Rimpianto in bianco e nero per la tv targata Bernabei di Ettore Bernabei
Rimpianto in bianco e nero per la tv targata Bernabei Rimpianto in bianco e nero per la tv targata Bernabei IL PARTITO DEI NOSTALGICI OSTALGIA in bianco e nero. Anni Sessanta, tv ingessata ma educata e pulita, Carosello, Lassie e II mulino del Po. Monopolio forte. Ah, quando c'era lui... Lui chi? Ma sì, Ettore Bernabei, l'amico di Fanfani, il direttore di ferro, «l'imperatore Rai», come lo definiva il quotidiano Le Monde. Il rimpianto dilaga. Trasversale e incontenibile. Giornalisti, intellettuali, direttori di programmi. L'ultima lacrima l'ha versata l'altro giorno in un'intervista a La Stampa il direttore del Tgl Albino Longhi, dimissionario: «Sì, rimpiango Bernabei e il gruppo dirigente fortissimo che c'era allora...». Il partito della nostalgia. La tv di Bernabei? Politicamente imbalsamata certo, ma, secondo molti, addirittura migliore di quella di oggi. Cominciò l'attuale direttore dell'Unità Walter Veltroni che, anche a quegli anni, ha dedicato nientemeno che un libro, I programmi che hanno cambiato l'Italia (Feltrinelli): «Quando c'erano il vecchio televisore e il monopolio c'era anche un mix di televisione e spettacolo che serviva a farci migliori». «Era una bella tv quella di Bernabei, anche se politicamente odiosa». Veltroni diede il «la» e da allora l'orchestra non ha smesso di suonare. Rimpianto fra i partiti, ricordi e sospiri di protagonisti e registi (da Renzo Arbore a Ugo Gregoretti), lacrime struggenti fra i cattolici che in polemica con la «tv spazzatura» di oggi e per il ritorno a una «tv per famiglie», hanno promosso con l'editrice II Carroccio di Padova una petizione che ha raccolto un milione di firme. Il settimanale L'Espresso, pubblicando un dossier sulla tv, lo ha intitolato: «Ridateci Bernabei». E dal mercato dell'home-video arriva ora una conferma. Alcuni fra i programmi più celebri di quegli anni, sono finiti in videocassetta: Rin Tin Tin e Lassie, pezzi forti della tv dei ragazzi, ma anche gli sceneggiati di Nero Wolfe, diretti da Giuliana Berlinguer con Tino Buazzelli nella parte dell'investigatore, e Le inchieste del commissario Maigret interpretato da Gino Cervi. Una bella rivincita. La «tvfocolare», bandita dai programmi e relegata in soffitta, torna nelle case degli italiani in cassetta. Altri rimpianti per la Rai di allora: poca pubblicità e gli spot di Carosello, i cavalli di Bonanza che galoppano per le praterie, il quartetto Cetra e il maestro Gorni Kramer in prima serata con Giardino d'inverno. Ha visto, dottor Bernabei? Anche Longhi ha detto di preferire la sua Rai a quella di oggi. Perché? «Mah, forse perché il gruppo dirigente era molto unito, motivato. Forse perché a quei tempi si lavorava anche con lo scrupolo di fare una televisione buona, formativa. O forse perché c'era anche più rispetto per il pubblico». Vuol dire che oggi questo rispetto non c'è? «Voglio dire che non c'era la caccia esasperata all'audience: tanti spettatori, tanta pubblicità e quindi tanti quattrini. Non si lavorava in funzione della pubblicità, allora. E soprattutto c'era più rispetto per la realtà, per la gente vera, quella che lavora, che alleva i figli, li manda a scuola, la gente che incontri sul tram o per la strada, la gente che non ha niente a che fare con i film tipo Beautiful o con certi programmi di oggi che sembrano girati sulla Luna». Faccia un esempio. «Ricordo un film a puntate sulla mafia, trasmesso dalla Rai. Una trama, le indagini, personaggi più o meno centrati. A un certo punto il protagonista entra in un appartamento. Percorre pochi passi, poi si spoglia e si mette a girare nudo. Una stanza, poi l'altra, finché incontra un letto dove riposa una signora. La guarda e si sdraia pure lui. La scena dura alcuni minuti. Ora, io mi chiedo: che cosa c'entra tutto questo con la trama del film, con la lotta alla mafia?». Che cosa c'entra? «Nulla: è la logica della tv di oggi. Il sesso fa audience, avan ti col sesso». Che cosa farebbe, lei, al posto del neopresidente della Rai? «Per fortuna io ho fatto il diret tore e non il presidente. I prò blemi che lui deve affrontare sono molto più complessi di quelli che dovevo affrontare io. Non posso che fargli gli augu ri». Qual è il suo direttore ideale? «Un uomo che abbia professio nalità e autonomia». Di che cosa ha bisogno, og gi la Rai? «C'è un problema di fondo. Che non è tanto quello di fare epurazioni o di pretendere tagli drastici per risanare subito e in modo traumatico i bilanci. Il problema vero è che la Rai continui a garantire una buona programmazione ai telespettatori italiani». E pensa che questa Rai, la Rai di oggi, sia in grado di farlo? «Credo che la Rai abbia ancora al suo interno capacità professionali e, forse, anche capacità culturali per essere protagonista». Perchè, quel «forse»? «Perchè la Rai deve ritrovare una "cultura": una cultura del servizio pubblico fondata su una forte professionalità, ma anche su valori veri e positivi». Mauro Anselmo L'ex direttore generale: «Il problema vero per la Rai non è di fare epurazioni ma bei programmi» In alto: un'immagine di Carosello, programma emblematico della tv Anni Sessanta Qui di fianco il direttore dimissionario del Tgl Albino Longhi Nella foto in alto a sinistra: Ettore Bernabei ex direttore generale della Rai
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