In Italia il mito infranto ha solo cambiato divisa

«Resiste ancora la voglia di ostentazione moderando però gli eccessi» in Italia il mito infranto ha sale cambiato divisa MILANO. Milano da bere, la Bibbia dell'italico yuppie. D'accordo, sembrano passati anni luce, quella Milano pre-Tangentopoli non esiste più e degli yuppies, con i loro telefonini, i loro vestiti firmati Armani, le moto giapponesi, le tagliate di carne nei ristorantini tra Brera e i Navigli, chi ha più notizia? Finiti con la fine degli Anni Ottanta. Roba da archivi sociologici. Eppure... Eppure non è solo il «Sunday Times», che tra i settimanali inglesi è tra i più seri e controcorrente, a osare: no, lo yuppie non è morto. Dice la sua, il «Sunday Times» e sotto sotto l'ex popolo degli yuppies che nella Milano che fu, quella dei rampanti Anni Ottanta, quella che il giudice Di Pietro non se lo immaginava neppure nei fumetti, gioisce. Certo, tanta acqua è passata sotto i ponti per sperare in resurrezioni impossibili: la crisi è crisi, la Borsa non è più regno incontrastato della speculazione, la finanza vede nero dappertutto e con un fisco scatenato pronto a colpire a colpi di redditometro chi se li può permettere gli status symbol? Barche? Auto sopra i duemila di cilindrata? Aerei? No, meglio non scherzare con il redditometro. Non esiste più la Milano da bere, quella dell'ex discoteca Nepenta frequentata dalle fotomodelle di Valentino, Versace, Trussardi e Krizia, quella della Borsa al rialzo, degli yuppies scatenati, telefonino, belle donne e «Sole 24 Ore». Neppure il suo vate, il direttore creativo dell'agenzia di pubblicità Rscg Marco Mignani, ci crede più. Lo stile yuppie? «Completamente fuori moda, oggi non proporrei a nessun cliente un spot come Milano da bere». Abiura in piena regola? Alt. a generalizzare. Vero, per il nuovo spot Ramazzotti il vate Mignani, ex sessantottino, ex yuppettino, oggi creativo e basta, sta pensando a tutt'altro. Niente telefonini, niente Borsa: «Voglio rendere l'idea del piacere di stare insieme tra persone in una grande città che, giuro, non è Milano». Addio Milano da bere. Ma nessun necrologio al caro vecchio fenomeno yuppie: «Perbacco se resiste la voglia di ostentazione, basta guardarsi attorno: quanti fuoristrada si contano per le vie delle La soluzione dei giochi è rinviata a domani per mancanza di spazio città, quanti italiani vanno ancora in vacanza all'estero?». Chiamatelo postmoderno, chiamatelo neoyuppismo, chiamatelo quel che volete, ma la voglia di mostrarsi, quella è dura a morire. I miti sono un po' tutti ammaccati: Raul Gardini non è più sulla cresta dell'onda, il finanziere-scalatore Francesco Micheli se ne sta tranquillo, gli stilisti non sono più signori indiscussi e persino Roberto D'Agostino, maitre-à-penser dell'effimero, batte vie alternative. Il peggio, per i veri o presunti yuppie all'i¬ taliana, è avvenuto nel gran mondo della finanza. Tempi duri. I fratellini dell'atipico, Massimo e Cesare Canavesio, sono finiti travolti dal crac da 80 miliardi della Ifp e della Norditalia. E in piazza Affari identica fine ha fatto l'ex agente di cambio Giovanni Adorno, per non parlare di Claudio Capelli, ex membro del Consiglio di Borsa, noto per la sua rossa Ferrari e per l'attico in piazza della Repubblica con tanto di terrazzo buono per le feste. Addio. Altri hanno ridimensionato vecchi sogni di gloria, personaggi (ex) rampanti che devono affrontare la crisi dell'immobile come Massimo Gatti, Nicola Trussardi passato dalla moda al mattone e alla finanza. Qualcuno è rimasto nelle reti di Tangentopoli: Pompeo Locatelli, commercialista principe nella Milano rampante, per esempio. Ma guai a equivocare. Il rampantismo, sia chiaro, resta una qualità necessaria nel vecchio mondo degli affari, anche se meno dichiarato, meno esaltato. Parola di Pippo Marra, direttore di Adn Kronos, agenzia giornalisti¬ ca e qualcosa di più. «Non ho il telefonino, vado in motorino, mi piace la campagna tranquilla, lavoro 12 ore al giorno. Ma in un momento di recessione è il mercato che vince, se fai un'offerta superiore agli altri, vinci». Nuovo stile, vecchie norme. Il rampantismo non è più quello illustrato su «Capital» o «Class», ma la sostanza non cambia: vince chi ce l'ha più duro, come direbbe Bossi. Meno forma più sostanza: voilà la regola aurea del neo-yuppismo. Che il sociologo Enrico Finzi, presidente di Astra, sintetizza così: «Inteso come stile di vita fortemente ostentativo, lo yuppismo è sepolto. Quello che non è morto è lo stile di vita che ha una forte propensione al consumismo, che ha forti componenti edonistiche». Insomma, lo yuppismo made in Italy più che morto si è travestito, ha moderato gli eccessi, cancellato le pacchianità, conservato le idee guida: consumare più che risparmiare, aver più che essere. Profezia? Facile, per Finzi: «Il neo-yuppismo - dice - tende a risorgere come l'araba fenice». [a. z.) «Resiste ancora la voglia di ostentazione moderando però gli eccessi» A sinistra Raul Gardini, sopra Enrico Finzi, a destra Nicola Trussardi

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