Enimont, un'inchiesta-incubo

F: Om Enimont/ un'inchiesta-incubo Quattro cadaveri a suggello di un segreto I PROTAGONI I PROTAGONISTI SCOMPARSI F: MILANO ORSE alcuni segreti di Enimont resteranno per sempre segreti. Forse i nomi e i cognomi dei politici che pretesero e intascarono le enormi tangenti alla base della più sciagurata impresa mai nata in Italia non pqtranno più essere fatti da nessuno. Forse. Ma certamente quei nomi, e tanti altri segreti scottanti sui 4200 miliardi pubblici bruciati in due anni nella fornace di un'avventura industriale sbagliata, erano fissi nella mente di quattro personaggi-chiave, quattro protagonisti, oggi tutti morti: Franco Piga, ex ministro delle Partecipazioni statali che volle, favorì e pilotò Enimont; Sergio Castellari, direttore generale dello stesso ministero; Gabriele Cagliari, ex presidente dell'Eni; e Raul Gardini. «E' molto inquietante - ha detto Borrelli - che le indagini sull'affare Enimont siano segnate da un triplice marchio di morte, poiché anche la vicenda di Sergio Castellari è da inserire in questo quadro». Un triplice marchio di morte, dunque. Il quarto morto, Piga, è stato ucciso da una malattia e non dalla sua stessa mano. Ora quest'inchiesta appare trasformata in un incubo. Che per l'affare Enimont i partiti siano stati lautamente pagati dal gruppo Ferruzzi è certo. Giuseppe Garofano, l'ex presidente della Montedison, ha ammesso, nel suo interrogatorio, tangenti per 100 miliardi, e il totale potrebbe essere molto più elevato. A che fine, però, Gardini dispose il pagamento di quelle somme? Con chi trattò? A chi, materialmente, le versò o le fece versare? E' possibile che i personaggi arrestati ieri dalla procura di Milano - Sama, Cusani, Giuliani Ricci e Berlini - possano fornire ai giudici nuovi dettagli. Ma erano pur sempre esecutori! Non erano loro a decidere. Franco Piga, «grand commis» di Stato e grande appassionato di ville di lusso, era presidente della Consob - la commissione di controllo della Borsa - quando Enimont nacque e venne subito quotata in piazza Affari. Per Enimont Piga progettò ed impose una rivoluzione del regolamento borsistico, lasciando che ai risparmiatori venissero vendute azioni di una società appena costituita, di nessuna dimostrata affidabilità. Poi, da ministro, tenne i fili delle trattative tra Eni e Montedison. E, come Gabriele Cagliari prima di uccidersi ha raccontato ai giudici, fu proprio lui, Piga, ad impartire all'Eni gli ordini decisivi per l'acquisto, a fine '90, della quota dell'Enimont controllata da Gardini. A quanto ammontarono, esattamente, le tangenti sborsate per tutto questo? E quando vennero pagate? Ecco uno dei passaggichiave dell'intera vicenda che Piga non ha mai potuto raccontare a nessuno. Cosa aveva davvero intenzione di fare, Raul Gardini? Comprarsi lui tutta l'Enimont o venderla? Da abilissimo giocatore di poker, non l'aveva mai lasciato intendere con certezza: e le sue stesse controparti nella interminabile trattativa rimasero fino all'ultimo nel dubbio. Perché, allora, Gardini pagò le tangenti? Per vendere o per comprare? A saper molte cose al riguardo, oltre a Piga, era senz'altro Sergio Castellari, ex direttore generale del ministero guidato appunto da Piga, scomparso il 18 febbraio scorso e ritrovato morto, sette giorni dopo, nella campagna romana. Suicida con un colpo di pistola, o almeno così pareva: poi le perizie balistiche e le altre indagini di polizia hanno posto più di un interrogativo: la pistola nella fondina, il cane armato, il foro d'entrata della pallottola nella tempia sinistra, l'arma a destra. Ma Castellari di armi era pratico: prima di passare al ministero delle Partecipazioni statali aveva avuto una lunga carriera nella pubblica sicurezza. Era stato commissario e aveva svolto funzioni di polizia giudiziaria. All'epoca, si faceva ancora chiamare con il suo cognome d'origine: Cacchione. Poi, la svolta: nuovo lavoro, via quel cognome grottesco, potere e denaro. La sua villa sui colli vicino Roma, il suo tenore di vita, le compagnie, i viaggi: una vera rinascita. Pochi anni più tardi, il crollo: abolite le Partecipazioni statali, lui sotto inchiesta per Enimont. Chi lo conosceva bene lo aveva visto febbrile, stralunato, terrorizzato nelle settimane che precedettero la sua morte. Ma Castellari era sconvolto, e aveva paura. O temeva qualcuno, o meditava la fuga, oppure il suicidio. Gabriele Cagliari, invece, prima di risolversi al suicidio, aveva parlato con i giudici: ma sapeva che quanto aveva dichiarato non bastava. Che c'erano «segreti di segreti così segreti» che forse nemmeno lui conosceva, ma che gli inquirenti volevano svelare. E Gardini: quanti soldi aveva speso in tangenti per vendere Enimont, a chi li aveva dati? L'affare Enimont era il più grosso mai trattato, in un'unica partita, dal sistema dei partiti con un unico grande gruppo privato. Era l'affare-chiave per consentire alle casse dei gruppi al potere di rimpinguarsi in un sol colpo più che in tre anni di quotidiani, piccoli taglieggiamenti. Era un affare trattato ai massimi livelli: il presidente del Consiglio era Andreotti, i suoi sostenitori Craxi e Forlani. I portaborse sgobbavano, naturalmente: ma le decisioni no, non erano loro. Le decisioni venivano prese al livello più alto. Al livello di Franco Piga, Sergio Castellari, Gabriele Cagliari, Raul Gardini. Sergio Luciano Saverio Borrelli «Un inquietante marchio di morte» Sopra, l'ex ministro Franco Piga. A lato Castellari. Nella foto grande Gardini con Cagliari

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