Il Cacciatore ucciso dalla politica

u Il Cacciatore ucciso dalla politica Dall'impero di soia alla palude chimica LA SFIDA DEL CONTADINO u NA villa bianca in stile inglese con una torretta, un patio fiorito, un campo da tennis, una piscina, e intorno 20 mila ettari di pampa argentina. E' qui, a Las Cabezas, grande tenuta di famiglia delle ore felici, che avrebbe dovuto essere ambientato il suicidio di Raul Gardini e non in un appartamei. i milanese da miliardari a piazzetta Belgioioso, tappezzato di quadri d autore e percorso da un silente maggiordomo felpato. Perché nel romanzo striminzito dell'alta finanza italica, Raul, nel bene come nel male, è l'unico protagonista che avrebbe potuto uscire indifferentemente dalla penna di Kipling come da quella di Hemingway. A Las Cabezas trascorse forse l'ultimo Capodanno felice, quello del 1986, prima di affondare nella palude della chimica e di sfidarne la maledizione, ancora peggiore di Ca' Dario. A Las Cabezas Raul entrava come per incanto nella parte di White Hunter, così appropriata alla sua fisionomia: carabina in spalla, stivali da palude, sigaretta all'angolo del labbro, in una smorfia perenne che avrebbe fatto invidia a Jean Gabin. L'altra parte perfetta per lui era quella del Comandante coraggioso: aggrappato al timone, in un fortunale, con il berretto, quel berretto che indossa in una famosa fotografia, la stessa pubblicata dagli autorevoli magazine americani quando andava di moda, con loro grande tripudio, il Grande Condottiero all'italiana. Fu l'ultimo inverno veramente felice a Las Cabezas, tutto percorso dall'adrenalina prodotta dall'uccisione della preda. In tre giorni, dal 7 al 9 di ottobre, Raul, dopo aver raggiunto la maggioranza assoluta nella Beghin-Say, aveva dato l'assalto alla Montedison di Schimberni, il tempio dell'insano intreccio politica-affari, dopo aver sfidato, come mai nessuno aveva osato fare, il superiore alchimista del capitalismo italiano, Enrico Cuccia. Raul voleva entrare in Mediobanca. Cuccia, sdegnoso, l'aveva depennato e, quando lo informò telefonicamente dell'evento, forse per la prima volta in vita sua l'omino di ferro della grande finanza si sentì riappendere il telefono. E Raul non esitò neanche a mettere per iscritto tutto il suo sdegno: «Preso atto della sua volontà di non voler rispettare gli accordi e di voler ignorare il pensiero dei maggiori azionisti di Fondiaria in merito a una eventuale privatizzazione di Mediobanca - scrisse a Cuccia - ritengo non più validi tutti gli impegni presi a suo tempo con lei su Fondiaria e per il futuro la invito a rivolgersi direttamente al dottor Schimberni ...». Come dire: si rivolga al maggiordomo, chi tradisce i patti non parla più col padrone. Un sanguigno cacciatore, un testardo navigatore, un romagnolo convinto che poi conquistare il mondo non è impossibile neanche per uno nato a Ravenna, in una maniacale ricerca della sfida: nei tuffi, da giovane, nella vela, nella pallacanestro, nel tirare ai beccaccini e, perché no, nelle sfide all'ordine costituito, agli establishment Il felnelladopalla più consolidati, non soltanto Cuccia ma perfino Giscard d'Estaing, che irritò ripetutamente nel 1981, morto da poco il suocero capostipite, per impadronirsi della Beghin-Say. Altro suicidio - anche se è un giudizio doloroso - in confronto a quello di Cagliari. Da una parte, un ingegnere in grigio, creatura dei partiti, anzi dei responsabili della cambusa del partito craxiano. Dall'altro, il colpo di gistola di un Cacciatore Bianco, capace di vivere solo nella sfida e che ha trovato la morte nella sfida impari con un regime corrotto che alla fine lo aveva contagiato. Sapete qual è paradossalmente la definizione più calzante data di Gardini? Quella di uno dei suoi numerosi agiografi: «Un animale pagano». Tutti pensano che Raul, sposando Idina Ferruzzi, figlia dell'uomo più segreto e più ricco d'Italia, abbia come si dice appeso il cappello, come molti anni dopo fece suo cognato Carlo Sama con Alessandra