Garofano punta il dito contro i Ferruzzi di Ugo Bertone
L'ex presidente Montedison tredici ore davanti ai giudici di Mani pulite: «Siamo solo agli inizi» L'ex presidente Montedison tredici ore davanti ai giudici di Mani pulite: «Siamo solo agli inizi» Garofano punta il dito contro i Ferrimi «Usavano la società come bene di famiglia» MILANO. Ferruzzi? Gardini? «Quella gente ha usato le attività di società quotate in Borsa, vedi la Montedison, la Ferfin come fossero beni di famiglia...». Parla Giuseppe Garofano, detto Pippo. Continua a parlare l'ex presidente di Foro Buonaparte, l'eminenza grigia dei potenti sfilati sulla scena del gruppo chimico dall'inizio degli Anni Ottanta. Eh sì, in quel di Opera, alle porte di Milano, si consuma uno dei momenti più drammatici nella storia agitata della finanza italiana. Garofano non si ferma. E parla. Quattro ore abbondanti di deposizione ieri, dalle 10 alle 2 passate del pomeriggio. Ore che vanno ad aggiungersi alle nove (e più) di sabato. Una deposizione-fiume, appena agli inizi, tutta affidata alla memoria prodigiosa di Pippo il Cardinale, provato dalla lunga latitanza (sembra che abbia perduto 25 chili di peso), ma sempre vivace e acuto, anche quando consuma una rapida colazione a base di tramezzini e prosciutto e melone nelle pause della seduta. Parla Garofano e lo ascoltano, impassibili, i sostituti procuratori Francesco Greco, l'uomo incaricato dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli di «illuminare con un faro» la gestione Montedison, e Antonio Di Pietro, interessato a capire i meccanismi del finanziamento illecito ai partiti. Lui, il magistrato più famoso, arriva a Opera solo a mezzogiorno dal tribunale («dovevo mettere ordine in ufficio...»). Quasi un segnale che, almeno per ora, conta di più la ricostruzione del giallo economico Montedison che i vari illeciti corsi tra Foro Buonaparte e i partiti. Ma i filoni, a dire il vero, rischiano di confondersi: dietro i buchi, i 320 miliardi sfumati tra maggio e giugno scorso, potrebbe esserci anche un passato di mazzette... Partecipa alle sedute anche il gip Italo Ghitti. Perché? Risponde Luca Mucci, il legale che assiste Garofano. «Tenga conto - commenta - che, per ora, siamo ancora nella fase di dichiarazioni spontanee senza alcuna contestazione di reato. E a noi sta bene che sia presente anche il gip e non solo il pubblico ministero». E' stanco ma soddisfatto, l'avvocato Mucci, anche se non si sbottona. «Ieri - spiega - le mie dichiarazioni sono state interpretate in maniera poco corretta. E questa mattina ho dovuto dare molte spiegazioni al telefono... No, non insista, sono convinto di aver l'obbligo di rispettare il segreto istruttorio». Ma, alla fine l'avvocato qualcosa dice, mentre si allontana dal cubo di cemento di Opera, innaturale gigante in mezzo alla campagna. «Siamo - spiega - solo agli inizi dell'interrogatorio». Dopo tredici ore... «Sì, è veramente così. Stiamo trattando solo questioni di carattere generale. Enimont? No, non ne abbiamo ancora parlato». E che ha raccontato Garofano in questo weekend così drammatico per i grandi della chimica? Luca Mucci risponde testualmente così: «In particolare sono stati affrontati i rapporti interni ai gruppi, per vedere su quale soggetto dovevano incidere eventuali perdite o movimenti con il sistema back to back». I crediti «back to back» sono finanziamenti in parallelo, o di compensazione, assurti agli onori della cronaca ai tempi del Banco Ambrosiano. Allora, la casa madre effettuava depositi presso banche estere che, a loro volta, giravano (a un interesse leggermente maggiore) i quattrini alle consociate estere del Banco. Adesso, dopo la scoperta del «buco» di centinaia di miliardi in Montedison, si sospetta che siano state effettuate operazioni analoghe, sia sul fronte dei crediti che dei debiti con il risultato di nascondere l'ammontare dei debiti. Chi ha la responsabilità di questo giro e rigiro dei quattrini, spesso legittimo ma spesso utilizzato per occultare manovre disinvolte? Tutto dipendeva da Ravenna oppure dalla Montedison? O esisteva una finanza parallela, discreta, destinata ad incanalare i fondi lungo canali lontani dai riflettori dell'informazione e degli organi di controllo? Parla, Garofano, ed è probabile che la sua deposizione serva, per ora, ai magistrati soprattutto per inquadrare la situazione, per colpire a colpo sicuro. Secondo il tamtam della procura, Garofano sta dando corpo ai sospetti dei magistrati: quelli di Ravenna sono sempre stati portati a confondere finanza di famiglia e finanza di gruppo, portafoglio di casa e società quotate con decine di migliaia di azionisti. Si illuminano i riflettori sulla Montedison International Holding di Viganello, in Cantori Ticino, dove il 25 maggio scorso 320 miliardi hanno preso la strada della lussemburghese Aifa. Si studia con sempre maggior attenzione il lavoro dì Ivano Berlini, un simpatico, estroverso romagnolo che da Losanna, da decenni, segue gli affari della famiglia magari giocando con le carte segnate sulle sorti dei titoli del gruppo o sui grandi mercati delle materie prime, Chicago in testa. Quanta roba da esaminare, da capire. Non a caso l'avvocato Mucci dice che non bisogna aver fretta, che per la scarcerazione di Garofano c'è tempo. Domani la deposizione continua. E oggi? Facile prevedere che i magistrati si rimetteranno stamane al lavoro sulle carte già raccolte. No, non è un momento facile per Gardini, Sama, Cragnotti, o i vari Ferruzzi. Loro, assieme a Venturi, presidente della Montedison International, e al segretario Emilio Binda sentono nelle orecchie il vento che da Opera fischia in direzione di Foro Buonaparte. Ugo Bertone La Montedison a Foro Bonaparte Sopra il giudice Francesco Greco
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