VINCENZO PARDINI UN MULO PER AMICO di Natalia GinzburgGiovanni TesioVincenzo Pardini

VINCENZO PARDINI UN MULO PER AMICO VINCENZO PARDINI UN MULO PER AMICO dine. Paesaggio di frontiera, aspro di un'asprezza solenne e simbolica, lo stesso dei racconti Il falco d'oro, che uscirono dieci anni fa da Mondadori presentati come un esordio da Natalia Ginzburg. Un linguaggio saporoso Poi la natura di un linguaggio forte e saporoso, che ha cadenza antica e piccoli innesti di parlata rustica, strappata all'omologazione dei tempi e all'arroganza di troppo rarefatta educazione letteraria. Parole come «zingheri», «controra», «tenimenti», «apposarsi», «sizza», «pressa» sono i relitti non ancora fossili di un mondo in abbandono e costituiscono la luce di un lungo crepuscolo. Ma soprattutto convince la storia narrata, piace il protagonista inconsueto, il mulo Giovale, con cui l'io narrante scopre una fraternità che non trova coi suoi simili e riesce a stringere un'intesa che «non Carlo Goldoni Si celebra quest'anno il bicentenario della morie suo mmuzioso lavoro esplorativo, Bertani arriva ad affrontare un tema assolutamente imprevedibile: la religiosità di Goldoni, testimoniata apertamente in alcune composizioni poetiche, ma tenuta in ombra nelle opere teatraM. Per quanto taciuto, il tema religioso è tuttavia rivelato dalla continua distinzione tra bene e male, dalla propensione al perdono e non all'assoluzione: «Il suo teatro appare naturaliter cristiano. Anche per quello che tace, rna soprattutto per come imposta i rapporti tra la gente». Ugualmente densa di scoperte è la seconda parte, quella in cui l'attenzione di Bertani si trasferisce sulla scena dove Goldoni non è mai stato uguale a se stesso, ma ha assorbito il pulviscolo e le dorature dei suoi interpreti: Strehler, Squarzina, Ronconi, Castri... lo. g.] ha parole», un vero e proprio legame di parità umana: «Sono di fronte a un uomo, un grande uomo». La storia di Giovale e la storia dell'io narratore procedono congiunte. I due si studiano, si scrutano, fanno mosse di avvicinamento, guadagnano posizioni e le perdono. Il loro addomesticamento è reciproco, ma va per linee sghembe. Tutto inizia con un viaggio concreto e tutto finisce - si fa per dire - con uno sguardo metafisico alle stelle, alla cosmica radice dell'essere. La Barga pascoliana sta infatti sullo sfondo, non distante. Nei lacerti narrativi di un diario tenuto dal 10 settembre 1989 al 20 dicembre 1990 (più un Prologo e un Epilogo compiutamente simmetrici), si aprono gli squarci di una memoria che recupera il tempo a scaglie, per brevi intermittenze e scarti narrativi. L'io che narra registra i suoi fiati d'angoscia, la sua sessualità robusta, il ricordo di una donna dai capelli «bai», con la quale ha compiuto un viaggio in Marocco tra estatico e avvilente. Sempre il passato s'incunea nel regime naturale dei giorni, delle brume mattutine, dei villaggi in abbandono, delle notti solitarie. I pensieri dell'uomo si distillano nel silenzio dei luoghi e a volte gravano come un macigno: «L'angoscia mi ha imbracato l'anima». Resta la forza netta delle parole-cose, resta la vitalità di un paesaggio emblematico, resta il mistero di un'intesa che si svolge entro un mondo separato in cui tocca al diarista incidere le sue epigrafi più irte e liricamente incisive: «Lontano dal mondo sono felice. Esisto per quello che vedo e respiro». Giovale, il mulo-uomo, ruvidamente consola. Giovanni Tesio Vincenzo Pardini Giovale Bompiani pp. 89, L. 22.000

Luoghi citati: Barga, Marocco