E adesso, poveri vignettisti? Strabattuti da Mani Pulite

E adesso, poveri vignettisti? Strabattuti da Mani Pulite IL CASO. Si apre la rassegna di Forte dei Marmi: «La caduta degli dèi» E adesso, poveri vignettisti? Strabattuti da Mani Pulite ~w\ FORTE DEI MARMI I ERI: «Lei non sa chi sono I io!» (il politico al poliziot-I to); «Non l'avevo ricono_*Jsciuta, onorevole, mi scusi...». Oggi: «Lei non sa chi sono io!»; «L'ho riconosciuta, onorevole, mi segua...» (Ziche e Minoggio). «Tutti avevano previsto che la prima Repubblica sarebbe finita ma non in galera» (Albert). «L'Italia non è solo corruzione, arresti, avvisi di garanzia, tangenti, scandali»; «Mi risparmi il resto, per carità» (Altan). Anno due di Tangentopoli. Il regime è morto, i partitocrati sono morti e anche la satira si sente poco bene. Guardare per credere: basta una visita in Versilia, al capezzale montato sotto la Pineta fino al 19 settembre. Oggi si apre il 21° Premio Satira politica, articolato come sempre in diverse sezioni, fra le quali spicca, come ormai da qualche anno, quella dedicata all'irresistibile discesa lungo un piano inclinato della nostra (prima) Repubblica: due estati fa la «Cossigheide» (idealmente riallacciata alla più antica «Craxeide»), l'anno scorso i primi clamori di Mani pulite, con «San Vittore patrono d'Italia», e oggi che la rotta è generale, e la scivolata non è più possibile perché il piano si è rovesciato, «La caduta degli dèi». «Noi politici onesti non credevamo che la corruzione fosse così capillare» prepara la battuta un pingue signore affondato in poltrona, brandendo un avana, in una vignetta di Donarelli; «Noialtri bambini sì» conclude una mocciosa alle sue spalle. Mentre la verginella pensosa di Cemak si diletta saltando la corda: «Rinno-va-men-to. Uno! Due! Rinno-va-men-to...». Insomma: il naufragio del sistema trascina con sé la satira che l'ha accompagnato, ma la satira della nuova èra è in gestazione nello stesso clima smarrito e confuso che avvolge la nascita della seconda Repubblica. «Chissà se siamo alla fine dell'impero romano o all'inizio delle invasioni barbariche» ragiona l'improbabile creatura di Rebori. Cavallo, al solito, è pessimista: «Sei preoccupato per il "nuovo"?»; «No, ho paura del "toh, chi si rive- de"». Ma almeno si rivedesse... Sai che festa, per i vignettisti, se tornassero le vecchie care oltraggiate facce. In mancanza, non resta che abbarbicarsi al passato, come quel King Kong Bettino, di Origone, aggrappato alla vetta dell'Empire mentre lo assedia un nugolo di aereoplanini (gli avvisi di garanzia?): forse più una proiezione onirica del disegnatore che non un pericolo reale. I satirici diventano spiritisti, evocatori di fantasmi. Come spiegare, altrimenti, quel ritomo quasi inconscio, quasi ossessivo di certi temi: il porcellino salvadanaio craximorfo di Gef Sanna, per esempio, o la silhouette mafiosoandreottiforme del grande Ardito. Andreotti, il divo Giulio. Fra tanti dèi caduti, è lui il più caduto di tutti. Preso a calci, addirittura, scaraventato via con un vigoroso colpo di Stivale, nella tavola di Franco Bruna. Inchiodato alle sue colpe, come Cristo in croce, nel quadretto di David Lubrano: «Padrini, padrini, perché mi avete abbandonato?». E poi gli altri. C'è l'uomo della strada, in un disegno di Vitto, che lancia l'eterna imprecazione di tutti i qualunquismi: «Piove, governo ladro», e dal cielo vengono giù mazzette, bustarelle, bettini, giulii e de michelis. Qualcuno ipotizza l'estrema resistenza: «La partitocrazia assediata non s'arrende» legge sul giornale l'omino di Vignazia in caduta libera; «Sono i forti di Forte Citorio» gli obietta imperturbabile il suo compagno di volo. E si sa come finiscono i soldati assediati, se non arrivano i nostri. Tutto inutile. I (ne)fasti dell'impero sono definitivamente tramontati, sepolti in un rovinoso schianto di colonne e di busti marmorei che ora giacciono a pezzi, e hanno le facce di Forlani Craxi Andreotti; con una mano disarticolata che ancora stringe la bustarella, e un sorcio schiacciato sotto un pilastro: «La fine del topo», è la vignetta con cui Giannelli, sulla prima pagina del Corriere, congedava il governo Amato. Anche la luminosa saga forattin-dottorsottil-disneyana, che in un gioco di sponda fra vignettisti e Palazzo aveva a lungo rianimato la satira negli ultimi tempi, è finita con il premier Mickey Mouse. La palingenesi di Amato in Età Beta non è riuscita, e perfino il sommo Forattini (qui assente) deve arrangiarsi con i vecchi pupi. Ma non crocifiggiamo anche loro, poveri vignettisti, come il dio caduto Giulio. Che ci possono fare se la realtà tangentizia stravince sulla loro immaginazione (e su quella di tutti), se la verità «ha superato gli omissis» (ancora Ziche e Minoggio), e nessuna invenzione satirica è più irresistibile della storia di quel tale che oltre a pagare il pizzo ha pure dovuto versare 100 milioni in opere di bene, per onorare un ex voto fatto da Cirino Pomicino alla vigilia di un intervento al cuore. Però. Una storia di diamanti ricevuti da Bokassa, scoperta dai ragazzacci del Canard Enchainé, costò la rielezione a Giscard d'Estaing, tanti anni fa. La gag degli omaggi riversati su De Lorenzo e famiglia, scoperta dai giudici, non metterà per sempre in crisi la vocazione di qualche matita? Maurizio Assalto Porcellino salvadanaio a forma di Craxi, Andreotti crocifisso: «Padrini miei, perché mi avete abbandonato?» LA FINE DEL TOPO IL CASO. // regime è crollaancora. Come inil nuovo avanza ho ro&at0, corrotto / concusso ua Pianti pi VAtfTAR^i L'Andreotti di Forattini. A sinistra una vignetta di Giannelli, a destra un disegno di Giuliano per Forte dei Marmi // regime è crollato, ma ispira ancora. Come in Parlamento il nuovo avanza nel caos Una vignetta di Altan in mostra al 21° Premio Satira politica. Fra le altre sezioni della rassegna, i vecchietti di Lunari, una personale di Steve Bell, la satira inglese del «Guardian», il francese Tignous, Franco Bruna e una retrospettiva di Gabriele Galantara

Luoghi citati: Forte Dei Marmi, Italia