COVITO la bruttina libertina

LASEDUZIONE. Da «pazza napoletana» a «geisha»: carriera, conquiste e ironia della scrittrice-rivelazione LASEDUZIONE. Da «pazza napoletana» a «geisha»: carriera, conquiste e ironia della scrittrice-rivelazione la bruttiti ERA un momento in cui avevo bisogno di sentirmi Marilyn Monroe. Dico a me stessa "Vado e questa volta me li faccio tutti"». Accade qualche estate fa: Carmen Covito ha appena lasciato il marito giapponese dopo 18 anni di matrimonio, con un po' di amici parte per il Marocco. Il posto, vicino a Agadir, è bellissimo. «Un mattino esco sola dall'albergo, un arabo del deserto è seduto al bar avvolto nella sua fekìa candida, mi sorride. Ovviamente, gli sorrido. Comincia a seguirmi, si avvicina, parliamo. Chiede: "Posso offrirle un caffè?». Certo che sì. "Potrei accompagnarla in auto a visitare i posti". Perché no? Con il pretesto di aspettare gli amici mi faccio portare su una spiaggia, bianca...». I due restano in situazioni terribilmente imbarazzanti: lui, vestitissimo, si guarda attorno lanciando occhiate cariche d'ansia; lei, in costume, studia le mosse. «Faccio scattare la prima mossa, da grande seduttrice, gli porgo l'olio da spalmarmi sulle spalle. Segue scena tragico mica: come ri sposta al mesi saggio lui mi in-1 vita a una passeggiata, andiamo a vedere la tomba di un marabù... Non demordo. Finalmente arriviamo su un promontorio frequentato da campeggiatori. Ed ecco, educatissima, la domanda di lui: "Vuol fare l'amore?"». La faccenda finisce che l'arabo, un marito fuggito brevemente da Marrakesch per rimorchiare straniere e pieno di terrore d'essere scoperto, al momento buono fa cilecca. «Io mi comporto con la massima nonchalance, si torna a casa. Ma non è così facile: il furgoncino traballante, pieno dei suoi attrezzi di falegmane, s'inabissa nella sabbia... Smitizzazione del maschio africano e apologo su come vanno a finire le seduzioni». Forse, apologo anche su Carmen Covito, l'antiseduttrice per programma; per cultura (molto femminista, s'intende) a dispetto di una accentuata vocazione illuminista; per estrema difesa ma soprattutto per il piacere del gioco, la voglia timida ma acuta di spiazzare. Con i suoi occhiali Anni 50, i capelli marron corti, (tagliati, sembra, da una reliquia di «pettinatrice», chissà dove scovata), Carmen si offre come una sorta di «prova d'autore» non di Marilyn ma di Marilina, la Bruttina stagionata, tutto cervello e disperazione in un mare di eros ghiacciato, protagonista del suo romanzo d'esordio diventato il romanzo-caso dell'anno, 60 mila copie finora che fanno felice anche la Bompiani. Ma la composizione del puzzle è più che scoperta, la maschera (lei ne sa usare parecchie, secondo i casi) è anche il mezzo necessario per accettare l'improvviso successo, non farsene divorare. No, Carmen non è neppure Marilina, è la efficientissima burattinaia lievemente crudele in mezzo al suo apparente masochi smo, non solo del personaggio che ha inventato, ma probabil mente anche di molti tra coloro che l'avvicinano. Basta vedere come conduce la danza. «Riceve» nel suo poco più che monolocale della semiperiferia milanese. Un incrocio tra pied-àterre un po' indifferente da in tellettuale e casuccia da brava impiegata, con vetrinetta per i bicchieri e qualche residuo di aria studentesca, le foto appicci- cate con le puntine, una di esse, inarrivabile, dove si vede lei fasciata di nero come un travestito mentre si rifa il trucco seduta sul water. Anche il look è «qualsiasi»: pantaloni a fiori, top giallino, i sandali che si immaginano comperati nel primo negozio a tiro nella via Porpora sottostante. «Faccio il caffè», dice e lo porta sul piccolo vassoio con un risolino quieto e borghese, il tempo di valutare la situazione. Intanto il telefono squilla, le chiedono un parere sulla Lega (contro la Lega, naturalmente), le fanno combinare un viaggio promozionale, una delle famose «serate»: «Sono un divertimento per me, la gente spesso mi rivela significati del mio libro ai quali non avevo assolutamente pensato, mi citano le mie citazioni, che so Kerouac, Ginsberg, il catastrofismo... eccetera». Serate che, insieme agli ottimi proventi forniti dalla Bruttina («Merito di Busi; ho avuto dalla Bompiani un contratto busiano, non certo covitiano»), cooperano a renderle possibile una vita da «scrittore» dopo tanti anni da «negro» o quasi (vedi Marilina). Da ultimo c'è, poi, più ufficializzata attività di critico letterario (fl Giornale di Montanelli) dove la Covito si dimostra piuttosto coraggiosa rispetto al costume corrente, ben intenzionata a smontare luoghi comuni e a attaccare, se del caso e come è accaduto, qualche residua «baronia». Un'estate di grande