De anno zero senza Andreotti & C. di Augusto MinzoliniEnzo Carra

De anno zero, senza Andreotti & L Gli inquisiti esclusi dall'assemblea, Carra polemico: grazie per il benservito De anno zero, senza Andreotti & L Martinazzoli: non imitiamo la sciagura del psi POCHI SOLDI E POCHI BIG SROMA UGLI inviti per l'assemblea costituente il vecchio nome, de, già non c'è più, è rimasto solo il vecchio simbolo «scudocrociato» con la scritta Libertas. Anche il lusso di una volta, quello degli anni d'oro, delle lunghe file di auto blu e delle riunioni segrete nelle sale appartate degli alberghi cinque stelle è un ricordo: le spese di vitto, d'alloggio e di trasporto sono tutte a loro carico e per chi vuol risparmiare è allegato un elenco di alberghi convenzionati. Sì, non è più tempo di Tangentopoli. Pure il costo ufficiale per l'allestimento dei locali del palazzo dei congressi dell'Eur che ospiterà da oggi l'assemblea è contenuto: non più di 240 milioni. In platea, poi, non si vedranno le facce di Giulio Andreotti (che invierà una lettera), di Antonio Gava, di Paolo Cirino Pomicino, di Gianni Prandini e di tanti altri. Né ci saranno le apparizioni dei manager e dei boiardi di Stato vicini al partito o quelle delle dive dello spettacolo sponsorizzate scudocrociato. «Non voglio riproporre - ha spiegato lo stesso Martinazzoli a chi ha insistito per esserci - l'immagine sciagurata della vecchia assemblea socialista». Ma alla fine qualche testardo che è riuscito ad accaparrarsi l'invito ci sarà lo stesso, come il vecchio Ettore Bernabei, inventore della Rai democristiana, che sarà presente ma con il titolo, glielo ha affibbiato lo stesso Martinazzoli, di «pensionato». A Enzo Carra, ex-portavoce di Forìani finito nella rete di Tangentopoli, qualcuno ha invece consigliato di stare lontano e lui c'è rimasto male e ha restituito la cortesia: «Sono stato invitato - ha fatto sapere - a non partecipare, nel contempo mi si è ringraziato per la generosità dimostrata nei confronti del partito. Non capisco di che generosità si parli. Ho subito una condanna in primo grado per non aver potuto dire ai magistrati quel che avrebbero voluto». Tra tante assenze ci sarà anche una conferma: la benedizione della Chiesa. Ieri il segretario generale della Cei, mons. Tettamanzi, ha fatto nuovamente sapere che i vescovi credono nella de o in quel che sarà e l'arcivescovo di Lecce, mons. Ruppi, ha addirittura scritto una preghiera per l'occasione. Ah, la de che cerca di trovarsai un futuro sotto un altro nome, la de che cerca di dimenticare una parte del suo passato. Una cosa è certa: non è impresa facile, né è cosa di poco conto. Anzi, a pensarci un attimo fa una certa impressione sapere che non ci sarà più la democrazia cristiana. Certo al suo posto ci sarà il «partito popolare», o l'«u- nione dei popolari», o chissà cos'altro, ma sicuramente non sarà la stessa cosa: è come se 50 anni di storia di questo Paese andassero in soffitta con quel nome. Che il fatto sia importante per la de, per i democristiani, ma anche per l'intero Paese lo riconoscono tutti. Non per nulla, nell'ora del trapasso, si sono fatti risentire anche due ex che se ne erano andati come Mario Segni e Francesco Cossiga. Certo hanno detto cose diverse, opposte, ma tutti e due, lo si è capito, sono stati presi dalla commozione. Mario Segni ha dato un mezzo appuntamento al partito che verrà: «Se le forze migliori del cattolicesimo democratico avranno la forza di rompere con il passatto... ci ritroveremo». Cossiga, invece, non ha risparmiato una battuta acida, né ha fatto capire se all'assemblea costituente non è stato invitato o se invece è stato lui a non voler andare: «I nomi - ha detto - li cambia chi si vergogna