La seconda guerra afghana

Attacchi di mujaheddin e raid punitivi con centinaia di vittime EX URSS Attacchi di mujaheddin e raid punitivi con centinaia di vittime La seconda guerra afghana // Cremlino decide di intervenire nel conflitto fra Tagikistan e Kabul Già schierati sul confine 4000 soldati, mezzi corazzati e artiglieria russi MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Probabilmente la notte di martedì 6 luglio sarà ricordata come la data d'inizio della seconda guerra tra Russia e Afghanistan. I morti, quella notte, sono stati più di 300 tra militari e civili, ma quello che conta a Mosca è che 26 caduti erano guardie di frontiera russe, mandate a difendere la frontiera di un Paese - il Tagikistan - che non fa parte della Russia. L'attacco proveniva dal territorio afghano. Circa 1000 ribelli tagiki, ostili al governo di Dushanbè, appoggiati a quanto pare da distaccamenti irregolari afghani (anch'essi di nazionalità tagika) avevano attraversato alle tre di notte l'Amu Daria, il fiume che funge da frontiera, investendo l'avamposto russo dove 47 guardie di frontiera erano asserragliate. I rinforzi della 201a divisione corazzata sono arrivati solo 20 ore dopo, quando il massacro era già avvenuto. La reazione di Mosca è stata furibonda. Il ministro della Difesa, Pavel Graciov, giunto a Dushanbè venerdì scorso, ha detto chiaro che la Russia non è disposta a lasciar uccidere impunemente i propri uomini. Negli ultimi tre giorni un ponte aereo ha scaricato sulla linea di frontiera - secondo indiscrezioni - almeno 4000 uomini delle truppe speciali, che vanno ad aggiungersi alle 3500 guardie di frontiera. Lo stesso comando russo ha confermato che le truppe fresche potranno contare sull'appoggio dell'aviazione, mentre ingenti quantitativi di materiale bellico, di mezzi blindati, elicotteri e artiglieria sono già piazzati sulla linea del fuoco. E, a quanto pare, sono già entrati in azione, se è vero - come afferma Radio Kabul - che i primi bombardamenti sul territorio afghano avrebbero già totalizzato 300 morti nella notte tra venerdì e sabato scorso. La situazione è tesa e difficilmente controllabile. Il governo di Kabul ha inviato una nota di protesta accusando Mosca di voler scatenare la rappresaglia sulle popolazioni afghane e respingendo l'accusa di aver appoggiato i ribelli tagiki. «Il dispiegamento di truppe russe lungo il confine - afferma il comunicato di Kabul - è equivalente a un'aggressione». E aggiunge minacciosamente: «Noi non abbiamo dimenticato i 14 anni trascorsi». In realtà il governo afghano non controlla, a sua volta, la frontiera. Decine di gruppi guerriglieri che combatterono contro le truppe sovietiche continuano ad agire indisturbati e bene armati. Secondo i calcoli del governo tagiko, sull'altra riva dell'Amu Daria ci sarebbero non meno di 60.000 profughi tagiki, mescolati ai combattenti del Fronte Popolare, fuggiti nei mesi scorsi dopo essere stati sconfitti nella sanguinosa guerra civile da cui è emerso al potere Imamali Rakhmonov. Il Cremlino - che è legato al Tagikistan da un patto di cooperazione e di difesa - non ha scelta: o ritirare le sue truppe dal Tagikistan, lasciando il Paese in balia dell'attacco congiunto dei ribelli tagiki e delle formazioni afghane (ma esponendo anche le altre Repubbliche asiatiche ex sovietiche al rischio di un'eversione islamica generalizzata, con effetti catastrofici per la propria immagine), oppure schierarsi con Ra¬ khmonov (anche se i radicaldemocratici di Mosca non sono affatto entusiasti di appoggiare un regime che riesuma molti dirigenti dell'ex nomenklatura comunista). Ma molti, anche negli ambienti governativi di Mosca, ritengono che il Cremlino non può e non deve dare prova di debolezza nella zona. Il consigliere di Eltsin, Andranik Migranian, ha perfino fatto ricorso al «precedente» del bombardamento di Baghdad, deciso da Clinton, per mettere in guardia i ribelli islamici: «Se l'America può bombardare una capitale per rispondere a un attentato che non si è verificato, cosa dovremmo fare noi, quando i nostri ragazzi vengono massacrati?». E' tuttavia improbabile che Eltsin si faccia trascinare in azioni sul territorio afghano. Del resto questa eventualità è stata esclusa dallo stesso generale Vladimir Shlyvatkin, comandante russo delle truppe di frontiera. Ma il «diritto d'inseguimento» non è stato escluso. E dall'altra parte della frontiera migliaia di uomini armati non desisteranno. Per la prima volta dalla fine dell'Urss la Russia si affaccia armata alle frontiere esterne, anche se non sono più le proprie frontiere. Giulietta Chiesa

Persone citate: Andranik Migranian, Clinton, Eltsin, Giulietta Chiesa, Pavel Graciov, Rakhmonov, Vladimir Shlyvatkin