SPARATE SULL'ANALISTA
SPARATE SULL'ANALISTA SPARATE SULL'ANALISTA James Hillman si pente e si sfoga in un libro-intervista Da chierico della psicoterapia a nemico dei «lettini» SISTEMATO il marxismo, adesso è il turno della psicoanalisi. E non mi riferisco alla cultura scientifica, che da sempre l'ha considerata con sufficienza. L'attacco arriva dal cuore stesso della cittadella, da chierici invecchiati nella pratica analitica, che improvvisamente dichiarano il loro disgusto per i miti e i riti che sino a ieri giustificavano la loro esistenza. Caso esemplare è questo 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, di James Hillman e Michael Ventura: il titolo del libro, nella sua voluta brutalità, dice tutto. Formalmente, si tratta di una lunga intervista e di uno scambio epistolare, ma ci si accorge subito del trucco. L'intervistatore, che è il Ventura, è quello che in altri tempi si sarebbe detto un «utile idiota», in altri termini un cretino entusiasta, il cui compito è quello di funzionare come cassa di risonanza per gli oracoli del corrucciato Maestro, rinforzandone e amplificandone i veementi anatemi. Sciolto così da ogni vincolo, e felicemente esentato dall'obbligo di giustificare le sue affermazioni, Hillman si abbandona a un compiaciuto monologare, che sarebbe poco interessante se non rivelasse un disagio che va ben al di là delle idiosincrasie dell'autore. Ma procediamo con ordine. Nella sua requisitoria Hillman allinea una serie di argomenti, che in parte corrispondono a vecchi luoghi comuni della polemica antianalitica, e in parte rappresentano delle amene bizzarrie. Tra i primi: l'idea che la psicoterapia allontana dai compiti politici e sociali, favorendo l'intimismo, la passività e una sorta di morbosa introspezione («Lavorare su di sé fa parte della malattia e non della cura»); che è un fattore di normalizzazione e di adeguamento al «sistema»; che il sistema, a sua volta, è un mostro proteiforme, il cui scopo è quello di asservire gli individui facendone degli schiavi; che i disturbi pischici dipendono alla fi- mi della perdita, della delusione e della nostalgia. Come è accaduto per il marxismo, anche per la psicoanalisi è venuta meno la speranza che potesse redimere il mondo, appianare i contrasti, dare una risposta definitiva, e insomma, concludere la storia, la nostra di individui e quella, sanguinosa, del mondo. Il giocattolo si è rotto e il bambino lo butta via con rabbia. Ma poi, anziché chiedersi come mai aveva pensato che la psicoterapia potesse soddisfare delle aspettative così grandiose corre affannosamente, ciecamente, alla ricerca di un nuovo giocattolo. Proprio come certi comunisti delusi hanno abbracciato il buddhismo o la mistica dell'ecologia, Hillman scopre tutte insieme la politica, l'ecologica e la ribellione permanente. Perdute delle certezze, se ne cercano altre, e questo viene chiamato rivoluzione. Naturalmente, fare i capricci è legittimo e può anche essere utile, ma non bisogna pretendere di trasformare un gioco di metafore inconsulte in un compito epocale. Di fronte a questo naufragio annunciato con le trombe ma che poi finisce con l'essere recitato in un salotto o di fronte alle telecamere, vien voglia di tessere nuovamente l'elogio della mediocrità, tanto invisa al nostro autore. La mediocrità del terapeuta, del paziente e dell'analisi stessa, che sono ben lontani dal corrispondere a quelle figure che Hillman costantemente idealizza, nel bene come nel male. L'elogio di un lavoro incerto e non garantito, faticoso e spesso inutile. La psicoanalisi, come la politica, non salverà mai nessuno (salvare poi da che? dalla vita?), ma può darsi che qualcuno sia indotto a convivere un po' meglio con il proprio male. E che gli resti allora un po' di energia da dedicare al male collettivo.
Persone citate: Hillman, James Hillman, Michael Ventura
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