Il msi difende Curzi «Lasciamolo al Tg3»

Le rivelazioni della lotti: il capo del pei le scrisse 40 lettere Rai, venerdì il nuovo direttore generale Il msi difende Curai «Lasciamolo al Tg3» Minoli: conBaudo, Santoro e Avanzi abbiamo salvato l'azienda ROMA. Demattè nell'agone radiotelevisvo. Circuito, blandito, criticato, esaltato, attaccato da ogni parte, il Professore n. 1 del consiglio delottizzato della Rai, va avanti a testa bassa nel suo lavoro di neopresidente. Ma, nei pochi giorni da che è stato scelto a ricoprire il delicatissimo incarico, ha già assaggiato di che materia incandescente è fatta la televisione . pubblica, azienda complessa e cassa di risonanza di umori, interessi, spinte contrapposte fonti di molte polemiche e di non pochi equivoci. Settimana cruciale, questa, che venerdì dovrebbe vedere il nuovo direttore generale. Ma il professore bocconiano brucia i tempi. Continuando il suo giro di incontri, già cominciato coi vicedirettori generali, oggi vedrà i direttori di rete e di testata. Quei Longhi, La Volpe, Curzi, Fuscagni, Sodano e Guglielmi, ai quali aveva consigliato di rimettere il mandato, «perché il cambiamento deve partire dai vertici», aveva riportato un quotidiano. Suscitando risposte pacate o bizzose. Longhi, dimessosi all'istante, che gli ha dato del «decisionista senza stile», Curzi che punta i piedi, La Volpe che aspetta e intanto polemizza con Maria Giovanna Maglie che da New York avrebbe definito il tg2 «una palude piena di trasformisti». E sui giornali Bocca che se la prende col nuovo consiglio «che non conta niente». Tanto che Demattè ha preso carta e penna e, attraverso un quotidiano milanese, ha messo i puntini sulle «i». Precisando che i poteri del consiglio li ha stabiliti la legge (e sono comunque molto superiori a quelli di prima) e che rimettere il mandato non vuol dire dimettersi, né rinunciare alle proprie ragioni. Concetto che il cronista, per troppo zelo, aveva evidentemente equivocato. Così come smentita è stata la notizia, pubblicata sul Mondo, che attribuiva a Demattè la voglia di disfarsi della Rai Corporation. E ci sono i «consigliori» che spuntano da tutte le parti, fuori e dentro l'azienda, ora che la morsa dei partiti sembra essersi allentata. Chi suggerisce di vendere almeno due reti (come se il pur potente neopresidente della Rai fosse il padrone assoluto), chi più realisticamente (come il direttore di Rai3 Guglielmi) consiglia come di riorganizzare reti e testate: non, a suo parere, accorpando le une e le altre come si sente dire da tempo (lo chiedeva la de) ma anzi, al contrario, costituendo dei «canali» unitari, che facciano spettacolo e informazione. Preservando quella «diversità» che non era solo partitica, ma culturale. Ieri, si sono aggiunti altri consigli. Il msi, che difende il Curzi «resistente», punta il dito sugli appalti esterni, indicando al presidente l'onorevole Rositano, sindaco missino dell'azienda, «che conosce a menadito i meccanismi che imperano in Rai». La Lega aveva già fatto sapere, attraverso il senatore Ottaviano che «punta sui giornalisti bravi»..Dalla Versiliana il capo di Mixer Giovanni Minoli incita i nuovi vertici a ristrutturare. «Alla Rai siamo una dozzina quelli che facciamo andare avanti la baracca - spiegava qualche giorno fa al convegno dell'Isim - Baudo, io, Santoro, Angela, quelli di Avanzi, di Domenica In, di Milano Italia e un po' di altri, che portiamo il 65% del fatturato e il 75% dell'ascolto. E' da noi, non da idee astratte, che bisogna partire». [m. g. b.l

Luoghi citati: Milano Italia, New York, Roma