Ferruzzi. Errore. Raul nasce ricco il 7 giugno 1933. Suo nonno Pietro, agricoltore, si era dedicato con profitto all'apicoltura. Suo padre Ivan, quando Raul nacque, possedeva alcune centinaia di ettari a Pomposa, terreni poi ceduti profittevolmente alla speculazione della seconda casa per la piccola e piccolissima borghesia. Sua madre, Bruna Piazza, era erede di una fonderia di Ravenna. Uno zio podestà di Jesolo, un'azienda materna che lavorava per la guerra fascista. Una giovinezza da playboy di rango. Nel 1949 s'innamorò di Idina Ferruzzi che, per quel che si sapeva allora, non era più ricca di lui. Serafino Ferruzzi, classe 1908, nacque padrone soltanto di 3 ettari intorno alla casa di suo padre Aldo e diventò negli Anni Settanta l'uomo più ricco d'Italia, comin¬ ciando come aiuto fattore nell'azienda agricola del marchese Cavalli, li suo primo affare risale al 1948, quando acquistò una partita di 5000 quintali di grano in Sardegna, ricavandone un utile strepitoso. L'informazione economica nacque in Italia negli Anni Settanta, ma fu solo alla fine del decennio che qualcuno si accorse che, una sperduta provincia italiana, viveva il re mondiale delle granaglie, con una delle flotte più grandi del mondo, chiatte sul Mississippi, uffici alla Borsa merci di Chicago, tenute agricole in tutti i continenti. La scoperta si deve a Giancesare Flesca, allora giovane giornalista dell'Espresso, in missione negli Stati Uniti. Scoprì che a Chicago c'era un grande Condottiero italiano di cui da noi nessuno conosceva neanche il nome. Poco dopo, la morte, gli eredi, la dynasty ravennate, il principio della fine nelle acque putride della chimica, forse non navigabili per chi è aduso ai mercati dell'agricoltura, alle chiatte sui fiumi americani, alla Borsa delle granaglie, ma non alle perverse distorsioni della politica. Serafino Ferruzzi, il vecchio fattore che una volta andò all'università a sentire una lezione di Romano Prodi per poter giudicare «di persona», si schiantò a Forlì con il suo aereo il 10 dicembre 1979. L'inchiesta è di quelle all'italiana, non si è mai saputo perché quell'aereo è precipitato, pare che anche le comunicazioni tra il comandante e la torre di controllo siano state manomesse, come nel caso del Dc9 di Ustica. Così, comunque, doveva pensarla Raul Gardini, che, in un'intervista di qualche anno fa ad Arturo Guatelli, fece una sorta di parallelo tra se stesso e suo suocero. Disse che durante le vicende dell'Enimont, la joint-venture (ma già si diceva sventure) tra Eni e Ferruzzi, lui temeva di essere ucciso, e rievocava il caso di Enrico Mattei, caduto col suo aereo a Bascapè, proprio come, quasi ventanni dopo, era capitato a suo suocero Serafino Ferruzzi. Quando quell'aereo cadde, il 10 dicembre 1979, successero un sacco di fatti singolari. Ma il più singolare e tragico di tutti fu la paralisi di Ivan. Ivan era il figlio prediletto di Raul, che, qualche anno fa, poco più che ventenne, nominò come Caligola col suo cavallo presidente della Ferruzzi, il secondo gruppo industriale del Paese. Quando Serafino morì, Ivan, allora undicenne, smise di camminare. E pare che a salvarlo dalla sedia a rotelle sia stato il fedele Vianello, marinaio delle barche di Raul, parlandogli ininterrottamente giorno e notte. Ma c'è un fatto che non molti conoscono: quando il vecchio Serafino cadde col suo aereo, mentre disegnava nuovi assetti del suo gruppo, aveva già un cancro alla Il rula ropresL'inc gola che gli avrebbe lasciato soltanto pochi mesi di vita. Raul prese subito con foga e determinazione la leadership di quell'enorme ignoto gruppo industriale di famiglia. Racconta Cesare Peruzzi, uno dei biografi di famiglia: «Si riunirono in sette: Arturo, Idina, Franca e Alessandro, i quattro figli di Serafino; Raul Gardini, marito di Idina, Vittorio Giuliani Ricci, marito di Franca, e Emanuela Serena Monghini, moglie di Arturo (Sama non era ancora apparso'all'orizzonte, ndr). Come avrebbero affrontato i problemi della successione ai vertici