Ma la voce di Eva è umana di Osvaldo Guerrieri

L'ermafrodito Robin's alle prese con il monologo di Cocteau L'ermafrodito Robin's alle prese con il monologo di Cocteau Ma la voce di Eva è umana L'energia misteriosa dell'androgino al telefono in una notte troppo buia SANTARCANGELO DAL NOSTRO INVIATO Ma dove ci avrebbe portati questo pullman che arrancava a scossoni per stradine molto fuori mano, buie e tortuose? Ufficialmente non lo sapeva nessuno. Noi passeggeri sembravamo dei deportati. Alle nostre spalle, in basso, scorgevamo le luci di Rimini; davanti, brillava la rocca di San Marino. Nell'oscurità densa come l'inchiostro, non sapevamo dove andavamo, quindi chi poteva dire quando saremmo arrivati? Il fatto che uno dei nostri accompagnatori mandasse in onda una vecchia inchiesta di Pasolini sugli italiani e il sesso non infondeva ottimismo sulla durata del viaggio. Meglio rassegnarsi. Eravamo vittime dell'ultima trovata del Festival di Santarcangelo. Non più oltranza teatrale, ma deportazione carbonara in nome della sorpresa. E la sorpresa era quella «Voce umana» di Jean Cocteau, che il regista Andrea Adriatico ha cucito sulla misura ambigua e fascinosa di Eva Robin's, «il più famoso ermafrodito d'Italia», che dopo provocazioni e successi televisivi, dopo il cinema nudo e impegnato, ha affidato alla prosa il proprio risorgimento artistico. «La voce umana» è andata in scena ogni volta in un luogo diverso. La prima sera doveva essere a Novafeltria. Ma un nubifragio trasformò la spianata in un acquitrino. Seguirono le sponde del fiume Marecchia, con Eva Robin's che recitava il suo disperato monologo entrando e uscendo dall'acqua. Noi siamo in un luogo chiamato Torriana. Gli accompagnatori ci precedono con le torce elettriche. Arriviamo su uno spiazzo circondato da rupi molto scoscese, buone per il Prometeo. Dal sommo di un'altura vediamo scendere quattro-cinque persone: sembra una fiaccolata misterica, mentre Jacques Brel canta «Ne me quitte pas». Ed ecco Eva Robin's. E' in sottoveste grigiazzurra. Siede dinanzi a un invisibile specchio e si raccoglie i capelli sulla nuca. Da un cassonetto per l'immondizia esce a metà una figura in tuta nera, mentre vediamo intorno una serie di antenne paraboliche. Una metafora sulla comunicazione? Del resto, protagonista di questo microdramma è il telefono. Avvinghiata all'apparecchio, Eva dice, con l'affanno di una profonda emozione: «Finalmente. Sei tu, sì?». Quel tu invisibile e mai nominato è l'amante perduto, che il telefono fa esistere ancora, lì, in quel luogo selvaggio che dovrebbe essere una stanza, tra abat-jour e lampade che sono creature in nero con torce sulla fronte, come i chirurghi o i minatori. Non contano quasi nulla, conta il telefono, conta il filo che l'uomo nel cassonetto allunga o tira a suo piacere, condizionando i comportamenti di Eva, costringendola ad avvicinarsi, ad allontanarsi, a cadere, a rialzarsi. E' questo lo spettacolo: è il dominio delle forze oscure, è l'energia misteriosa che si dimostra insensibile ai nostri sentimenti. E Eva deve ridursi per forza a una marionetta, a un povero fagotto di carne che, dopo tanto spasimare, viene annientata da un'esplosione seguita da fiamme e fumo, mentre l'uomo nel cassonetto dichiara: «Basta un soffio di vento per farci volar via». Sì, interessante, in certi momenti avvincente, con Eva fortemente compresa nel ruolo, in una situazione dove conta non ciò che si dice ma come si dice. Era il caso, tuttavia, di far tanti misteri? Ma Santarcangelo è stato così, il festival della piadina e della provocazione anche vessatoria. Prendere o lasciare. Se prendiamo molto volentieri «L'uomo coriandolo» di Eva Francia, altrettanto volentieri lasciamo «Cenci» di Ravenna Teatro e «Destinazione Loa -12 settimane a Sodoma» di Marco Palladini interpretato da Antonio Campobasso, che una dozzina d'anni fa mise a rumore il mondo delle Lettere con il romanzo «Nero di Puglia». «L'uomo coriandolo» è un magnifico esempio di teatro che, attraverso la drammaturgia e la danza, precipita nel contrasto tra ordine e caos. Funi, scale di corda, amache sono gli strumenti con cui una decina di ottimi interpreti descrive il proprio spaesamento, le proprie scissioni, la corsa verso la morte e la tensione verso la vita. Un lavoro eccellente, innovativo, la cui forza fa impallidire gli altri spettacoli da noi visti, compresa «Destinazione Loa» che, presentandosi come un concerto criminale per voce e percussioni, naufraga nel puro turpiloquio. Se questi sono i segnali della nuova teatralità, stiamo freschi. Che succede? Si è definitivamente prosciugato il serbatoio delle idee e della poesia? Antonio Attisani dice che siamo in uno stagno per colpa dei politici e della nomenclatura teatrale, che «ha ridotto al rango di mendicanti i migliori talenti». Per questa ragione ha deciso di lasciare. Ha finito. Santarcangelo dovrà cercarsi un altro direttore. Osvaldo Guerrieri Eva Robin's: «Finalmente. Sei tu, sì?»

Luoghi citati: Italia, Novafeltria, Puglia, Ravenna, Rimini, San Marino, Torriana