Italia in maglia nera nelle rivolte fiscali di Stefano Lepri

Nel '93 per il Pil crescita rallentata (+0,2%) e domanda interna in calo (-2,3%) LE MONETE E LE IDEE Italia in maglia nera nelle rivolte fiscali Ni ELLA rivolta fiscale, l'Italia arriva buona ultima rispetto ad altri Paesi industriali. «Per pagare di meno bisogna eliminare tutte le spese militari - sosteneva per esempio in Danimarca, vent'anni fa, un partito antitasse che poi ebbe discreta fortuna - e il sistema è semplicissimo. Basta installare al ministero della Difesa una segreteria telefonica che trasmetta un testo registrato in lingua russa: ci arrendiamo». La paradossale proposta di arrendersi all'Urss non aveva nessun rapporto con la politica estera, poiché quel partito era di destra, non di estrema sinistra. Naturalmente, accade assai più spesso che i movimenti di protesta fiscale non dicano fino a dove vogliono arrivare, o non lo sappiano. Forse è per questo che durano poco: si cita sempre la parabola rapida del movimento di Pierre Poujade in Francia, che prese il 12% dei voti alle elezioni del '56 e due anni dopo non c'era più. Nel confronto internazionale, l'emergere della protesta ha poco a che fare con il livello assoluto della pressione tributaria: nei Paesi scandinavi, durante gli Anni 70, il carico era quasi doppio rispetto alla California che dette il successo a Ronald Reagan. Ha certo a che fare con un sentimento di estraneità verso il ceto politico («apolidi e omosessuali» come diceva Poujade). E' sempre connesso a difficoltà economiche esterne per la piccola impresa, e il lavoro autonomo: in questi mesi in Italia la caduta senza precedenti della domanda si accompagna a un aumento della grande distribuzione commerciale. D'altra parte, nei Paesi dove la protesta fiscale ha esercitato negli Anni 80 una forte spinta a mutamenti di governo, non è affatto vero che le tasse siano state poi ridotte. Reagan e la Thatcher non hanno realizzato la loro promessa: hanno solo fatto pagare meno tasse ad alcuni, di più ad altri. Il carico fiscale è rimasto stazionario negli Usa e in Inghilterra, come in Germania e in Francia. In Italia l'aumento è stato continuo e ha toccato nel '93 il massimo di velocità. Dall'inizio degli Anni 80 ad oggi siamo passati da circa il 30% a oltre il 40% del prodotto, pur senza arrivare ai più alti livelli d'Europa. Il nostro record sta nella qualità pessima della spesa che vi corrisponde. Ma il punto è un altro: che questa spesa ha coinvolto tutti. Nell'Europa del Nord, lo Stato sociale ha una spiccata impronta socialdemocratica. Negli Stati Uniti, cerca di attenuare grandi scompensi di reddito. Da noi, è stato costruito da un sistema politico consociativo, che ha erogato benefici a pioggia, ovunque. Chi doveva reagire? Almeno fino a ieri, solo a strati sociali molto esigui conveniva davvero «meno Stato e più mercato». Forse ora qualcosa sta cambiando. Pur fra improperi e gazzarre, il dovere fiscale è stato compiuto: 3500 miliardi di gettito più del previsto per l'Ici, 7000 per l'Irpef. Così si comincia a essere un Paese civile: rispettare le leggi che non piacciono e lottare per cambiarle. Stefano Lepri

Persone citate: Pierre Poujade, Poujade, Ronald Reagan, Thatcher