della Ferruzzi? Chi avrebbe preso in mano le redini del gruppo?». Le società del gruppo erano fortemente indebitate, ma la famiglia disponeva di mezzi quasi sconfinati, mille miliardi di allora, quando l'intera capitalizzazione della Borsa era 17 mila miliardi e il gruppo Fiat valeva 400 miliardi. Raul, Unto dal Signore, divenne il Grande Condottiero dell'emergente Italia capitalista finché non incappò, sciagurato, nella maledizione della chimica e, forse, in quella di Ca' Dario. L'anedottica degli incredibili Anni Ottanta è ormai infinita. Raul si compra l'Eridania, il maggior gruppo zuccheriero d'Italia, e il presidente Giuseppe De André, padre del cantautore, che fa? Gli nega sprezzante i conti aziendali. Si lancia nel progetto soia e in quello della benzina verde, dell'etanolo, che ne fa un protagonista multimediale a livello internazionale. Ma quando scatta il progetto come sempre passionale e irrefrenabile di scalare la chimica, i sogni diventano incubi. Chi tocca la chimica muore. Ma per capirlo, il Cacciatore Bianco dovrà arrivare all'Enimont. Andreotti, Craxi, Forlani, Gava... Chi sono costoro? Più o meno quegli stessi inaffidabili politici che il suocero di Raul Serafino era sempre riuscito a tenere a distanza. Non perché non lo incuriosissero, ma perché, ex vicefattore, sapeva che portavano con loro la rovina. Ma le seconde generazioni in Italia - si sa - non resistono al fascino della politica e ne ricavano bancarotte. Perché la politica è potere, ben altro che i vagoni di soldi accumulati sui campi, insufficienti a rendere la vita vivibile per chi ama rischiare. Ma insufficienti soprattutto per chi, avendo tutto, si perde in impossibili sogni di potere. Pippo Garofano era latitante da sei mesi e, forse, tornando e parlando un po' ha provocato il suicidio di Gardini, ma non certo per quel falso in bilancio da 320 miliardi o per quella speculazione immobiliare da 80 miliardi. Bazzecole. Quando si parla di un evento tragico come il suicidio di Raul Gardini, non è lecito maramaldeggiare su una famiglia di Buddenbrook ravennati, comparse esili di una fallita saga familiare di livello. Ma la frattura con Raul, la liquidazione, i poco dissimulati improperi reciproci, diventeranno ormai capitoli essenziali di una storia di fine regime. Raul abbandona la famiglia di Serafino liquidato con 505 miliardi, parte di quei 2800 e rotti miliardi ottenuti dall'erario per scindere l'Enimont. Non tace. «Mi sono sempre comportato come un guerriero - dice -, non ho mai avuto la percezione della responsabilità di avere una famiglia...». E che famiglia. Un inferno di individualità di provincia impazzite. «Non ho mai preso niente per me», proclama Raul in una delle sue ultime esternazioni seguite all'estromissione familiare. Può darsi. Lui aveva un grande sogno di potere. E più che prendere, forse ha dato. Ma, dopo di lui, tutto si è frantumato nelle mani di quelle povere comparse che attraverso improbabili mediatori credevano di ascoltare ogni fiato di Craxi, Andreotti, Forlani... Non si è sparato a Las Cabezas con una carabina da caccia, come sarebbe stato naturale per un tenebroso del filone hemingwayano, ha posto fine ai suoi giorni in un appartamento milanese da miliardario, mentre la pletora familiare starnazzava a Ravenna, sempre scontenta della qualità e della durata degli agi dovuti al mitico Serafino. Anche i ricchi rubano, dicono a Ravenna. E quando sono stupidi lo fanno stupidamente. Rimproveravano a Raul di foraggiare i politici. Dopò di lui l'han fatto con anche maggior vigore. Un pensiero addolorato, tutto sommato, al Cacciatore, ucciso dalla politica, dall'ansia di potere e, se volete, dall'utopico disegno industriale di un appassionato di beccaccine. Ma soprattutto dall'antico, grande dramma d'Italia: «Tengo famiglia». Alberto Staterà Il felice Capodanno '86 nella tenuta argentina dopo aver dato l'assalto alla Montedison Il ruolo della famiglia, la rottura: «Non ho mai preso niente per me» L'inchiesta e il suicidio