Il «ribelle» Curzi: ho vinto io di Maria Grazia Bruzzone

Il «ribelle» Curzi: ho vinto io Il «ribelle» Curzi: ho vinto io «Se mi dimetto me ne vado dall'azienda» L'IRRIDUCIBILE DEL «TG3» ■ROMA L direttore del Tg3 Alessandro Curzi, il Grande Sandro come lo chiamano scherzando suoi colleghi, o il grande capo di Telekabul, come ironizzavano altri, è il più soddisfatto. Se gli altri direttori uscendo dall'incontro col presidente e i neoconsiglieri sorridono, lui è radioso. Quando Demattè aveva chiesto di rimettere il mandato, aveva puntato i piedi, rifiutando. E sostenendo di rappresentare lui stesso il cambiamento. Adesso resta al suo posto, fino a nuovo ordine. Anzi, collaborerà col presidente mandandogli un suo «progettino» su come riorganizzare i nuovi telegiornali. Una prima bozza la sta già preparando e la spedirà oggi. Alla fine l'ha avuta vinta... Non solo non si dimette, ma li ha convinti a non cacciare più via nessuno. «Veramente non ho convinto nessuno. Non ce ne è stato bisogno. Io ho solo spiegato perché non ho mandato la lettera. Né ho intenzione di mandarla. Non c'è motivo, ho detto. Noi siamo dei dipendenti e se il nostro lavoro non va bene il mandato me lo possono revocare quando vogliono. Alla Rai poi, spesso c'è troppa fretta di dimettersi». Fretta di dimissioni alla Rai, le sembra? «Nel senso che tutti non hanno problema a lasciare un incarico. Anzi. Tanto poi si spostano ai piani alti e lo stipendio continuano a prenderlo. Io quando mi dimetto prendo la liquididazione e me ne vado proprio. Cambio azienda, mi tolgo di mezzo». Demattè non le ha chiesto di rimettere il mandato, sia pure in via formale? «Non mi ha chiesto niente del genere». E' vero che vi hanno riconfermato per tre mesi? «Veramente dei tre mesi non abbiamo parlato. Abbiamo chiaccherato a lungo, per 50 minuti. Ma di altro. Anzi, ho parlato quasi sempre io. Per la prima volta ho avuto l'impressione di aver davanti consiglieri che stessero veramente a sentire. Con curiosità e interesse, mica come quelli di prima, col democristiano che ti chiedeva su quale dichiarazione eri o non eri d'accordo. E Pasquarelli al quale non riuscivi nemmeno a far leggere i dati d'ascolto, i costi, la materia del tuo lavoro». Invece Demattè li ha letti. «Altro che. Glieli ho messi sotto il naso. Il Tg3 dall'87 al '92 è passato dal 5,7 al 19% dell'audience. Samarcanda da 3,5 al 26%: non è mica poco. Con questi si può parlare di cose, finalmente. Prima sembrava di essere fra funzionari di partito». Perché lei, a un partito non si è mai sentito di appartenere? «Io è da sette anni che lo sto gridando ai quattro venti. Ecco perché considero quello di oggi un giorno di trionfo. Dicevano che io e Guglielmi andavamo a Botteghe Oscure tutte le settimane. Guglielmi credo che non ci abbia mai messo piede. Io ci andavo eccome, ma quando stavo all'Unità. Da quando sono entrato qui ho fatto solo e sempre i fatti miei. Con le mie idee, certo». Insomma, un delottizzato ante litteram? «Il consiglio di amministrazione era molto di più. Il pentapartito più i comunisti. Ma nell'azienda al pei avevano dato solo dei contentini. I socialdemocratici e i liberali avevano posti al vertice. I comunisti dovevano accontentarsi di me e Gugliemi, che ordini non ne prendevamo da nessuno». E adesso date suggerimenti su come costruire la nuova informazione. «L'ho detto. I consiglieri erano interessati alle nostre idee sull'azienda. Non solo le mie, credo. Demattè ha introdotto la conversazione, ribadendo che non ha nessuna intenzione di cedere un canale Rai. Non ci pensa proprio, almeno, finché non c'è una legge dello Stato che obbliga in questo senso. Lui vuole rafforzare il servizio pubblico e l'azienda». Elei? «Io ho esposto le mie idee: una Rai a tre canali, ancora più diversi da prima, perché la diversità è un bene da conservare. Un canale nazional-popolare, per esempio, con un Tg più «ufficioso», più vicino alla presidenza del Consiglio. Un altro più «rosa», con sceneggiati, soap-operas, e altra fiction, e un giornale «leggero» adatto a quell'audience. Un terzo canale più sbarazzino e impegnato, con molta informazione, dove confluiscano sia Mixer sia Milano Italia, per intenderci, e magari anche Pegaso. E con vari spazi di informazione regionale, da studiare». E Milano? Di un canale milanese avete parlato? «Per ora no». Maria Grazia Bruzzone «Il presidente è stato chiaro Non ha nessuna intenzione di vendere un canale Milano? Non se n'è parlato» A destra, Sandro Curzi. Sotto, Michele Santoro Sopra, il direttore di Rai3 Angelo Guglielmi

Luoghi citati: Milano, Milano Italia, Roma