Una malattia nascosta da paura e vergogna di Maria Corbi

Una malattia nascosta da paura e vergogna Una malattia nascosta da paura e vergogna QUEL MORBO loffie E' m ROMA m di pochi mesi fa l'ultimo caso di lebbra scoperto a Roma. E' un uomo ancora giovane, ma segnato nel volto dalle sofferenze di una vita difficile più che dalle piaghe del male. Sapeva di essere affetto dal morbo, racconta dopo molte insistenze un medico che vuole rimanere anonimo, già prima di presentarsi al poliambulatorio della Caritas di Roma dove hanno fatto la diagnosi ufficiale. Come lui in passato, diversi anni fa ormai, nelle stanze bianche di via Marsala, dove c'è l'accoglienza donne oltre che l'ambulatorio, si era presentato un altro extracomunitario su cui pesava la stessa condanna: lebbra. Una malattia che adesso si cura e che non è molto conta- tiosa, ma che fa paura. Paura i rimanere soli, isolati dall'ignoranza di chi ancora lega la lebbra ad immagini di amputazioni e di facce sfigurate. E' per questo che don Di Liegro - spiega Salvatore Geraci, responsabile dei servizi sanitari della Caritas - ha parlato di un «centro di ascolto, un punto di riferimento specializzato cui potrebbero rivolgersi sia i malati che non possono usufruire del servizio sanitario nazionale, sia coloro che per vergogna o per paura non hanno avuto il coraggio di farsi visitare in ospedale». E la paura e la vergogna sono stati probabilmente il mo¬ tivo per cui i due uomini hanno rimandato il più possibile prima di recarsi da un medico. Per mantenere il segreto hanno dovuto rinunciare anche a dormire gratis all'ostello per stranieri della Caritas dove prima di essere ammessi bisogna sottoporsi ad uno screening medico. I frequentatori della mensa, un grande stanzone dove si affollano persone di tutte le razze e di tutte le età, non ricordano se fra i compagni di tavolo si sia mai seduto qualcuno affetto da lebbra. Non avrebbe comunque avuto importanza. Nella disperazione di queste persone costrette dalla vita a non avere un tetto e a dover contare sulla benevolenza degli altri per avere un pasto caldo la parola lebbra non è che un suono. «Chissà quanti di noi sono malati. Che differenza fa una malattia o l'altra? Il vero male è che siamo soli», si sfoga Igor un uomo ormai vecchio che ha come unico amico la sua bottiglia. Ma la visita all'ambulatorio è stata ad un certo punto inevitabile perché la malattia quando avanza crea dei disturbi seri. Il tipo di lebbra che ha colpito i due extracomunitari, fa sapere ancora il medico della Caritas che non vuole comparire, è quello che colpisce la pelle e il sistema nervoso periferico. I danni più gravi derivano dal- sopraggiungere dell'insensibilità. «Ci si fa male - spiega ancora il sanitario - e non si sente dolore. In questo modo possono sopraggùingere moltissime complicazioni, soprattutto di infezioni non curate». Entrambi i malati, una volta accertata la lebbra, sono stati dirottati all'Istituto dermosifilopatico dell'ospedale San Gallicano che ha un accordo con la Caritas per l'assistenza gratuita agli extracomunitari. Adesso sono seguiti da uno staff medico che fa capo al professor Fazio. Che cosa facciano nella vita di tutti i giorni - se lavorano, dove vivono, se hanno famiglia - non si sa. Alla Caritas le bocche sono cucite. Dopo il clamore che l'allarme lebbra ha suscitato ieri con i venti casi denunciati da Di Liegro i volontari dell'ambulatorio hanno avuto ordine di non parlare senza il permesso del Vicariato. E al San Gallicano il medico che segue i due malati è in ferie. «La lebbra - spiega il direttore sanitario del San Gallicano è una malattia che comporta l'obbligo della denuncia. Ma ancora non abbiamo trovato quelle che riguardano le persone mandate dalla Caritas. Ma se Di Liegro ha detto che sono da noi sicuramente sarà così». Anche al San Gallicano non drammatizzano: la lebbra è una malattia molto poco contagiosa. Per essere infettati bisogna che ci sia un contatto assiduo con il malato. Maria Corbi Un medico rivela «Molti temono di rimanere soli» Il lazzaretto per lebbrosi di Genova

Persone citate: Di Liegro, Salvatore Geraci

Luoghi citati: Gallicano, Genova, Roma