«Boris, così seppellirai il futuro della Russia»

«Boris, così seppellirai il futuro dello Russia» «Boris, così seppellirai il futuro dello Russia» JURIJ SKOKOV IL DILF1NO MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Jurij Vladimirovic Skokov, 55 anni, fino a maggio segretario del Consiglio di Sicurezza, consigliere di Eltsin, eminenza grigia silenziosa che aveva in mano leve cruciali dello Stato. Fino a maggio. Poi se n'è andato. Senza sbattere la porta, come si addice a chi lascia un posto ma pensa che verrà il tempo quando ne avrà un altro, non meno importante. Ora, in attesa, dirige il Centro di ricerche internazionali e interregionali, con sede alla Casa Bianca. Per due anni non ha concesso un'intervista. E anche ora, da «privato cittadino», ne rilascia poche, anche se ha moltissime cose da dire. Jurij Vladimirovic, perché ha lasciato Eltsin? E quali sono i suoi piani per il futuro? «Francamente non so se sono stato io a lasciare lui, o lui me. Ciascuno la pensi come vuole. Certo è che non intendo lasciare la politica. Ma ora è presto per decidere in quale forma. Dirà il futuro». Ecco, appunto, vorrei parla¬ re del futuro, visto che lei, tra l'altro, fisico di formazione, è uno specialista di granai sistemi. «Domanda difficile. E' vero che questa élite politica è provvisoria. Aggiungo che ha idee molto vaghe sul sistema statale da costruire. Sono saliti al potere essenzialmente uomini del vecchio sistema, che sanno solo distruggere. La parte creativa la interpretano come un assemblaggio di idee diverse: qualcosa dall'America, qualcosa dal Giappone, qualcosa dai cinesi. Ma questo significa andare incontro a un fallimento inevitabile. L'unica cosa chiara è che tornare indietro è impossibile, ma non è molto». Lei accusa i suoi ex compagni di squadra di voler costruire un sistema politicoeconomico artificiale, per imitazioni successive? «Più o meno. C'è molto da imparare dalle altre esperienze, ma qui abbiamo una situazione irripetibile. C'era una spina dorsale, era il partito. Ora non c'è più. Con esso sono sparite anche le costole dell'amministrazione statale. Ma non c'è ancora la so¬ cietà civile, non ci sono i partiti. E, peggio, non c'è uno Stato dai contorni precisi. Nel 1991 è scomparsa l'Urss ed è rimasta la Russia, che non si capisce bene cos'è: 21 repubbliche come "formazioni statali" e 67 regioni come "formazioni territoriali". Ma nessuno aveva costituito questo Stato, non esiste un documento in proposito. Il cosiddetto "patto federale" è solo un accordo preliminare che tutti accettarono per affrontare due problemi: destatalizzare e privatizzare. Niente di più. Ma ora a Mosca, ad esempio, si proclama la terapia-choc e in Tatarstan si decide, al contrario, che il passaggio al mercato dev'essere graduale e regolato dallo Stato. Che fare? Eltsin è Presidente, ma il Tatarstan è sovrano, ha una propria Costituzione. Oppure prendiamo la Jakutia, un Paese enorme, dove c'è un Presidente eletto dal popolo. Tutto legittimo, costituzionale. Chi gli può dare ordini? Chi lo può licenziare? Oppure la Karelia, che non ha un Presidente, ma un capo della Repubblica eletto dal Parlamento. Come dirimere le dispute? E quali rapporti ci dovranno essere tra il governo della Karelia e quello di Mosca? Per ora non c'è una risposta...». Non c'è neppure nella Costituzione di Eltsin? «Sono categoricamente contrario ad approvare in fretta una nuova Costituzione in queste condizioni. Non sappiamo ancora con quali regole convivere. Bisogna prima trovare un accordo. E non si possono dettare condizioni a nessuno. Che facciamo? Concediamo a tutti i soggetti il diritto all'autodeterminazione statale? Facciamo non 21 ma 90 Repubbliche? Oppure diciamo alle Repubbliche che prima avevamo scherzato e gli togliamo la sovranità?». Dunque lei ritiene che una nuova Costituzione è oggi impossibile? «Io dico che è inopportuno, sbagliato, irragionevole cercare di forzare i problemi. Peggio ancora se lo si fa per soddisfare ambizioni personali e per regolare dei conti politici con gli