Solidarietà e sensi di colpa davanti ai programmi umanitari di Alessandra Comazzi
r TIVÙ'& TIVÙ' 111111 Solidarietà e sensi di colpa davanti ai programmi umanitari VEDIAMO, e non capiamo, che cosa sta succedendo in Somalia. Missioni umanitarie nate per scortare convogli di aiuti si trasformano in luogo di sparatorie e di polemiche. I cosiddetti «aiuti umanitari» hanno spesso qualcosa di sospetto, ricordano colossali giri di affari e la carità pelosa di certi tartufi ipocritamente religiosi. E' vero pure che restare indifferenti di fronte a quel che capita vicino a noi non sempre è possibile, per l'«uomo comune» amante del quieto vivere. Ci sono gli istinti della solidarietà, i sensi di colpa. Un «uomo comune», d'altronde, uno vessato dal fisco e dall'arroganza della burocrazia, che cosa può fare di concreto, per l'ex Jugoslavia in guerra, dove chissà quanti hanno passato le vacanze e adesso fioccano le bombe? La Rai, anzi Raidue, la rete che ultimamente ha operato una sterzata nei confronti del mondo cattolico, mandando i sacerdoti a presentare il rock e occupandosi di volontariato, ha adesso varato un'operazione che si intitola «Ho bisogno di te», una «campagna umani¬ taria» promossa insieme con la Caritas e la Croce Rossa Italiana. Si raccolgono fondi per inviare camion carichi di viveri e di medicinali che vengono distribuiti, assicurano gli organizzatori, tenendo conto delle reali esigenze della popolazione, rilevate direttamente zona per zona. Caritas e Croce Rossa contano in tutta la ex Jugoslavia di équipes formate da collaboratori fissi e da più di mille volontari; il soccorso è diretto a tutti coloro che ne hanno bisogno, senza distinzione di etnia o di religione. Così dovrebbe essere un «aiuto umanitario», speriamo che così sia. L'idea fu della Orf (la radiotelevisione austriaca), la raccolta di fondi doveva durare un mese, ma il successo è stato tale che non solo l'iniziativa dura ormai da un anno, ma è stata anche esportata. In Italia l'operazione si intitola «Ho bisogno di te», e prevede una serie di spot che vanno in onda su Raidue (tristissimi, naturalmente, hanno come logo l'immagine di un bambino dagli enormi occhi, azzurri e disperati) e un reportage a puntate, trasmesso intorno alle due del sabato, a cura di Giovanni Anversa e Pierguido Cavallina. Ieri le immagini ci conducevano a Slavonski Brod, una cittadina sul confine tra Croazia e Bosnia, sviluppata lungo un fiume. Sulla sponda opposta si trova Bosanski Brod, ora in mano ai serbi. I croati e i musulmani che vivevano a Bosanski hanno trovato rifugio a Slavonski: ma è una pena aver perso tutto, essere separati dai propri cari, dagli amici, dalle piccole abitudini di una vita. In mezzo corre il fiume, e tutto sommato meno male che corre, che almeno significa salvezza. Mentre passavano sullo schermo le immagini di desolazione di un villaggio in guerra, in sovrimpressione comparivano i numeri di conto corrente ai quali si possono mandare gli aiuti: dopo il primo, più immediato obiettivo, l'invio di viveri e medicinali, se ne vorrebbero realizzare altri: ricostruire le zone bombardate, aiutare il ritorno delle popolazioni nei propri ambienti. Idee belle, ambiziose. Speriamo Alessandra Comazzi
Persone citate: Brod, Giovanni Anversa, Pierguido Cavallina
Luoghi citati: Bosnia, Croazia, Italia, Jugoslavia, Slavonski Brod, Somalia
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