Il fascino discreto dell'Old England

Le belle sportive diventate una leggenda Le belle sportive diventate una leggenda Il fascino discreto dell'Old England RICORDERETE certamente la fantascientifica automobile comprimaria delle avventure impossibili di James Bond, l'agente segreto 007 dei film tratti dai romanzi di Ian Fleming. Quella piena di incredibili dispositivi, dallo scudo antiproiettili agli spruzzatori di gas lacrimogeni, dai paraurti rientranti al vaporizzatore di olio, dal radar al sedile catapultabile. La macchina in questione era una Aston Martin DB5, poi diventata pezzo d'amatore, unica rimasta delle quattro costruite dalla Casa inglese per essere usate in film famosi. Ricordiamo «Goldfinger», «Operazione tuono», «Al servizio di Sua Maestà». Era stato, più di vent'anni fa, quello che oggi gli esperti di pubblicità chiamerebbero un «ritorno di immagine» formidabile: in parole povere un'operazione propagandistica per i milioni di spettatori delle inverosimili follie dell'agente segreto 007. Anche se ben pochi sarebbero stati in grado di acquistare una Aston Martin (naturalmente del tutto normale) che, alle quotazioni di oggi, costerebbe attorno ai 400 milioni di lire. La fabbrica Aston Martin era nata nel 1920 dalla fusione di Aston Clinton (nome di una gara in salita) e del nome del fondatore, Lionel Martin, tecnico autodidatta che, elaboratore delle vetture di serie Singer, nel 1913 aveva appunto vinto la corsa di Aston Clinton. La nuova marca si era trovata ad affrontare la concorrenza della vastissima schiera di costruttori britannici specializzati in macchine sportive, generalmente di tipo spider a due posti, che sono state la base di una tradizione tutta inglese. Qualche nome: Hillman, Ac, Enfield-Alldays, Alvis, Singer, Coventry, Morgan, Deemester, e poco più tardi, Bentley, Vauxhall, Riley, Lagonda, Lea Francis, Talbot, Mg (forse la più famosa di tutte) e Ss Swallow (poi diventata Jaguar). Proprio a causa di questo, inizialmente la vita della Aston Martin era stata difficile, tanto da dover essere messa in liquidazione nel 1926. La rilevava un anno dopo un tecnico di origine italiana. Augusto Cesare Bertelli, che si era fatto le ossa alla Fiat e aveva anche partecipato a qualche corsa come meccanico di Vincenzo Lancia. In seguito il Bertelli aveva fatto fortuna in patria come progettista e pilota della Enfield-Alldays, vincendo fra l'altro, nel 1922, il famoso Tourist Trophy. Con due soci, Bertelli acquistava il marchio e il know-how della Aston Martin. E riusciva a rilanciare la marca attraverso una serie di modelli strettamente sportivi o da competizione, con buoni successi sia commerciali sia nelle corse. Negli anni precedenti la guerra, l'Aston Martin conobbe altri passaggi di mano e vicissitudini varie, fino al 1948, quando l'azienda fu rilevata, unitamente alla Lagonda, da David Brown, già pilota di una certa fama: da quel momento tutti i modelli Aston Martin vennero contraddistinti dalla sigla DB seguita dalla cifra della serie. Fra i modelli più noti della Aston Martin postbellica si possono citare il coupé DB2, costruito per oltre dieci anni con una carrozzeria disegnata dalla Touring di Milano e motore di due litri su sei cilindri; poi il DB3 con la versione sportiva DB3S e carrozzeria spider (alcune delle quali eseguite da Bertone), e il DBR1/300 vincitore nel 1957 delle 12 Ore di Spa; il DB4; la monoposto di Formula Uno DBR4/250, che però non raggiunse risultati importanti. E ancora la DB4Gt, vettura proposta sia per l'impiego turistico-sportivo sia per la competizione, con una bella carrozzeria coupé eseguita da Zagato: la già ricordata DB5 e la DBs V8 (sulla quale è apparso per la prima volta il motore otto cilindri a V). Infine, dopo il passaggio della Casa inglese sotto il controllo della Ford Motor Co., avvenuto nel 1987, il modello DB7 la cui carrozzeria è basata su un disegno Ghia. Si aggiunge a vetture come la Virage (il coupé) o Virage Volante (cabriolet), con motore 8V di 5340 ce e 310 Cv, e velocità rispettive di 257 e 235 km/h, che costano rispettivamente 392 e 440 milioni di lire. Costruite in piccola serie, le Aston Martin, unitamente alle Jaguar (anche questa marca è da un lustro nell'orbita Ford), rappresentano la continuità di una tradizione, molto britannica, delle vetture sportive, anche se il primato in questo campo spetta oggi all'Italia con le sue Alfa Romeo, Ferrari, Lancia, Maserati, Lamborghini. E' però innegabile che l'antica scuola delle auto aperte a due posti è inglese. Ferruccio Bernabò

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