Eros plebeo

DOMENICO REA la seduzione «A 15 anni ero già il più grande depravato d'Europa». DOMENICO REA Eros plebeo RACCONTI D'ESTATE ANAPOLI quindici anni portavo ancora i calzoncini corti ed ero il più grande de pravato d'Europa, un vero acrobata del sesso»: brillano, divertiti al ricordo, gli occhi di Domenico Rea, il vincitore dell'ultimo Premio Strega con Ninfa plebea, il romanzo più sensuale degli ultimi anni. «Miluzza c'est moi», dice don Mimi, con una punta di orgoglio e d'ironia, nella penombra del suo salotto che si affaccia sul golfo di Napoli, tra pacchi di telegrammi di congratulazioni per la sua affermazione. Il settantatreenne autore del racconto di cui è protagonista Miluzza con le sue vestine corte e l'irresistibile «purcacchiella» molti tratti in comune con la ninfetta ce li ha: se non altro perché come lei considera il sesso la cosa più spontanea e appetibile del mondo. Come lei, ne ha viste e fatte di tutti i colori, i sapori e gli odori: «Nell'amore abbiamo perso alcuni ingredienti, elementi che erano fondamentali nel passato - si lamenta Rea soprattutto gli odori. Non eravamo come siamo oggi, praticamente asettici. Detesto i profumi della civiltà». Con Ninfa plebea Rea ha ripercorso le emozioni e le impressioni della sua fatidica «prima volta». «Era un caldo pomeriggio di agosto, complice una bella bevuta di whisky, all'insaputa di mia moglie che mi controlla ho ritrovato l'atmosfera di quegli Anni Trenta». Tutto dipende dunque da quel battesimo del fuoco che don Mimi ancora oggi così bene ricorda: «Quell'incontro di quasi sessant'anni fa, a Nocera Inferiore, ha determinato la mia storia successiva, mi ha lasciato un'impronta indelebile: sono stato sedotto e da allora mi è capitato altre volte anche se mai con lo stesso coinvolgimento». Rea in quell'occasione scoprì l'eros proprio come l'avrebbe poi raccontato nei suoi libri: una sensualità arcaica, lasciva, animalesca. Ma, don Mimi, prima di addentrarsi nei particolari, un po' per scherzo e un po' sul serio propone: «Meglio uscire di casa, sa, mia moglie è piuttosto gelosa anche del passato». E così il racconto prosegue seduti al bar, con l'occhio sempre attento alla Y10 nuova di zecca che «a Napoli è meglio non perdere mai di vista». «Io ero un ragazzo di strada racconta Rea - a dieci anni il mio maestro delle elementari disse a mio padre: "Don Peppì, questo ragazzo è fatto per il ginnasio". Ma papà, ex carabiniere divenuto sensale di pomodori, non aveva i soldi per mantenermi agli studi. Divenni autodidatta. Ma soprattutto bighellonai molto per case e per strade. Tanto più che ottenni presto il chiavino, in realtà un'enorme chiave per aprire la porta di casa. E passai un'adolescenza libera e felice». Fu Eleonora, l'inquilina del piano di sopra, moglie di un ufficiale soprannominato il Re del tiro, ad adocchiare il guaglione ormai quindicenne. Fino ad allora per il ragazzino c'erano state solo sporadiche «porcherie» con le coetanee nei sottoscala e nei vicoli bui di Nocera. Anche con esiti drammatici: «Una volta fui scoperto da mio padre e picchiato a sangue. Ne parlò tutto il paese. Bisogna capire com'erano allora i rapporti tra i due sessi: si andava separati tra maschi e femmine persino in chiesa». Ma le barriere del pudore non fermarono la bella tren- tenne: «Eleonora si offri di darmi lezione di francese. E poiché erano gratis, mia madre ne fu felicissima». Galeotta fu la lingua. Da subito l'insegnante prese a riempire le tasche dell'allievo con caramelle e confetti: «Era la cosa che in quella casa mi attirava di più: tutte quelle vaschette nel salotto piene di dolciumi. Eravamo spesso soli. Eleonora a volte mi riceveva in gonna e camicetta, altre volte in vestaglia. Poi, un giorno, Eleonora si sfilò gli occhiali, mi prese per mano e mi condusse con sé nella camera da letto». La signora a poco a poco cercò di coinvolgere il giovinetto Rea in giochi sempre più proibiti a volte al limite dell'assurdo e della perversione. Lo sventurato cedette, ma senza subirne gravi traumi psicologici: «Uscivo dal suo appartamento e dimenticavo presto tutto con una partita di pallone». Ma un'influenza profonda quella vicenda gliela provocò: «Oltre a quella signora avevo anche un'altra ragazza, ma benché ormai espertissimo nelle cose di sesso, tanto da rammaricarmi un po' perché non avevo più nulla da scoprire, non osavo toccarla nemmeno con un dito. Da allora, insomma, ho cominciato a dividere le donne in due gruppi: quelle sessuate e quelle non sessuate», i Una vita movimentata, quella di Rea: non sarebbe diventato carabiniere, come sperava il padre, ma operaio in un cotonificio, emigrante e infine scrittore. In ogni «porto» in cui approdava c'era una ragazza. Come