le Carré: sì sono stato una spia

«Ma ciò che ho fatto non ve lo dirò mai» «Ma ciò che ho fatto non ve lo dirò mai» le Carré: sì, sono stufo una spia «L'MI5 di Sua Maestà mi addestrò a uccidere» LO SCRITTORE SI CONFESSA JLONDRA OHN Le Carré è un uomo straordinariamente calmo. Parla lentamente e vive in un luogo tranquillo, nel Nord di Londra. Gli faccio subito la domanda essenziale. Dal giorno in cui, nel '63, pubblicò La spia che venne dal freddo, i giornali di tutto il mondo cominciarono a tempestarlo di telefonate per sapere. All'epoca era ad Amburgo, dove lavorava come diplomatico, e allora e negli anni a seguire ha continuato a negare - quasi come in un rituale - qualunque legame con i servizi segreti. Ma, adesso, può finalmente ammettere che è stato una spia? «Sì, sarebbe stupido continuare a negarlo. Sono stato prima nell'MI5 [il controspionaggio] e poi nell'MI6 [lo spionaggio]. Ma ciò che ho fatto non lo dirò mai. Non si può proprio». Mi racconta subito di Compton Mackenzie, che era il responsabile di un qualche centro in quell'area del mondo che un tempo si chiamava Levante, e che si mise a scrivere alcuni libri di grande humor sullo spionaggio e anche un'autobiografia. Quest'ultima venne ritirata dalle stampe e lui fu incarcerato. «Quand'ero nell'MI5 - racconta Le Carré -, una notte, fui preso dalla curiosità e andai a spulciare negli archivi per procurarmi il dossier. Trovai una bellissima corrispondenza tra "C", capo dei servizi segreti, e il direttore generale, capo del controspionaggio, su quel tipaccio di Mackenzie. E nella sua lettera "C" sostiene che uno degli aspetti più vergognosi del libro scritto da Mackenzie è che "aveva utilizzato parti dei linguaggi cifrati tuttora in uso"». Le Carré si mette a ridere. Ma lui, Le Carré, quando lavorò come spia? Era una trentina di anni fa? «Anche di più. Contrariamente alla mentalità deformata di alcuni giornalisti, non ho spiato per niente e per nessuno da più di 30 anni. Perciò si potrebbe dire che la mia vita sia continuata in forma fantastica, un fatto che, dopo tutto, ha molto a che fare con la scrittura». Ma tutto, nei suoi libri, era così autentico che doveva davvero essere esistito, non è così? «E' vero. In The Night Manager [il suo ultimo romanzo] si descrive un servizio segreto allo sbando, o almeno in parte, e sarei davvero stupito se qualcosa del genere non fosse vero, in questo particolare momento della nostra storia. Sappiamo che il Kgb ha buttato via milioni di dollari e, con ogni probabilità, addirittura miliardi di dollari. Sappiamo anche che i servizi segreti britannici sono stati coinvolti nel commercio clandestino delle armi e in una vasta rete di corruzione. Non era certo irragionevole supporre che qualcuno abbia messo le mani sulla cassa. Noi saremmo comunque gli ultimi a sapere». Poi, Le Carré si mette a par- lare di quelli che definisce i vergognosi scandali della banca Bcci, del supercannone di Saddam Hussein e delle casse di risparmio americane. E' convinto che tutto questo sia stato il finale drammatico di un'epoca in cui siamo stati spronati a credere che il materialismo potesse rimpiazzare l'etica. L'era della Thatcher secondo lo scrittore - è stata come quella di Breznev. Si è trattato di un'epoca di stagnazione e non di quel progresso che crediamo di ricordare. A questo punto della conversazione gli ricordo ciò che disse durante una lezione alla Johns Hopkins University di Baltimora, e cioè delle sue fughe. Se ne andò da Eton dopo due anni, lasciò la moglie a 36 anni e si dimise dai servizi segreti tre anni prima, quando ne eveva 33. «Me ne andai dal mondo delle spie non appena ne fui capace. Capii che non riuscivo ad adattarmi a una vita troppo regolata, volevo essere un'anima libera». A quell'epoca aveva già pubblicato due libri. Ma cosa ne sarebbe stato di lui se non avesse scritto La spia che venne dal freddo, che diventò subito un bestseller e che gli diede i mezzi per vivere? «Il mio piano era di scrivere un libro all'anno e fare un po' di soldi e continuare il mio lavoro nei servizi segreti. Ma penso che si stessero preoccupando un po'». Ma La spia che venne dal freddo rivelava un atteggiamento mentale di grande scet- ticismo. «Avrei potuto apparire un sovversivo, ma sembra^ rono accettare la cosa. Erano di idee aperte. Erano gente dolce». Le Carré continuava a scrivere e ha continuato a scrivere sul tradimento, sempre sul tradimento - sul tradimento istituzionale e sul tradimento personale. Non a caso, durante la lezione alla Johns Hopkins University, si è domandato se esista un amore che non porti, alla fine, alla delusione. «Bè, sotto molti aspetti la mia visione della vita è davvero negativa. Molto spesso mi accusano di addolcire il finale di una storia, ma io lo faccio solo perché non mi sento di lasciare tutto in nero, così come è nella realtà». Alla fine di The Night Manager il protagonista, Roper, risparmia la vita a un ragazzo e alla sua fidanzata. Le Carré