«Così hanno umiliato papà»

«Così hanno umiliate papà» «Così hanno umiliate papà» Il figlio: ma lui non ha voluto cedere LACRIME E ACCUSE AMILANO queste condizioni io non ci voglio stare più: ecco secondo me è questo il brano della lettera di mio padre che spiega tutto, è questa la chiave per capire il dramma della sua morte». Stefano Cagliari parla con un filo di voce. Sono le sei del pomeriggio, e da poche ore per lui e per sua madre Bruna si è squarciato il velo di mistero, di incredulità, che copriva la scomparsa, atroce e imprevedibile, dell'ex presidente dell'Eni. Nell'appartamento di via Vivaio rileggono la lunga lettera, sei pagine fitte scritte a mano, cui Cagliari, quindici giorni fa, aveva affidato la sua protesta, il suo sdegno, ma anche il suo residuo di speranza: se fosse uscito da San Vittore, quella lettera non sarebbe stata mai letta da nessuno, l'avrebbe certo stracciata. In mattinata, appena tornato da San Vittore, quando ancora non erano chiari i dettagli della morte del padre, Stefano Cagliari aveva saputo pronunciare solo poche parole smarrite: «Non sappiamo ancora quasi nulla, non abbiamo parlato con nessuno, sappiamo solo che ci aveva sempre dimostrato una grande tranquillità». Tre giorni fa, domenica, Bruna Cagliari aveva dato del marito, in un'intervista a La Stampa, l'immagine di un uomo forte, sereno, deciso a sopportare: «E' terribile che sia ancora in carcere, ma mi conforta sapere che Gabriele sta bene, è paziente, sa che non potrà durare all'infinito». Invece, ieri mattina, la notizia della morte e poco più tardi la lettera rivelatrice: un suicidio, la più atroce delle proteste. Ora Bruna e Stefano Cagliari sanno. Dottor Cagliari: perché? «Mio padre si era reso conto che il suo impegno, i suoi sforzi, tutto quello per cui aveva lottato in questi mesi, non servivano a nulla. E io credo che questo suo suicidio sia stato un gesto disperato di ribellione: ecco quello che significa». Ma come può un uomo, un uomo forte, lucido, abituato al comando, abituato all'autocontrollo, uccidersi per protesta? «Ripeto, mio padre aveva deciso che in questa situazione non aveva alcun senso tener duro, opporsi, riaffermare la propria linea, le proprie convinzioni: tutto era vano, non serviva a nulla». E gli è bastato questo per uccidersi? «E' stata l'ultima beffa, l'ultima ribellione contro questi giudici che in tutti i modi hanno voluto umiliarlo, o meglio hanno tentato di umiliarlo. Il suo rifiuto di questo ricatto è stato il suicidio». Eppure, dottor Cagliari, è difficile crederlo, è difficile capire: sembra un gesto d'altri tempi, un suicidio dimostrativo, di protesta... «Vede, il nostro Paese pullula, in questo momento, di delatori e di gattopardi: gente che mio padre ha sempre detestato. E lui odiava vedersi costretto a fare come i gattopardi, a fare come i delatori, perché era proprio questo che gli veniva richiesto». Un atto d'accusa contro i giudici... «Un atto d'accusa, certo: non stanno lavorando per la giustizia, non è così che si lavora per la giustizia, agiscono forse per ambizione personale o per altro, non so: non di certo per la giustizia». Ma quand'è che suo padre ha perduto la speranza, ha smesso di credere nella possibilità di avere un giudizio equo? «Secondo me fin dal principio, non ci ha mai creduto, aveva capito subito, molto lucidamente, che in questa storia non era in ballo la ricerca della verità». Ma allora perché questo crollo, perché cedere proprio ora? «Forse mio padre aveva anche perso la fiducia nei rapporti umani, negli amici veri». Ma quanto ha contribuito a spingere suo padre al suicidio quell'ennesimo parere sfavorevole alla scarcerazione espresso sabato dal pubblico ministero De Pasquale? «De Pasquale era l'ultima speranza, l'ultima prova, la prova d'appello. Invece niente: prima la promessa della libertà, poi il rifiuto e via per le vacanze. Anche Grigo, il gip, che ha preso tempo, che lunedì non aveva potuto esaminare la pratica, che diceva che l'avrebbe fatto oggi. Ma il vero problema non è questo o quel giudice: è il sistema, il metodo». L'impressione è che la morte di suo padre segni una svolta nell'inchiesta su Tangentopoli. Lei cosa ne pensa? «Cosa ne penso? Che sarebbe ora». • Si unisce anche lei alla protesta di suo padre? «Cosa vuole che le dica, l'altezza di mio padre è molto superiore alle nostre beghe quotidiane, è una risposta elevatissima a una vicenda di infinito squallore. Ma questa vicenda è anche, contemporaneamente, molto più grande di ciascuno dei suoi protagonisti». Cioè? «Non mi chieda altro, la lettera che mio padre ha disposto che fosse pubblicata è il racconto che lui ha deciso di dare della sua scelta, scaricandoci dalla fatica di gestire, in questi momenti, anche il rapporto con il mondo esterno, con i curiosi, con le iene». Cosa desiderate, ora, lei e sua madre? «Soltanto di essere lasciati soli con il nostro dolore privato». Ma è possibile che né lei né sua madre vi siate mai accorti del proposito che suo padre stava maturando dentro di sé? «Lui era un uomo abituato a decidere da solo». Lei l'ha mai visto, da quando era in carcere? «No, né io né mia madre: era lui che non voleva». Dottor Cagliari, la ringrazio per aver accettato di parlare di suo padre in questo momento così drammatico... «No, aspetti, ancora una cosa voglio dirle. Il 27 maggio è morta mia moglie. Mio padre chiese di poter partecipare ai funerali, gli risposero che era possibile ma soltanto a condizione di essere scortato. Lui rifiutò. Ecco, credo che un ricatto del genere esprima meglio di ogni altra cosa il tentativo di azzeramento della personalità al quale mio padre, Gabriele Cagliari, ha giustamente voluto sottrarsi». Sergio Luciano «Non ha mai voluto che io e la mamma andassimo da lui in prigione» In alto: Stefano Cagliari e la madre A destra: Bruna Cagliari commossa Gabriele Cagliari con la moglie Non volle che gli facesse visita in carcere

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