lavoro e, nonostante i dinieghi, altamente seduttiva. Il rischio di Carmen è ora di diventare addirittura un minuscolo monumento vista la tendenza italica al «perenne oraziano», anche se provvisorio. Divertita si difende, e ribalta: «Figuriamoci, non credo a nessuna "perennità", a nessun prolungamento di me, non solo in un libro, addirittura nemmeno in un figlio: sono stata contentissima quando a 31 anni, 12 anni fa, mi hanno operata. Prima ingoiavo tre pillole anticoncezionali al giorno, sono riuscita a farmi venire un fibroma pur di non avere una gravidanza... Ma no, scrivere è come far l'amore, serve per sentirsi nel mondo e basta. Bellissimo, perché lì c'è la sfida con te stessa, il tipo di seduzione che amo, non pericolosa, non tesa a annientare, non guerra per distruggere e distruggersi, non Don Giovanni, il grande burlatore che è poi bui-lato. In fondo, la grande utopia dell'amore è proprio l'opposto della seduzione, è due persone che s'incontrano ma restano due». Seduta sul piccolo divano con vista di cortile, Carmen controlla ogni parola e persino le brevi risate, forse non febee di raccontarsi, tuttavia decisa a proseguire con ferrea professionalità nella via intrapresa: «Le "storie" della mia vita sono capitate quando non le cercavo, per puro sfregare di fiammiferi sul fosforo. Neppure molte, per il vero: da ragazza ero chiusa psicologicamente, per me tutto era difficile; a un certo punto diventai anche grassa, le mie amiche mi facevano scherzi atroci, dovetti minacciarle di portarmi dietro il coltello. Si può dire che ho avuto un uomo solo per 40 anni». Una fedele, ribelle. «Arrivo da quel paese tristemente famoso che si chiama Castellammare di Stabia. Quando ci abitavo, fino agli Anni 70, era ancora un posto vivibile, benché naturalmente dominato dalla mentalità del "favore", i diritti sostituiti dalla "cortesia" di chi aveva qualche potere. Ma noi eravamo appartati, immuni. Una famiglia di piccolissima borghesia, mio padre impiegato comunale sposato a mia madre, vedova d'un capostazione con due fighe, dopo, un corteggiamento che ha sempre suscitato in me un'infinita tenerezza oltre allo stupore». Quando Carmen nasce, questo padre deve tirare la carretta per cinque persone. «E vuole che tutte e tre le figlie studino, una promozione intellettuale in nome della quale avrebbe affrontato qualsiasi sacrificio. E' stata un'infanzia stretta, la mia, tirata, però bella, tra gente così». Carmen sta per tornare adesso laggiù, a passare un agosto di lavoro accanto a quella famiglia, buona e soffocante, dalla quale subito dopo la laurea in filosofia era fuggita. «Non potevo farlo prima, per decenza, per rispetto». Aveva resistito grazie a una specie di isolamento, di autoemarginazione trai libri, divorando tutto ciò che era possibile trovare, inseguendo naturalmente le voci nuove, meamminata anche lei on the road. «Ma appena ottenuto quel "pezzo di carta" via, chiedo un posto di insegnante al Nord. Intanto arriva l'estate del '70». L'estate più bella di Carmen. «Un'amica aveva vinto una borsa di studio per la Spagna, decido di accompagnarla. Destinazione Salamanca, c'è ancora Franco ma nella grande bohème della città universitaria non si sente molto. Pochi giorni dopo il nostro arrivo siamo già catalogate come "le pazze napoletane"; poi, una sera in una taverna, appare "il giapponese". Si dice la seduzione: io sono ingoffata in un maglione su larghissimi jeans e eskimo, bicchierozzo di vino rosso davanti, fumando sigarette spaccapolmoni. Mi trova stupenda. Fatto. Da quel momento non ci lasciamo più; lui, per una tesi sulla Reconquista è arrivato da Tokyo con una borsa di studio in dollari, sembra quasi ricco, andiamo per tre mesi a scorrazzare con una coppia di amici, noi bruni, loro biondi, per tutto il Paese. Faticosissimo; l'autostop a noi due bruni non riusciva, non ci caricava nessuno. Comunque a Cordova, in un piccolo paradi so moresco, scoppia l'amore do po un principio di insolazione del mio prossimo fidanzato: passione e morte, tutto meravigliosamente alla Barbara Cartland...». Il matrimonio si snoda, per Carmen, tra Brescia e Tokyo, tra l'insegnamento e il ruolo, impa rato alla perfezione («là, se sba gli, non te lo dicono, ma sei finita») di moglie giapponese. «Ave vo smesso la maschera di Castellammare per assumere quella della geisha... Rigore assoluto Le mie amiche di laggiù ridevano dicendomi: "Sembri una delle nostre nonne, ti comporti come da noi un secolo fa". Esageravo, in cortesia, in devozione. Un at tore del kabuki con cui ho lavo rato mi amava molto per questo e diceva: «Sei una vera donna, metti sempre il marito davanti e non metti mai in luce te stessa». A Carmen questo Giappone