Il credo di Pippo: Dio, Azienda e Denaro

li credo di Pippo: Dio, Azienda e Denaro li credo di Pippo: Dio, Azienda e Denaro Dalla fedeltà ad Andreotti ai problemi con iFerruzzi IL MANAGER DI FORO BUONAPARTE OGGI chi trema per l'interrogatorio a Ginevra di Pippo Garofano, uccel di bosco per un intero semestre, finito dietro le sbarre svizzere un po' troppo ingenuamente? Vi sembrerà strano, ma stavolta l'impressione è che sulla graticola rosolino più grandi schiatte di condottieri, con coorti di consanguinei, affini e, via via, giù per li rami, che legioni di politici di serie A o di serie B. Perché Pippo - è vero - non è nato ieri, aveva pure lui i suoi bravi rendezvous di regime, ma la sua religione era elementare: Dio, l'Azienda con la A maiuscola, e il Padrone, come incarnazione suprema della volontà divina. Magari della Centesimus Annus, l'enciclica papale che ha mandato quasi a memòria, non avrà colto il senso intimo, ma del decalogo del buon manager cattolico, dell'eccellenza perseguita dagli uomini dell'Opus Dei - Dio e denaro - era un vero campione. Pensate che quando era il superpotente presidente della Montedison, se doveva andare a New York, Pippo cercava di tornare «in giornata» per «far risparmiare l'Azienda» e per dormire a casa a Milano con la moglie e i figli. Un manager che ha fatto una carriera come quella di Garofano, fino a giungere poco più che quarantenne (è del 1944) al vertice del secondo gruppo industriale privato italiano, ha normalmente un suo coté politico: un leader importante, di riferimento, e una serie di relazioni meno autorevoli, ma di buon livello e assai coltivate. Pippo no. Lui ha un'antica fedeltà familiare ad Andreotti: suo padre Luciano Garofano, abruzzese di Nereto trapiantato a Milano, si occupava alla Montedison di immobili, dunque livelli aziendali non eccelsi come quelli raggiunti dal figlio, ma di un certo interesse monetario e di potere. Ebbene, il signor Luciano tanti anni fa entrò in contatto con Andreotti attraverso un immobiliarista romano, anche lui originario della provincia, in particolare di Amatrice, città del Reatino famosa più che altro per il sugo all'Amatriciana. E' proprio tipico, se ci fate caso, di Andreotti: coltivare amicizie qualunque per un'eternità, disvelando infine quelle cui, tutto sommato, tiene meno. Bruno Pazzi, ex gestore del cinema-teatro Brancaccio, dove negli Anni 50 ballavano le donnine, a un certo punto fu catapultato alla presidenza della Consob. Franco Nobili («Hai voluto la bicicletta...») fu elevato al rango di capo assoluto della più grande holding pùbblica d'Europa. L'amico amatriciano, invece, più furbo di tutti, preferì sempre l'anonimato, gli affari, le ricche mediazioni. Anche da potentissimo presidente della Montedison, Garofano, per accedere ad Andreotti, doveva passare per l'amico paterno di Amatrice, mentre Carlo Sama, il bagnino, come lo chiamavano a Foro Buonaparte nei momenti di maggior tensione - e non furono pochi -, credeva, poverino, di avere in mano il mondo. Da una parte aveva Luigi Bisignani, figlio di un altro amico ultradecennale di Andreotti, antico capo della Pirelli in Argentina, che gli diceva suadente: «Carlo, con Giulio non c'è problema». Dall'altra, Ser- gio Cusani, fratello di una delle zarine della Rai lottizzata, in quanto compagna del direttore di Rai 2 Giampaolo Sodano, che gli sussurrava: «Carlo, vai tranquillo, Bettino è avvertito». Povero Sama, nelle grinfie di tanti giovani marpioni, mentre il buon solido Garofano ricorreva al vecchio, segreto, amico amatriciano. A un certo punto, Pippo conobbe anche Martelli, e qui si fermano - a quel che ne sappiamo - le sue relazioni politiche di primo livello. Ma Claudio fu tutta opera di Matilde, oltreché di Sergio Cusani. Matilde è la figlia di Ettore Bernabei, vero potente del regime, anche lui eccellente dell'Opus Dei. Per anni la ragazza lavorò con Pippo all'Inizia¬ tiva Meta, ai tempi di Mario Schimberni. Amica di Martelli, Matilde vi fece accedere anche il suo capo Garofano, già preparato circa le qualità politiche del Capo dall'insinuante Cusani. Chi trema allora per l'odierno interrogatorio a Champ Dolon? Andreotti? Martelli? Può darsi, ma sinceramente riteniamo più probabile che tremino, prima di altri, i litigiosi personaggi di Ravenna, quei Buddenbrook bizantini scolpiti nella provincia e forse i loro predecessori. Pippo era un buon esecutore. E sapete