LETTERA DI MINA

A Hollywood scoppia il boom dei film con protagonisti a quattro zampe r LETTERA DI MINA' Chissà perché Minoli non mi mette tra i buoni CARO direttore, una singolare congiuntura nella programmazione fa in modo che, per due giorni di seguito, mercoledì e giovedì, ogni settimana, la Rai riproponga «televisione del ricordo», della quale io sono in qualche modo complice. Non chiederò clemenza per questo. Alla Bbc, che non è la Rai, ma dove si sono risparmiati l'arrivo della televisione di Berlusconi, pensano per esem-' pio che la cineteca sia la vera ricchezza di una emittente, la memoria storica per ogni confronto con chi ogni giorno crede di avere inventato la televisione ed ha invece scoperto solo l'acqua calda. Così discutere amenamente, qualche volta perfino seriamente, con Enrico Vaime, Simona Marchini e protagonisti vari in «Ieri, oggi e domani?» sulla tv che abbiamo fatto e su quella che faremo, non mi sembra una operazione oltraggiosa, specie in un'epoca dove trionfa la tv delle mode imbecilli, della curiosità morbosa e del «tanto a peso». E non posso dire che mi sia dispiaciuto rivedere a sorpresa \ Simona MarchinGianni Minoli «Il meglio di Blitz», un esperimento che 12 anni fa costrinse Baudo, già allora grande cerimoniere della domenica, a rivedere i concetti su «quello che l'italiano medio vuole in tv per divertirsi e passare il tempo». Ho letto che Minoli, al quale si deve la difesa di quella proposta, ha fatto l'elenco dei «buoni», insomma di quelli che bisogna salvare della Rai. Non mi ci ha messo. Una dimenticanza strana se poi decide di ripresentare «Blitz», un programma del quale non ero certamente solo il presentatore. Alessandra Comazzi invece, su La Stampa, mi ha voluto riconoscere il merito di quella tv ricca di idee e di ospiti che adesso non si può vedere quasi più. Il segreto consisteva nel documentarsi molto sul personaggio invitato, fino a proporgli qualcosa di inedito da fare che fosse in sintonia con la sua storia e che insomma lo rassicurasse sulla sua esibizione. Era ed è una televisione ancora possibile, certo diversa dalla più facile tv delle tette, dei culi, del comico stonato, dell'immancabile imitatore, dei casi umani, dei quiz per ritardati mentali, della rissa e delle fanciulle in fiore di Boncompagni. Una tv che oltre tutto (e qui contesto quello che scriveva Alessandra Comazzi) costa meno di queste proposte che dicono siano alla moda. Noi a «Blitz» avevamo un budget di 65 milioni a puntata che, rapportato ai tempi, equivarrebbe al doppio, ma rimarrebbe comunque modesto. L'ospite costa quando sente di essere «usato» solo per far vedere la sua faccia e far sembrare più ricca una trasmissione che povera rimane, e costa ancor di più quando invece di contattarlo direttamente si passa attraverso le famose agenzie di casting, tanto care alla tv delle se- greterie dei partiti. Va detto inoltre che a «Blitz», in tre anni, ospitammo solo due politici: Pajetta che presentava il libro «Il ragazzo in rosso» e Rino Formica che comparve a sorpresa dal fu Teatro Petruzzelli di Bari in un collegamento per la manifestazione canora intitolata «Azzurro». Posso assicurare che Formica non cantò, ma io capii che, malgrado Minoli facesse muro, il vento era cambiato. Non so perché non mi abbiano più permesso in seguito di fare la televisione dove Eduardo De Filippo era collegato in diretta col carcere minorile Filangieri di Napoli o Robert De Niro, unica volta nella sua vita, recitava in diretta tv, o Benigni e Traisi si rubavano la battuta a vicenda, attendendo magari Gabriel Garcia Màrquez o Jorge Amado. Quando, dieci anni dopo, trovando io stesso lo sponsor, mi è riuscita in parte l'impresa con «Alta classe», una logica incomprensibile ha fatto programmare la trasmissione alle 21,30 interrotta da un telegiornale e da «Linea notte». Eppure era una proposta dove per esempio Ga ni ber ricompariva dopo anni con la Colli e Jannacci e il latitante Traisi si esibiva con Daniele o Dalla faceva trio con Toquinho e Chico Buarque. Nelle ultime 3 puntate si arrivò a 3 milioni d'ascolto in seconda serata, anche se nessun varietà tv avrebbe resistito ad una interruzione di mezz'ora, fra la prima e la seconda parte, per un dibattito di Silvio Lega sul futuro della democrazia cristiana. Penso sia strano che io sia ricordato invece da qualcuno come il paladino del revival, solo per aver previsto il ritorno di una moda, quella degli Anni Sessanta, sulla quale la Finin- vest e alcune car se discografiche hanno montato su un business durato anni. Forse è colpa,del mio look, dell'immagine che ho, del linguaggio che uso. E se questo è un limite imperdonabile, ammetto di essere colpevole. Non sono andato a scuola da Roberto D'Agostino. I miei maestri sono stati Ghirelli, Barendson e Zavoli. Ho imparato che è patetico usare la grinta con un ospite che viene a divertirti. E' diverso se fai un'indagine giornalistica come recentemente ho fatto per la vita di Rigoberta Menchù, premio Nobel per la pace, ma in questo settore non ho mai dovuto affrontare polemiche, salvo quando intervistai Fidel Castro e qualcuno sostenne che ero stato troppo condiscendente. Ebbi dei dubbi fosse vero, ma dopo che ho visto certe recenti interviste televisive, anche di «grandi firme» ad Andreotti e Craxi, mi sono rassicurato. In confronto ero stato un provocatore. Ma questo è l'argomento di un altro discorso, quello sull'informazione televisiva. Magari chiederò spazio a La Stampa per farlo in un'altra occasione. Grazie comunque. Gianni Mina ina | Simona Marchini Gianni Minoli

Luoghi citati: Bari, Napoli