E' morto Leo Ferré, l'ultimo degli «chansonniers»

E' morto Leo Ferré, l'ultimo degli «chansonnier*» L'artista aveva 77 anni, si è spento nella sua casa di campagna, vicino a Siena, dove si era ritirato dopo la fuga da Parigi E' morto Leo Ferré, l'ultimo degli «chansonnier*» Tenero e cupo, cantò sulle barricate del '68, poi venne in Italia «ultima democrazia» SIENA. E' morto Leo Ferré, ultimo «chansonnier», ultimo anarchico della canzone. Il poeta che cantò sulle barricate parigine del maggio del '68 si è spento mercoledì a Castellina in Chianti, il suo eremo nella campagna senese, dove ha vissuto 20 dei suoi 77 anni. La notizia, per volere dello stesso artista, è stata data solo ieri notte. Leo Ferré era considerato uno dei più grandi autori sulla scena internazionale, insieme con Jacques Brel e Georges Brassens. Proprio nella tradizione francese si era formato ed affermato, emergendo anche per il suo carattere schivo e irascibile. Era un uomo aspro, ma allo stesso tempo dolce, un artista duro che sapeva trasmettere agli altri un forte conflitto interiore attraverso le canzoni, tra cui le indimenticabili «La chambre», «C'ert extra», «Pépée», «Paris canaille», «Avec le temps» e «Les anarchistes». Ferré aveva scelto di abitare in Toscana, ma sono stati pochi i fans che hanno potuto assistere ai suoi concerti in Italia. Odiava i grandi appuntamenti e lo showbusiness di questi anni: «C'è tanta brutta musica in giro - ripeteva -, saremo tutti divorati dalla televisione. E la colpa è del rock, di quel ritmo massacrante, della batteria che annienta tutti gli altri strumenti, voce compresa». I capelli sempre più bianchi e lunghi, il volto che sembrava scolpito nella pietra, Ferré aveva mantenuto la rabbia anarchica e la poesia. Lo dimostrò con orgoglio all'Olympia di Parigi dove si presentò vestito come sempre, con il giaccone di cuoio, i jeans e una camicia rosa. «La bestia feroce», così lo chiamavano i critici francesi, non era cambiato e non deluse. La sua voce inconfondibile, profonda e violenta entusiasmò il pubblico. Fu tenero e cupo, da solo in piedi sul palcoscenico, riuscì ad essere vicino ad ogni spettatore. Fu una breve apparizione poi il ritorno in Toscana dove si considerava in esilio politico: «Amo l'Italia - diceva - perché è l'ultima democrazia in Europa, è un Paese dal potere sempre in bilico. Ci sto bene, ma quando canto non viene nessuno. Gli italiani non sono all'avanguardia». Ma in uno dei suoi ultimi concerti, a Venezia nell'89, incantò per oltre due ore riproponendo «Madama la misere», «Quartier Latin», «Les étrangers», «Franco la muerte», «La nostalgie». In Italia arrivò il 5 marzo del 1974 con la terza moglie, Maria: «L'unica con cui ho fabbricato dei figli - disse -. Sono fuggito da Parigi perché i fuochi del '68 si erano spenti per sempre. Per questo ruppi con la mia seconda compagna, Madeleine». Oggi la salma di Ferré sarà trasportata, per i funerali, nel Principato di Monaco, dove l'artista nacque il 24 agosto del 1916. «Ma una parte dei miei studi - diceva li ho fatti a Bordighera e poi a Roma». Laureatosi a Parigi in Scienze politiche, ben presto si accorse che la musica era la sua vera passione. Cominciò da solo sfruttando il pianoforte della sorella. A 13 anni la prima melodia su una poesia di Paul Verlaine, «Soleils couchants», un pezzo che rimase per sempre nel suo repetorio. Poi la guerra e il primo matrimonio. Per un po' Ferré si mette a fare il contadino, ma la musica lo riporta a Radio Montecarlo e poi al piccolo cabaret di Saint-Germain-desPrès dove comincia l'avventura. Laura Carassai Il cantante-poeta Leo Ferré in un'immagine degli ultimi tempi