spiega che così - in qualche modo - può mostrare il trionfo dell'umanità sul male. Gli dico che gli americani sono molto affezionati ai suoi thriller: ci sono in circolazione molte biografie su di lui - qualcuno ne ha contate ben otto - e un critico dell'Ohio ha persino scoperto un parallelo fra sir George Smiley e San Giorgio, patrono e simbolo dell'Inghilterra. Che effetto gli fa tutto questo? Lui risponde che da tempo ormai non legge più libri del genere e nemmeno le recensioni dei suoi romanzi. «Mi nutrivo di tutta quella roba. Poi mi sono accorto che mi facevo coinvolgere troppo. Adesso so che sono al meglio di me stesso. So chi sono e ciò che posso fare e ciò che non posso fare. E quei giudizi non mi fanno più effetto». Lo ascolto con attenzione, ma poi aggiungo subito che sempre quel critico dell'Ohio ha scoperto l'esistenza di una spia del diciannovesimo secolo, tale Henri Le Carron. Interessante, dice Le Carré, ma quando inventò Smiley non aveva mai sentito parlare di quel tizio. Ma qual è la vera origine del nome Le Carré? Lui fu obbligato ad adottare uno pseudonimo perché i servizi segreti non gli permettevano di scrivere romanzi di spionaggio. Al mio rozzo francese «carré» fa venire in mente qualcosa come «quadrato» o «squadrato», una persona dal carattere tutto d'un pezzo. Questo è tutto. Ma il francese del nostro autore è infinitamente migliore e più sottile e, quindi, cosa poteva significare «carré» per lui? Lui si mette a enumerare i significati. C'è un «numero carré» nel gioco della roulette, mentre esiste un «bai carré», una danza in cui sono le donne a invitare gli uomini, e, inoltre, «carré» ricorda anche un tipo particolare di abito. Allora, tutti questi significati hanno avuto un ruolo nella scelta dello pseudonimo? Lui annuisce, ma poi aggiunge che un nome in tre parti come John Le Carré era facile da ricordare, anche visivamente. All'epoca il suo editore aveva proposto un nome tipo Chuck Smith. «Ma io spiega Le Carré - fui abbastanza intelligente da sceglierne uno che fosse degno di essere stampato su un poster». Per quanto mi riguarda, Le Carré è un romanziere di pari dignità a tanti altri in Inghilterra, e mi è capitato spesso di rileggere le sue pagine come quelle - per esempio - di Francis Scott Fitzgerald. Ma Anthony Burgess ebbe una volta a dichiarare che il talento di John Le Carré era sprecato e implorava di essere impiegato in un romanzo vero. Lui ammette che c'è una fascia di critici che non lo accetterà mai. «Ma la gran parte della mia esperienza proviene dalla vita che ho condotto nei servizi segreti e dalla mia famiglia. E io scrivo di quello che so. Ho visto costruire il Muro di Berlino quando avevo 30 anni e l'ho visto cadere quando ne ho compiuti 60. Ho vissuto le passioni del mio tempo. E se la gente dice che sono uno scrittore di genere, limitato, ebbene non posso fare altro che replicare che lo spionaggio è stato il genere della Guerra Fredda. Qualcuno dice che The Night Manager è un romanzo d'amore e che dovrei dedicarmi ai romanzi d'amore. Beh, se qualcuno vuole leggere i miei libri in questa chiave, si accomodi. Quello che conta per me è che io mi diverto a scrivere quello che scrivo che non ho dovuto sottostare a nessun tipo di compromesso». Esattamente come fa con i protagonisti dei suoi romanzi, Le Carré pensa che, ogni volta, un romanziere esplori tutte le possibilità del proprio carattere. «Ogni volta penso: io non potrei mai comportarmi così... ma c'è una piccola parte di me che potrebbe. Sono una persona assolutamente non violenta, ma posso avere anche reazioni assai forti». Poco dopo, mi rivela che gli è stato insegnato a uccidere. Era la procedura standard. Ma non ha mai messo alla prova quell'insegnamento. E, d'improvviso, torniano indietro di 30 anni, quando Le Carré era primo segretario a Bonn, a una cena diplomatica con l'allora primo ministro britannico MacMillan. Dopo aver tracannato una mezza bottiglia di kirsch, disse: «Non vedo speranze, siamo quelli che i nostri figli accuseranno di aver portato il mondo alla rovina». Poi - racconta Le Carré - «lo portai a dormire. Mi guardava e mi chiese: "Quale ha detto che è il suo nome, mio caro?". Glielo dissi, pensando a onorificenze, promozioni, cavalierati: "Cornwell, David Cornwell". "Ah, Cornhill", fece lui, "lo terrò a mente, mio caro"». Terry Coleman Copyright «The Guardian» e per l'Italia «La Stampa» «Sono al meglio di me stesso I giudizi dei critici non mi fanno più effetto» gg|| «E' vero, sotto molti aspetti la mia visione della vita è davvero negativa» «Volevo scrivere un libro all'anno e continuare il mio lavoro nei servizi segreti. E invece me ne andai» Estero n ve lo dirò mai» Kef. JB fl in^T ' v8 f - 9» gg|| Una scena de «La spia che venne dal freddo» In alto «La tamburina» un altro film da Le Carré Alee Guinness in «Tutti gli uomini di Smiley» A lato John Le Carré

Luoghi citati: Amburgo, Baltimora, Berlino, Bonn, Inghilterra, Italia, Londra, Ohio