del proprio passato e lo vuole nascondere... Se mi hanno invitato? Non ne hanno avuto mai la minima, vera intenzione, ma li capisco». De che cambia neme, persone che vanno, persone che restano e, forse, persone che arrivano. Ma davvero quel che verrà sarà completamente diverso dalla vecchia de? Davvero non rimarrà un'impronta, un modo di essere che leghi il nuovo al passato? A veder le premesse non è proprio così. Anche alla vigilia di quest'appuntamento, come del resto è avvenuto per ogni congresso o assemblea importante, la de è arrivata divisa, in preda alle convulsioni di sempre. E nei nuovi schieramenti, nelle prese di posizione, nei personaggi che le interpretano si rivedono per tanti versi cose già viste. Rosy Bindi interpreta la sinistra più radicale, un ruolo che in passato, nelle diverse stagioni del partito, con stili diversi e con esiti diversi (sono diventati segretari o se ne sono scappati), hanno interpretato in tanti: per fare gli ultimi nomi, in ordine di tempo, Ciriaco De Mita e lo stesso Leoluca Orlando. Il «pomo» della discordia con il resto del partito è sempre stato lo stesso: la voglia di andare a sinistra e i furori nel rinnovamento. «La costituente - ha spiegato ancora ieri la Bindi, dopo aver chiesto anche il cambiamento del simbolo - non deve essere un pasticcio. Io sono per un partito popolare che combatta la Lega». Personaggi del genere, ovviamente, son sempre stati denigrati dal resto del partito. Oggi come in passato. Ha detto, ad esempio, appena ieri Arnaldo Forlani della Bindi: «Il problema del cambiamento del simbolo neanche si pone. Anche per noi vale una frase detta da Lenin sul comunismo: l'estremismo è una malattia infantile». Già, Forlani e il polo conservatore del partito: adesso su questa posizione troviamo i nipotini del ì'ex-segretario, da Sandro Fontana a Pierferdinando Casini. Poi, ci so no gli eredi della potente de meri dionale, i vari Mastella, Gargani e Mannino, che si stanno adattando al nuovo sistema elettorale e non vogliono vincoli per sfruttare nel maggioritario la possibilità di far ogni tipo di alleanze a livello loca le. Questi due gruppi, ieri, per far fronte ai furori della Bindi si sono riuniti insieme alla Camera al gii do: «Rinnovare senza rinnegare». Infine ci sono quelli che hanno trovato un ruolo difendendo il vecchio nome e il vecchio simbolo. C'è chi lo fa in buona fede come Luigi Granelli e chi, invece, pensa di fare un investimento come Publio Fiori che giudica l'assemblea illegittima e ha chiesto al magistrato di seque strare i beni del partito. Ieri a Bodrato che gli chiedeva il perché, Fiori in un momento di sincerità ha risposto: «Per andare sui giornali e trovare uno spazio». Tutti questi diversi gruppi a pri ma vista inconciliabili trovano un punto di riferimento, almeno per ora, nella figura di Martinazzoli e nella sua idea di creare un partito di centro. Il segretario tenta di tenerli uniti coinvolgendoli e mediando: così domani tra i vicepre sidenti dell'assemblea costituente ci saranno Mastella e Granelli. An che questo si è già visto. «La verità - dice Marini - è che sarebbe basta to cambiare un po' di facce. Poi, si è pensato di cambiare il nome; l'a vrei fatto subito. Vedrete, nessuno se ne andrà dalla de a meno che non si facciano gli errori di Matta rella che in Sicilia ha messo fuori senza motivo Mannino. Se non si faranno sbagli del genere, tutti ci staranno: fuori c'è il deserto». Augusto Minzolini Assenti Gava, Pomicino, Prandini Un messaggio da Segni: rompete col passato e ci ritroveremo Cossiga: non mi hanno invitato ma io posso anche capirli Qui accanto Enzo Carra A destra Mino Martinazzoli

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