l'ammiraglio non desiste di Angelo Conti

l'ammiraglio non desiste l'ammiraglio non desiste Ancora battute sui nostri para Feriti 2 marines nella capitale MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO Non c'è pace per il contingente italiano in Somalia e per il suo comandante, generale Bruno Loi. Proprio quando indiscrezioni diplomatiche lasciavano intendere come concluso un patto segreto fra la nostra diplomazia ed i vertici delle Nazioni Unite, il rappresentante Onu in Somalia, l'ammiraglio americano Jonathan Howe, è ripartito all'attacco con una pesante dichiarazione. «Vista la recente controversia e considerata la mancanza di fiducia - ha detto l'ex dirigente della Cia - dal mio punto di vista credo che il suggerimento, e sottolineo suggerimento, del segretario generale dell'Onu, volto ad ottenere l'avvicendamento del generale Loi, sia stato saggio al fine di riportare unità e fiducia in tutti noi. Comunque sono decisioni che spettano esclusivamente al governo italiano». Pur senza esprimersi poi, sull'ipotesi di un nostro rischieramento fuori dalla capitale somala, Howe ha sottolineato «che le truppe italiane si stanno comportando benissimo a Belet Huen (oltre 250 chilometri a Nord-Est di Mogadiscio, ndr), godendo della piena fiducia di quelle popolazioni e dirigendo al meglio l'impegno delle truppe nigeriane». L'ambasciatore Moreno, in serata, ha contattato Howe chiedendo chiarimenti su queste affermazioni. Il diplomatico Onu non è entrato nel merito della vicenda Loi: «Non è la prima volta che vengo citato male». Poi ha ribadito «che non esiste alcuna intenzione di chiedere il rischieramento o il ritiro delle truppe italiane». Howe ha però fatto un riferimento alla strategia da attuare nella zona del pastificio, il punto più caldo di Mogadiscio, controllato dalla Folgore: «Qualora decidessimo di compiere un'azione in quell'area, dovrem- mo poter conoscere esattamente l'impegno italiano». Le dichiarazioni di Howe sono state la seconda pillola amara della giornata per il generale Loi che, in mattinata, aveva ricevuto il fax con l'articolo di Newsweek, in cui si ipotizza che siano stati gli italiani ad avvertire Aidid dell'attacco portato dagli elicotteri Cobra nella villa dove si stavano riunendo i capi delle sue tribù, la scorsa settimana. Azione che ha provocato direttamente la morte di una cinquantina di somali e poi indirettamente l'uccisione di quattro giornalisti da parte della folla inferocita dalla rabbia. Accuse, quelle del settimanale americano, apparse fragili ad una rilettura, anche perché prive di indicazioni precise sulle fonti. Il ten. col. Giovanni Fantini, portavoce del comando italiano, ha spiegato che «il generale Loi, inizialmente molto risentito, aveva preparato un duro comunicato, ma che ha poi preferito il silenzio considerata la vaghezza delle fonti». Sul fronte militare l'attacco a colpi di mortaio di domenica sera all'aeroporto di Mogadiscio è stato considerato di «scarsa rilevanza». Non ci sono stati danni apprezzabili e sembra, sempre più, che si tratti del massimo sforzo bellico possibile, al momento, da parte dei guerriglieri di Aidid. Elicotteri americani hanno battuto palmo palmo la collina, dalla quale sono partiti i colpi. Sempre ieri due militari americani sono stati feriti in modo non grave, intorno alle 15, da un cecchino appostato sulla stra da Imperiale (non lontano da un checkpoint italiano). Un'altra sparatoria contro una jeep ame ricana è avvenuta poco dopo in via Nazionale. Fonti somale hanno poi rivendicato l'uccisione di un marines ed il ferimento di altri due in un conflitto a fuoco Ma il comando Unosom non ha confermato questo episodio. Angelo Conti

Luoghi citati: Belet Huen, Mogadiscio, Somalia