«Così papà mi stuprava nei boschi»
«Così papà mi stuprava nei boschi» «Così papà mi stuprava nei boschi» Monza, ragazza di 16 anni in aula contro il genitore MILANO DALLA REDAZIONE «Ritratta, se davvero mi vuoi bene. Anzi, scrivi così: tu sei innocente, papà. E scrivilo bello grosso». Giuseppe G„ anni 50, da Carate Brianza. Muratore, emigrato al Nord, sposato, padre di tre figlie. E sano di mente, almeno per il tribunale di Monza che lo ha giudicato colpevole di violenza carnale ripetuta, da almeno due anni, ai danni della figlia primogenita, sedicenne. Otto anni di reclusione per lui, che pure ha tentato di giocare in extremis la carta decisiva. Già, perché in questi mesi di reclusione Giuseppe G. ha mandato tanti messaggi alla figlia accusatrice. «Mi vuoi bene? E allora ritratta». Eppoi, ieri, in aula, il colpo di scena: la difesa produce, prima della sentenza, le lettere scritte dalla ragazza al padre in carcere. E, qua e là, spiccano delle frasi scritte in bell'evidenza: «Sei innocente, sei innocente, ti ho accusato solo perché non mi lasciavi uscire di casa, per punirti della tua severità». Ma la ragazza conferma? No, almeno a giudicar dalla ricostru- zione il vero colpo di scena è un altro. La figlia scoppia in lacrime e scuote la testa. E allora? Le lettere, probabilmente, sono solo un trucco, l'estremo tentativo di sfuggire alla sentenza di condanna. Tutto frutto della mente del muratore di Carate? Oppure c'è lo zampino di una mente più raffinata, forse di un difensore? Il pm Silvia Pansini un sospetto, probabilmente, ce l'ha. La vicenda di Carate, del resto, di colpi di scena da cronaca nera romanzata ne ha riservati fin dall'inizio, da quando, poco più di un anno fa, arrivò alla locale stazione dei carabinieri una strana lettera anonima. A scrivere era la ragazza, si seppe dopo. In questo modo lei intendeva denunciare le violenze subite dal padre e lanciare un singolare segnale d'allarme. Già sul retro della lettera c'erano le tracce di una strana caccia al tesoro. Dopo aver denunciato le violenze di Giuseppe, la figlia aveva disegnato i luoghi del delitto: scene di campagna, posti isolati dove il padre amava condurre la ragazza per gli incontri scellerati. E i carabinieri? Segnalano tutto alla procura, aprono un fascicolo, archiviano il tutto. Ma la ragazza, nel frattempo, decide di confes¬ sarsi con la madre. E questo acausa un ritardo nel ciclo mestruale. E in casa, come è ovvio, scoppia l'inferno. La madre non crede alla confessione della figlia (le due sorelle minori hanno 13 e 11 anni). Ma il comportamento del marito, che rifiuta rapporti con la moglie da parecchio tempo, la insospettisce. Lui si oppone alle visite ginecologiche e giunge a segregare la figlia in casa. Ma, a gennaio, scatta la denuncia della madre all'assistente sociale. Il padre, Giuseppe G., si dichiara innocente, fa pressioni sulla figlia. All'udienza preliminare c'è il primo tentativo di spingere la ragazza a ritrattare le pesantissime accuse che hanno fatto scattare l'intervento dell'autorità giudiziaria. E la figlia, in parte, cede ma non convince i giudici. Poi l'azione ad ampio raggio, l'offensiva di questi mesi con qualche staffetta impegnata a trasmettere messaggi alla figlia dai nervi scossi, accerchiata in quel di Carate dai sentimenti di rimorso. Infine, il gran finale in aula. E qui, dopo due anni di incubo, la ragazza piange ma non cede.
Persone citate: Muratore, Silvia Pansini
Luoghi citati: Carate Brianza, Milano, Monza
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