta sul rinnovamento delle facce. La sua lunga relazione non è il funerale della de e infatti Martinazzoli parla di «nuova stagione della democrazia cristiana». Certo, il segretario, pur senza far nomi, fa un' analisi cruda degli errori: «Negli anni Ottanta, in troppi siamo diventati cinici, abbiamo sbagliato tutti e chi era onesto ha difettato nella vigilanza» e dunque non è proprio il caso di «coltivare la reticenza» su «ciò che ha deviato, tradito». E' finito il «partito delle tessere, la nostra esperienza più disastrosa» ed è anche finito il tempo dello Stato assistenziale, altro pilastro della vecchia de. Si cambia nome, la de diventa partito popolare «per scandire simbolicamente un passaggio di fase», ma questo - ecco il ritornello - non significa rinnegare il passato, perché De Gasperì fondò la «de», non perché si «vergognasse del nome del partito popolare di Sturzo». Il simbolo? Non si cambia anche perché lo scudo crociato «è il simbolo che sventolò sul carroccio contro il Barbarossa!». Il partito popolare avrà una «vocazione centrista», ma è presto per dire di chi sarà alleato, gli scenari cambiano troppo rapidamente. Ma Martinazzoli fa un'apertura importante alla Quercia di Occhetto: «E' chiaro che non potremmo pregiudizialmente far rivivere nei confronti del pds una preclusione di principio». Per Bossi non c'è spazio: «Non possiamo incontrarci con la provocazione della Lega, che rappresenta la pretesa del nostro fallimento». Ma allora amici di chi? Martinazzoli, pur senza molta convinzione, si rivolge agli alleati di 45 anni. Alla fine cinque minuti di battimani. Poi tra gli applausi il cancelliere porta il suo saluto e il napoletano Alterio chiede a Mastella: «U' sentimm' a Kohl?». Fabio Martini Il segretario della democrazia cristiana Mino Martinazzoli a fianco del Cancelliere tedesco e leader della Cdu Helmut Kohl

Luoghi citati: Italia, Roma