Note scandalose da Armstrong a Baker

Note scandalose da Armstrong a Baker Note scandalose da Armstrong a Baker /\ IOME in una canzone di È ' Bruno Lauzi (un invito al I suicidio, quasi sempre), li dal bel libro di Geoff adJ Dyer («Natura morta con custodia di sax», ed. Instar, Ih e 20 mila), si diffonde una cupa e tetra atmosfera che potrebbe trarre in inganno i sensibili e fare sorridere gli ottimisti. Ma il jazz non è solamente una «natura morta» (ancora un contrasto: ecco subito la stupenda copertina di Herman Léonard, la celebre foto con il feltro nero di Lester Young in primo piano) è invece quella vitalità (magari quotidiana) che Dyer intromette (storia nella storia) con i corsivi dedicati al solare Duke Ellington. Un libro di contrasti è anche un libro intelligente. Da una parte la notte dall'altra la luminosità. Ma non è Ellington il solo personaggio emblematico e «positivo» di una musica, discussa, poco nota, fraintesa. Tra mille musicisti tra cui scegliere (e citiamo solamente un Louis Armstrong, un Sonny Rollins, un Daniel Humair, uno Steve Lacy, un Clifford Brown, un Dizzy Gillespie, un George Mratz, un Oscar Peterson, un Ray Brown, un Thad Jones, un Keith Jarrett, un Eddie Davis, un Cedar Walton, un Max Roach e tanti altri), il libro di Dyer è composto da una serie di ritratti che colgono nel loro splendore nero solamente una parte tra i geni del jazz. Genio e sregolatezza, d'accordo, sono i presupposti ideali per comporre un bel quadro musicale di quanto accade da cento anni in America ma la toponomastica ottenuta risulterà anche riduttiva, fuorviante... Ma l'autore ci sa fare. E il suo libro è un libro stupendo, certamente il più swingante tra quanti usciti negli ultimi anni. Libro originale. Potrebbe fare da soggetto per una serie infinita di film incentrata su altrettanti personaggi (nella fattispecie: Duke Ellington, Lester Young, Thelonious Monk, Bud Powell alla faccia di Tavernier -, Ben Webster, Charlie Mingus, Chet Baker, Art Pepper). E come certi pittori medievali, Dyer osserva le alterazioni psichiche, proprio come un Bosch era affascinato dalla deformazione fìsica. Qui osserviamo un disordine che l'autore analizza e descrive con Chet Baker indugiante perizia. I suoi eroi sono tutti malati (Lester Young), vinti (Bud Powell), sconfitti (Ben Webster), narcisi (Chet Baker), assassini falliti (Art Pepper). La pittura di Dyer è scolpita a spatola sulle pagine. Come in un quadro di Soutine. Il ritratto di Monk è esemplare. Gigante buono, assolutamente fuori del mondo, Thelonious «durante gli assoli degli altri si alzava [dal pianoforte] e faceva la sua danza. Iniziava in sordina, battendo un piede, schioccando le dita, quindi sollevava le ginocchia e i gomiti, ruotando e scuotendo il capo, vagando in tutte le direzioni a braccia spalancate. Pareva sempre sul punto di cadere». Qual è lo scopo della sua danza signor Monk? « Sono stanco di stare seduto». Grande guru, quando Leary andava agli Artigianelli, perso eternamente nei fumi dell'hashish, santone di una religione che non c'è, inventore di un personale teatrino delle assurdità, Monk aveva scandalizzato anni fa l'impresario italiano che lo accompagnava in automobile durante una tournée: «Ma secondo te - suggerì Monk, pensoso sul cruscotto e i suoi aggeggi hanno inventato prima i chilometri o il contachilometri?». Il compare che mi raccontò l'episodio era inorridito da quell'interrogativo. Eppure quel signore era il più celebre critico (e impresario) italiano degli Anni 50 e 60 e 70. Con Dyer facciamo qualche progressso. Dopo i ritratti, in chiusura, una bella analisi che copre tutta la storia del jazz. Esemplari queste righe, tra le più chiarificatrici scritte sull'argomento: «Uno dei motivi per cui il jazz divampò così velocemente è che i musicisti sono stati obbligati, se non altro per guadagnarsi da vivere, a suonare sera dopo sera, due o tre concerti per sera, sei o sette sere la settimana: e non solo a suonare, ma anche a improvvisare e inventare mentre suonavano, con i risultati apparentemente contraddittori che ne derivano. Rilke attese dieci anni il ritorno all'esplosione creativa che lo aveva indotto a mettere mano alle «Elegie duinesi», nella speranza che quell'impeto lo pervadesse di nuovo e gli consentisse di completare l'opera. Carpe diem. Eccellente la traduzione di Riccardo Brezzale e Chiara Carraro. Esemplare la discografia di Luciano Viotto. Franco Mondin:

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