mai tante donne nella sua vita? «L'amore fisico è istinto, impulso viscerale, succede quando deve succedere. Non ho mai tentato di avvicinare una signora che non fosse disponibile e non mi sono quasi mai sbagliato». E di approcci ne ha condotti a termine tanti, lo riconosce, benché la sua vita lavorativa sia sempre stata intensissima: «Mi alzo alle sei del mattino e mi metto subito a tavolino, a volte fino alle ore piccole e, da giovane, con una buona dose di whisky accanto come carburante. Non ho mai fatto una vacanza: le detesto. Però ho avuto infinite fughe romantiche: professoresse, indossatrici, attricette e soprattutto tante plebee, le mie preferite». Rea era stato la rivelazione del dopoguerra, considerato l'enfant prodige del neorealismo: nel giro di tre anni, dal '47 al '49, pubblicò tre libri (Spaccanapoli, Le formicole rosse, Gesù fate luce) costellati dei ritratti di donne ardenti e di ambigue seduttrici: qualcuno parlò del suo stile come di una «cavatina amorosa» però il suo linguaggio spregiudicato si attirò i siluri dei critici: Emilio Cecchi sparava a zero e trovava riprovevoli «i suoi tenebrosi misticismi carnali e le sfacciate porcherie e parolacce». Francesco Flora, invece, era pronto a difenderlo a spada tratta, e nel «becerismo» e nel «voluto triviale» vedeva «fuoco, dinamismo, sangue, estro». Grazie al successo dei suoi libri, articoli, sceneggiature, Rea potè acquistare negli Anni Sessanta una rossa Ferrari che lo portava rapidamente alle sue conquiste. Nervoso, irrequieto, abile conversatore, dovunque andasse era accompagnato dalla sua fama di playboy. Carlo Bo ricorda una definizione di Rea scritta da un comune amico, Guido Botta, che gli si attaglia a puntino: «E' una trottola, una specie di giovane demonio perennemente assediato da avventure e morbose immaginazioni». Proprio Bo ogni volta che lo incontrava poi gli chiedeva: «Don Mimi, chi abbiamo questa volta?». «Se gli rispondevo seriamente che in quel momento non c'era nessuna - ricorda lo scrittore - lui nemmeno ci credeva». Bo era il più interessato al delicato argomento, mentre altri stretti amici di don Mimi, come Raffaele La Capria, Nello Ajello, Enzo Golino, Ruggero Guarini, Michele Prisco, Mario Pomilio e Giuseppe Berto «più freddini» preferivano affrontare soprattutto «questioni letterarie». Dopo tante prede anche a Rea capitò di cadere nella rete: per sette anni fu innamorato di una capricciosa milanese che quasi riuscì a convincerlo a lasciare Napoli e la sua famiglia. «Fortuna che mi tirai indietro all'ultimo momento - ricorda lo scrittore - perché senza Napoli non avrei potuto continuare a vivere e a lavorare». Napoli aveva provato ad abbandonarla per trasferirsi a Milano nell'ottobre del '43: «Con la sua inquietudine, con le continue dichiarazioni d'amore per gli scrittori del 500 rammenta Bo - Rea girava allora nelle redazioni, nei caffè, nelle gallerie milanesi con i primi racconti, pronto a sfidare chiunque non credesse nel suo genio e nella forza della sua invenzione. Ma non resistette alle nebbie e al freddo di Milano e se ne tornò a Napoli». E quell'avventura milanese finì. Ma quando Rea si decise a troncare quella relazione la signora lo minacciò con una pistola. «Me la vidi brutta». Come scatta l'interesse, la molla che ha portato don Mimi a essere protagonista di tanti appuntamenti galanti? Esiste una ricetta del conquistatore? «La seduzione può nascere dall'incrocio di due sguardi e consumarsi nel tempo di bere una tazza di caffè». Don Mimi è proprio convinto che la lunga durata di una relazione non sia sinonimo di intensità. «Abbiamo la testa piena di luoghi comuni: un amore rapido non vuol dire un rapporto superficiale. Al contrario è un processo di conoscenza molto profondo. Io sono convinto che una persona la si conosce bene solo nel momento dell'agonia erotica. Purtroppo per me oggi tutto questo non c'è più» conclude con malinconia. E oggi? Come riempie gli spazi vuoti della sua vita, le sue giornate un ex grande seduttore? «Ho la continua sensazione di aver perduto moltp. Ma non mi arrendo: le donne mi piace ancora corteggiarle, riverirle e anche un po' adorarle. Sono loro la mia fonte d'ispirazione. Fortuna che in questi anni a farmi compagnia c'è stata Miluzza con le sue natiche sode e le sue gambe slanciate». Mirella Serri «Misticismi carnali e sfacciate porcherie» La prima volta: «Eleonora mi attirò con il francese poi mi trascinò sul letto. Imparai la sensualità animalesca e lasciva» lazionderatneoreni, da Raffaele La Capria Sotto: Carlo Bo, amico e estimatore A sinistra una foto di Arthur Elgor Sopra: Michele Prisco Domenico Rea nel suo studio (Foto di: Leonardo Candamo Grazia Neri). A destra il golfo di Napoli