piaceva. Anche per la gran possibilità di approfondire quel filone erotico che era già diventato uno dei suoi interessi letterari prevalenti. «Direi che non ho esplorato molto, in questo campo. Forse sono troppo occidentale, l'erotismo alla Tanizaki e compagni non mi entusiasma, se non per il versante rituale, mai pornografico delle vicende di sesso e d'amore. Bisogna anche dire che l'ambiente in cui vivevo, a Tokyo, proprio non si prestava a queste ricerche, ero capitata addirittura in una famiglia di samurai: mio marito, ex sessantottino, me lo aveva nascosto. In effetti pareva di vivere in un film di Kurosawa, la grande casa, le case dei figli, tutto secondo le regole dalla nascita alla morte e naturalmente la "maschera" che anch'io ho portato per tutto il matrimonio. Per me era soprattutto la prova d'essere riuscita a fare quello che cercavo di fare: dallo sbracamento napoletano ero arrivata al massimo autocontrollo, al distacco, all'ironia». Un serrato, minuzioso quanto profondamente trasgressivo lavoro di formazione. Ma a poco a poco il cerchio si fa di nuovo troppo angusto: «A 40 anni avevo bisogno del mio spazio, da sempre volevo scrivere ma da sposata non osavo farlo, mi pareva di sottrarre tempo al mio dovere di moglie». E' la rottura del matrimonio e l'inizio di una dura vita dell'«arrangiarsi» con tentativi tutti falliti di romanzi sperimentali, di manoscritti regolarmente rifiutati, sopravvivenza a furia di sceneggiature di fumetti, racconti erotici «landolfiani» sottopagati o dimenticati nel cassetto degli editori, prove sfortunate anche con il romanzo rosa. La solita via crus. Poi rincontro con Busi, Carmen nel ruolo di intervistatrice. «Per prepararmi leggo Vita standard di un venditore provvisorio di collant, resto folgorata dal romanzo e subito dopo da lui. Qui la seduzione è immediata, è la seduzione del "buon Maestro", quella che serve, che aiuta, una seduzione completa, pensieri, parole e opere...». Sesso a parte. Ed è Busi che le procura i primi impegni con Mondadori, le affida i risvolti di copertina dei suoi libri, «mentre continua a studiarmi, mi mette alla prova in tutto, dalle cose più banali alle più serie, vuole capire se sono affidabile, sino a che punto arriva la mia serietà intellettuale. E l'esame continua. So che mi vuole bene, ma so anche che se sgarrassi sarebbe finita». L'aspetta alla seconda prova, come tutti, d'altronde. E Carmen sta scrivendo. Il nuovo romanzo, pronto per Bompiani all'inizio del '95, ha ancora un titolo «di lavoro»: Danza di corteggiamento, si svolge ai giorni nostri dietro le quinte di un teatro che si può collocare a Reggio Emilia, tutto succede la sera di una "prima". «Ci penso da cinque o sei anni, da prima della Bruttina, e non voglio dire nulla di più per scaramanzia, perché tutto è ancora informe» ma è chiaro che danza è la grande metafora che comprende l'universo dell'eros. Siamo in piena seduzione, altro che disdegnarla. Carmen in realtà non potrebbe farne a meno, intrisa com'è di erotismo, plasmata da una lunghissima militanza nella letteratura erotica e soprattutto da quella bibbia del pensiero razionalista che sono le Liaisons dangereuses. Così, «la napoletana del '700» come la definisce Busi, forse non poteva scegliere altra strada che quella di un postmoderno libertinage. «Se devo pensare, in senso "positivo", a due seduttori, penso infatti soltanto a Valmont e alla Merteuil, gli unici due combattenti alla pari che ricordo impegnati nella reciproca dissoluzione». A identificarsi in uno dei due, Carmen non ci terrebbe, naturalmente. Preferirebbe essere un testimone delle loro avventure. O, meglio, il motore. Un piccolo Choderlos de Laclos degli Anni 90? «Magari...». Povero falegname arabo: come non andare in tilt di fronte a una donna così? Mirella Appiatti In Spagna nel 70 la vacanza più bella: il colpo di fulmine con <4l giapponese», le nozze, Tokyo. «Mi pareva di vivere in un film diKurosawa» La fuga in Marocco, un arabo galante: «Vuolfare l'amore?» Ma lui fece cilecca RACCONTI D'ESTATE la bruttiti mo autocontroall'ironia». Un serrato, mprofondamentevoro di formazpoco il cerchiotroppo angustovo bisogno desempre volevosposata non osreva di sottrardovere di mogdel matrimoniodura vita dell'tentativi tutti sperimentali, dgolarmente rifivenza a furia dfumetti, raccodolfiani» sottocati nel casseprove sfortunromanzo rosa. s. Poi rincontrmen nel ruolo «Per prepararmdard di un verio di collant, rromanzo e suQui la seduziola seduzione stro", quella cta, una sedupensieri, paroso a parte. Edcura i primi idadori, le affid 4. Carmen Covito con il marito giapponese: «Lo conobbi in una taverna di Salamanca. Ero ingoffata in. un maglione. Mi trovò stupenda»