Senato monetine e insulti al governo di Fabio Martini

Ciampi chiede la fiducia, la Lega va a votare a passo di lumaca, due parlamentari espulsi Ciampi chiede la fiducia, la Lega va a votare a passo di lumaca, due parlamentari espulsi Senato, monetine e insulti al governo Mazzola (de): Leghisti come fascisti. La replica: ladri ROMA. E' mezzogiorno e l'austera auletta del Senato si trasforma in una sala d'avanspettacolo. Per un quarto d'ora nell'emiciclo foderato di mogano e di velluto rosso vanno in scena «numeri» mai visti: il leghista Leoni e il socialista Pischedda, come due monelli, si tirano le monete uno contro l'altro; i senatori del Carroccio, per protesta contro Carlo Azeglio Ciampi, partecipano alla votazione con un irridente passo di lumaca. Un passo alla volta. Sembra un film al ralenti. Uno di loro, Luigi Roscia, senatore di Salò con la passione per la fisarmonica, si supera e si presenta al banco della presidenza saltellando su una gamba sola. Scene da pochade, avvolte in un clima avvelenato, con scambi di accuse feroci (la de alla Lega: «fascisti!», la Lega agli altri: «ladri!), con due leghisti (Preioni e Manfroi) espulsi dall'aula e con il presidente Spadolini che alla fine ha stigmatizzato gli incidenti e l'atteggiamento della Lega, definito «un inammissibile ostruzionismo». La scintilla che dà fuoco alle polveri è la decisione del.governo di porre la fiducia (dopo averla già chiesta altre due volte nelle ultime 48 ore) anche sui due provvedimenti all'esame ieri a palazzo Madama: il decreto «a sostegno dell'economia» e quello sull'occupazione, che contengono le contestate norme sulla cassa integrazione per i dipendenti dei partiti. Già due giorni fa Spadolini aveva espresso «preoccupazione» per il ricorso frequente alla fiducia, ma il governo è andato dritto per la sua strada e così, ieri le opposizioni erano tutte sul piede di guerra. Ma chi ha dato, a modo suo, battaglia sono stati i senatori del Caraccio. Parole di fuoco nel dibattito: «Scalfaro è il burattinaio dei presidenti delle Camere»; «Ciampi è scandaloso». Ma il vero «numero», quello che eccita l'atmosfera, lo manda in scena il senatore Giuseppe Leoni, un varesino quarantaseienne con baffoni e papillon. Anziché avviarsi al tavolo della presidenza e dire come la pensa, il senatore leghista se la prende comoda: abbandona il suo scranno camminando lentissimamente. Un passo alla volta, un passo di formica. Come si usa nel parlamento giapponese. Qualcuno sorride, il democristiano Cabras 10 guarda con gli occhi sbarrati, 11 presidente di turno Granelli lo rimprovera, ma lui, il senatur, non si smuove. Va avanti con la stessa, stracca lena. Ma la scenetta accende gli animi. Il socialista spezzino Pischedda non va per il sottile: pesca nella tasca una moneta da cento lire e la tira contro Leoni che nel frattempo sta continuando il suo spettacolino nell'emiciclo. Ci siamo: l'auletta si trasforma in una sala da rivista. Leoni raccoglie la moneta e la tira contro Pischedda e Pischedda, non pago del suo «numero», rilancia: trova altre mo¬ nete in tasca e le lancia nell'emiciclo. Uno spettacolo sorprendente: nell'emiciclo si intrecciano urla, monete, improperi. Mazzola grida ai leghisti: «Siete come i fascisti nel '22!». Torna un po' di calma, ma dura poco. Altri due senatori leghisti, Lorenzi (a Torino lo chiamano 1'«astrologo») e Manfroi, direttore di un coro montanaro, si avviano alla presidenza a passo di lumaca («con ostentata lentezza», annota il pur sobrio resocontista del Senato) e dei banchi de, pds e psi partono urla belluine: «Fuori!». Un altro leghista, Marco Preioni, un quaratatreenne di Domodossola con la passione per le ricerche sulle origi¬ ne seicentesche della sua famiglia, si rifiuta di votare: «Non ci sono le condizioni sufficienti di serenità...». Granelli è furibondo: «Non è vero! Voti pure». Preioni, un passato da tranquillo giudice conciliatore, non si muove. Granelli urla: «La censuro e la escludo dall'aula per il resto della seduta!». Preioni se ne va, ma qualche minuto dopo, preso da chissà quale demone, fa un gesto che ha pochissimi precedenti: rientra in aula. Appena gli altri lo vedono, riprendono le urla. Per cacciare il senatore di Domodossola, stavolta i commessi devono gonfiare i muscoli: sollevano da terra Preioni e lui, accoccolato tra le braccia dei com¬ messi, riesce a salutare i suoi amici del Carrocco con il churchilliano segno di vittoria. Oramai l'aula è ingovernabile. E l'ultimo «numero» lo escogita un altro leghista: Luigi Roscia lascia il suo scranno e si avvia alla presidenza saltellando su una sola gamba. E appena fuori dall'aula Roscia denuncia: «Due socialisti, Pischedda e Pizzo, mi hanno preso a calci! Adesso andrò dal medico a farmi visitare...». E in questo clima da pochade, Pischedda, quello del lancio delle monete gli risponde: «Roscia dice il falso, lo denuncerò e chiedo il giurì d'onore...». Fabio Martini I lumbard scoprono l'ostruzionismo dei «passettini» Roscia va a votare saltellando su una gamba Due momenti della bagarre in Senato Il leghista Leoni lancia una moneta contro senatori della maggioranza che rispondono con applausi

Luoghi citati: Domodossola, Roma, Salò, Torino