LEGA LIBER

LEGA LIBER LEGA LIBER Un boom di titoli per Bossi LA Cosa leghista cresce a dismisura, si dilata, travolge ogni ostacolo e nel suo cammino trionfale demolisce pure suggestive teorie e collaudati schemi concettuali. Per esempio l'immagine del «villaggio globale» della comunicazione coniata da Mac Luhan e divulgata da schiere di epigoni abusivi: colata a picco anch'essa, visto che il più grande rivolgimento elettorale del dopoguerra è maturato fuori dei teleschermi, senza l'ausilio dei titoli dei giornali, lontano dai circuiti ufficiali della piazza telematica. Chi sostiene che la politica è oramai diventata «videopolitica» e che soltanto la tv e i giornali sono in grado di conferire visibilità, consistenza e persino realtà a qualsivoglia fenomeno sociale e politico, provi a spiegare l'irresistibile ascesa della Lega, coacervo magmatico di umori e risentimenti ignorato per anni dalla tv, trascurato dagli intellettuali pigri e sussiegosi, esorcizzato dai mass media. In principio era il leghista vissuto e dipinto come un rubicondo energumeno, versione padana del Klu Klux Klan impegnata a tempo pieno nella caccia al terrone, ebbra di una truce e greve xenofobia distillata nell'atmosfera un po' alticcia di qualche bettola brianzola o di qualche osteria della Val Trompia. Poi s'è aggiustato il tiro, ma sempre nell'ambito della caricatura folkloristica e della macchietta di colore. E il leghista è diventato un essere grossolano ed egoista, dedito al turpiloquio, digiuno di buone maniere, spaccone viriloide incline alle millanterie sessuali e nient'affatto versato nella grammatica. Fino a che non si è scoperto che ad SMILANO A fissare il male di vivere senza sciogliere un'emozione. O celando le emozioni in una fodera di ghiaccio, gelida come la tappezzeria a righe azzurrine della casa di Livia, la figura che domina I dimenticati (Feltrinelli, pp. 138, L. 20.000). Laura Bosio si presenta così: narrando un'«allucinazione ordinata», il dissolvimento di un gruppo di famiglia (con amico incorporato) tra provincia e metropoli. Età avvolta nel riserbo (ma la linea d'ombra va sfumando), il volto fintamente pacioso, forse il calco di una bambola Lenci, Laura Bosio ha lottato a lungo con / dimenticati. Salvo trovar loro subito casa: «La Feltrinelli non ha esitato ad accoglierli. Sì, sono la mia opera prima. Nell'87, lontana avvisaglia, era apparso sulla rivista "Paragone" un racconto, "Il direttore della biblioteca"». Piglio spagnolesco o spagnoleggiante, ma temperato da antiche, piemontesi ritrosie (è originaria di Vercelli), Laura Bosio vive da vent'anni a Milano, dove si è laureata in Lettere: «Oltre a scrivere, traduco, saggi inglesi e francesi, l'ultimo sulle società primitive». Nelle guance («illuminate») e nelle labbra («strette») potrebbe annidarsi un'eco di Carla degli Indifferenti, l'annuncio della cifra moraviana che inanella I dimenticati. Simile è il corso narrativo: Livia, morto il padre, diventa quasi per inerzia l'amante del migliore amico di lui (negli Indifferenti l'amante di Carla, Leo, seduce la figlia di lei). Identica l'impermeabilità alla tragedia, ma con un distinguo: i borghesi di Moravia sono indifferenti al codice morale (il che implica conoscerlo); le anime perse della Bosio invece lo ignorano (o non lo ricordano più), immerse come sono nell'oblio. «Moravia, certo. E Svevo, Bontempelli, il "naturalismo" di Re¬ essere folgorati dal verbo di Alberto da Giussano sono fior di professionisti, stuoli di manager, schiere di economisti, sciami di rampolli della borghesia. Qualcosa non tornava nello stereotipo del leghista bieco e manesco. E anche l'editoria, sia pur tardivamente, ha deciso di correre ai ripari. Dopo le biografie di Bossi (tra le quali spicca II vento del Nord di Daniele Vimercati, edito dalla Sperling & Kupfer), arrivano le ricerche sul linguaggio del Carroccio (come lo studio di Stefano Allievi, Le parole della Lega, pubblicato l'anno scorso da Garzanti), ma adesso anche sui valori, sul radicamento territoriale, sull'identità culturale, sulla peculiarità antropologica del movimento che con sorprendente rapidità, tra lo sconcerto dei commentatori, ha occupato un posto di cruciale importanza nel panorama politico dell'Italia. Lo sfondo urbano che fa da cornice alla spettacolare crescita della Lega nel Nord della Penisola diventa anche materia prima di approcci narrativi a metà strada tra il reportage e l'indagine etnologica come nel Candido Nord. Agi e disagi di una provincia perbene scritto da Oreste Pivetta per l'editore Feltrinelli (pp.125, L. 16.000). Il filtro narrativo permette a Pivetta di rendere espliciti i suoi malumori e le ripulse maturate in una Pordenone resa irriconoscibile dalla mutazione genetica degli anni Ottanta: una città ricca e ingorda, meschina e opaca, stordita dalla crescita vertiginosa dei consumi. La metafora del «candido Nord» che ha nutrito e accompagnato la crescita aggressiva del leghismo, ridotto stavolta alla negatività assoluta di una perversione morale, a un fascio di egoismi e di nequizie etiche, di arroganza e di revanscismo sociale. Come se gli «interessi» fossero sempre e irrimediabilmente materia disdicevole, contabilità senz'anima, politica dell'inconfessabile tornaconto privato. E non fossero anche, come viene descritto nel libro di Ilvo Diamanti pubblicato da Donzelli con il titolo La Lega. Geografia, storia e sociologia di un nuovo soggetto politico (pp.127, L. 28.000), poderosa «produzione di simboli e di messaggi». Ecco la chiave delle incomprensioni e degli snobismi con cui la cultura italiana ha accolto, e tuttora commenta con il soccorso dei più collaudati rituali esoreistici, il fenomeno leghista. «Le leghe non si muovono sul terreno dei nuovi bisogni di segno culturale e postmaterialista (la pace, il rapporto uomo-ambiente), ma in prevalenza sul terreno di questioni tradizionali, di segno neomaterialista (il fisco, il contrasto di interessi NordSud)», scrive Diamanti. E che la questione fiscale, la destinazione delle risorse pubbliche, il peso esorbitante dello Stato nella sfera dell'economia e della produzione della ricchezza fossero matrice e alimento di scelte ad «elevato contenuto simbolico» nelle regioni più «industriose» dell'Italia, questo fatto soltanto una cultura imprigionata nelle sue pigrizie mentali poteva non prevederlo. E per colmare il vuoto analitico sulla «questione settentrionale», la rivista Meridiana edita da Donzelli dedica a questo tema un numero monografico con interventi di Silvio Lanaro, Mario Isnenghi, Roberto Carocci, Mario Caciagli, Ilvo Diamanti, Fabio Levi, Giuseppe Berta e Paolo Perulli. Viene messo in luce da Isnenghi il profondo radicamento di stereotipi culturali, oggi riaffiorati con l'insorgenza leghista, ma

Luoghi citati: Giussano, Italia, Milano, Vercelli