soprattutto su che cosa era un asso? Sulle fusioni, sulle scatole societarie, sulle controllate estere. A dispetto della sua laurea in ingegneria chimica, conseguita al Politecnico di Milano, era un vero maestro di ingegnerie finanziarie, anche per l'espe rienza fatta all'Imi di Giorgio Cappon negli ultimi Anni 60, quando il regime democristiano aveva due anime: quella Cefisian-Fanfaniana, che stravedeva per la Montedison, e quella Andreottian-Rovelliana, che vagheggiava una Sir padrona d'Italia. Pippo, giovanissimo, era fattivamente su questo secondo fronte e imparò tutti i trucchi che occorreva conoscere. Ma erano altri tempi, come erano altri tempi quelli di Schimberni padrone della Montedison. Come fare un paragone coi bagnini di Marina di Ravenna? Eppure, a Sama, raccomandato inizialmente da Idina e poi da Alessandra Ferruzzi, Pippo ha reso le armi. Senza neanche uno «scazzo» semiufficiale, come quello che lo contrappose a Gardini, quando questi nominò suo figlio Ivan, un ragazzotto magro e brufoloso poco più che ventenne, allora tutto preso dal fascino prorompente di una romanina diciottenne, figlia del proprietario dell'Hotel Byron, presidente della Ferruzzi finanziaria. Caligola, con il suo cavallo, era proprio un dilettante. Ma allora qual è il vero segreto del Garofano? Invochiamo il beneficio d'inventario e l'abilità investigativa del giudice Di Pietro, ma l'opinione personale che possiamo offrire ai lettori, senza uno straccio di prova, è semplice quanto convinta. Pippo da Nereto non è poi questo Cardinale insondabile e furbissimo, ma un superlativo stratega, se non della gestione, dell'incastro finanziario. In questo ruolo, ha favorito sempre e molto i suoi padroni più che i suoi azionisti. Magari trascurando i dettami di monsignor Escrivà de Balaguer, capo dell'Opus Dei, per esempio quando ha fuso l'Agricola con la Montedison, quando ha inventato scatole, società estere, finanziarie con crediti inesigibili... Chissà che cosa gli chiederà oggi Di Pietro. Se indagherà sui suoi rapporti con Andreotti e Martelli, se gli chiederà ancora di quei 250 milioni «personali» versati al democristiano milanese Frigerio, o se preferirà chiedergli se c'è una chiave elettronica per accedere ai segreti della finanza internazionale della Montedison, quella che per qualche lustro ha stornato risorse estero su estero per foraggiare il vecchio regime. Magari Pippo non conoscerà tutti i dettagli, perché sia Schimberni sia Gardini le cose più delicate se le facevano in proprio. Ma di certo non ignora i meccanismi, le chiavi del sistema. La domanda clou che Di Pietro potrebbe porgli è, all'ingrosso, la seguente: posto che mancano, diciamo, 1500 miliardi, come hanno fatto a prenderseli e a chi li hanno dati? Sulla modalità di certo Garofano è un maestro. Una delle ansie della sua vita da supermanager della Montedison è stata quella di creare dividendi, ovunque possibile, per portarli nella holding di famiglia. Su dove siano finiti, depurati del costo degli appartamenti a Roma in via dell'Anima o a Milano di faccia alla Madunnina, almeno qualche teoria l'avrà. Poi Pippo dovrà soggiacere a qualche domandina sull'operazione Enimont. Lui dirà non ne dubitiamo - che era un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro: Gardini, Sernia, Parrillo, Cagliari, Cusani, Pompeo Locatelli, Mach di Palmstein... Per non dire di Andreotti, Craxi, Martelli, Piga, Cirino Pomicino... Ma così esperto in scatole societarie per far soldi, magari qualche indicazione sarà capace di darla. Lui è più bravo sulle operazioni «sistemiche», quelle che creavano flussi enormi e continui di denaro, ma figurarsi se non ha gli strumenti per spiegare bene la più grossa operazione-spot - così si dice dell'ultimo quarantennio, quella dell'Enimont. State certi che Pippo, serio manager cattolico all'amatriciana, non ci deluderà. Alberto Staterà Non un Cardinale insondabile ma uno stratega finanziario che ha favorito sempre e molto i padroni più degli azionisti L'«amico amatriciano» I legami con Martelli opera della figlia di Ettore Bernabei Ma allora qual è il suo segreto? Chi teme di più i suoi segreti? Forse i politici certo i ravennati Giulio Andreotti: i suoi rapporti con Garofano passano attraverso un amico «amatriciano» Ettore Bernabei ex presidente Rai uomo di spicco dell'Opus Dei N:-v-:-:.yv-:-::-:-;-:.w. Alessandra Ferruzzi e Ivan Gardini, figlio di Raul