avversari. Io dico solo che bisogna definire chi fa parte dello Stato e come. Un "soggetto" della federazione è tale perché ha un proprio territorio. Come può essere tale l'In- gushetia, ad esempio, che disputa con l'Ossetia un pezzo di territorio? E che faremo quando dieci Repubbliche non firmeranno il testo che forse (ma ne dubito) emergerà dalla "costituente" riunita per decreto da Eltsin?». Lei non ha preso parte all'assemblea costituente di Eltsin? «No». Perché? «Non sono stato invitato. Ma anche se lo fossi stato non ci sarei andato». Da quanto lei dice emerge che lo scontro non è tra riformatori e conservatori, ma riguarda il rapporto tra Stato e «soggetti» costituenti. Mi chiedo: allora perché si è fatto il referendum? E perché Eltsin ha detto al Paese che o vinceva lui oppure tornavano al potere i comunisti? «Questa è una delle cause del mio dissenso con Eltsin. E' rimasto un primo segretario del partito, la sua psicologia, i suoi metodi vengono tutti da quella scuola. L'assemblea costituente di Eltsin è molto simile a un plenum del comitato centrale del partito». Ma anche il «suo» Consiglio di Sicurezza sembrava molto simile a un Politburò del partito... «Non era il "mio" Consiglio di Sicurezza». Capisco. Ma lei parla come un moderato. E io mi chiedo come lei ha potuto convivere così a lungo in una squadra di radicali. «Ho cercato di aiutare il Presidente a evitare il radicalismo. Per esempio quando nella squadra lo spingevano a sciogliere il Congresso. Prima di andarmene gliel'ho detto: non ci eravamo riuniti per affermare i valori democratici, per combattere contro l'apparato del partito? Non avevamo detto che eravamo contro il sistema totalitario, il sistema amministrativo di comando? Adesso lei legga il progetto di Costituzione preparato da Shakhrai e Alekseev è vedrà che è un ritorno esplicito al vecchio sistema centralistico e autoritario. Non c'è nemmeno l'odore delle conquiste democratiche. Quello che vedo è che i radicali, di destra e di sinistra, stanno scivolando insieme verso un duro regime totalitario, dittatoriale». Cos'è che ha fatto traboccare il vaso? «I decreti del 20 marzo. Eltsin aveva incaricato me di prepararli, incluso il suo discorso al Paese. Il 19 gli ho sottoposto il materiale e lui mi ha detto: "Facciamolo subito". Il 20 è andato in televisione a leggere un testo che gli avevano preparato gli altri. E io ho rifiutato di sottoscrivere quella roba». Ma il Consiglio di Sicurezza non si occupò anche di lotta alla corruzione? «Le denunce del vicepresidente Rutskoi sono cose note da tempo. Con Eltsin ne discutemmo. Poi Gaidar lo convinse a togliere questa competenza al Consiglio di Sicurezza e affidarla al governo. Una volta l'ho detto agli ambasciatori occidentali: state attenti che voi aprite le porte a potentissimi gruppi criminali e clan mafiosi. Rutskoi non ha fatto altro che elencare una serie di decisioni del governo. Un solo esempio: si decise di esportare 10 milioni di tonnellate di petrolio e lasciare in Occidente il 48% del profitto, per acquistare prodotti alimentari. C'è un nome preciso sotto quel documento e lasciamo perdere come fu approvato. Il fatto è che non si sa chi controlla quelle somme e quanto tempo devono rimanere nelle banche occidentali». Si dice che questa infezione è ormai arrivata molto vicino al Presidente... «Lei ha detto bene: un'infezione. Un esempio: l'anno scorso la Russia - dati ufficiali - ha registrato un prodotto interno lordo di 15 trilioni di rubli. Al cambio medio annuale di 650 rubli per dollaro, significa circa 25 miliardi di dollari. Ma risulta che abbiamo esportato per 38 miliardi di dollari. Come è possibile? E che dire delle manovre di borsa attorno al cambio rublo-dollaro? Qui ci sono macchinazioni colossali e incontrollate. Chi denuncia queste cose viene subito bollato come reazionario». Giuliette Chiesa Non c'è Stato partiti, società civile solo confusione L'arrivederci tra Eltsin e Kohl a Irkutsk. In alto Rutskoi (foto epa]

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