Un tranquillo editore con il vizio del «nero» di Vincenzo Tessandori
Un tranquillo editore con il vizio del «nero» Un tranquillo editore con il vizio del «nero» Perla strage in banca 15 anni di processi, poi Vannullamento TRA FASCINO E FANATISMO ALMENO due cose non ha mai cambiato: la fede nelle idee, che sono quelle di una ultradestra somigliante al nazionalsocialismo delle camicie brune piuttosto che al fascismo delle camicie nere; l'atteggiamento altezzoso, distaccato, aristocratico come quello che contraddistingue il protagonista di «Occidente», felice romanzo di Ferdinando Camon sulla Padova di un'era forse remota. «Questa città, incomincia il libro, si chiama La città nera». Ora che l'hanno arrestato di nuovo, accusato di aver ricreato il partito fascista, o qualcosa che gli somiglia troppo, Franco Preda esce come d'improvviso dalla nebbia della memoria. E giocoforza si trascina dietro altri ricordi, quelli degli attentati, dei deliri politici, dei processi per la strage di piazza Fontana, dai quali è stato assolto. A chi gli domandava se si sentisse innocente, un giorno ha risposto: «E' innocente non colui che è incapace di peccare, ma colui che pecca senza rimorsi». Oggi Freda ha 52 anni, i capelli candidi, il fisico curato, asciutto come dev'essere il fisico del cape, vero o presunto, di una tribù di eletti. Quando gli hanno messo le manette con lui c'era il camerata di sempre, Giovanni Ventura, anche lui accusato per quella mattanza del 12 dicembre 1969 alla banca dell'Agricoltura a Milano, anche lui assolto, e che ora vive in Argentina. Certe amicizie, certi legami non finiscono mai, proprio come certe ideacce. A Legge, a Padova, il raffinato Franco Freda, detto Giorgio, fu presto un personaggio e quando si laureò era diventato un punto di riferimento per quelli della destra, soprattutto la più radicale o estrema. Era ossessionato dalle teorie sulla purezza della razza, nella democrazia scorgeva debolezze imperdonabili, nello Stato qualcosa da abbattere. E siccome in guerra tutto è consentito, lui che si sentiva protagonista di un vero e proprio conflitto, teorizzò la possibile alleanza fra i seguaci del nazismo e i maoisti, fra coloro che considerano il «Mein Kampf» una specie di Bibbia e quelli che trovano ogni risposta nel libret¬ to rosso di Mao. Verrà chiamato «Nazimaoismo». Il nóme di Freda figurava sulla pagina del giorno 8 agosto 1964 nell'agenda di Guido Giannettini, un nome inquietante che salterà fuori con l'inchiesta per l'attentato di piazza Fontana. Giannettini fa il giornalista ma anche l'agente segreto, un agente legato a servizi fin troppo deviati ed è forse da quel foglio che partono le indagini che porteranno al duo Freda & Ventrura. E' il giudice Giancarlo Stitz che li spedisce in carcere il 4 marzo 1972. La vicenda giudiziaria andrà avanti quindici anni, passerà attraverso due ergastoli e un annullamento deciso dalla Corte di Cassazione, la fuga dei due camerati, che fra un processo e l'altro avevano ottenuto la libertà provvisoria, e come sigillo, nel gennaio dell'87, una sentenza di assoluzione con formula dubbia decisa dalla corte presieduta da Corrado Carnevale. Più tardi, quando uscirà di galera, Freda si trasferirà a Brindisi, dove darà vita a una casa editrice, «AR», lo stesso nome della libreria che aveva a Padova, dove per comprare un volume venivi sottoposto a una sorta di esame-interrogatorio. Per ora «AR» ha stampato soltanto un titolo, sottolineano gli mcjuirenti: «Autobancor», un testo economico scritto dallo stesso Freda più una serie di opuscoli. Ricostituzione del partito fascista, dunque. «Ma a distanza di mezzo secolo, mi sembra un'accusa, una dizione un po' ridicola: è come se venisse arrestato qualcuno per ricostituzione del partito filoaustriaco», osserva Sabino Acquaviva, che insegna Sociologia a Padova e seguiva con gli occhi dello studioso i fenomeni che si verificavano nel mondo dell'extra-sinistra senza trascurare quelli della «città nera». Più nazista che fascita, però, questo Freda, perché il «clima culturale dal quale proviene è quello della Repubblica sociale. Non dimenti¬ chiamo che il governo della Repubblica sociale era fortemente intriso di nazismo, che c'erano i reparti italiani delle SS, che la presenza dei tedeschi, dei nazisti era consistente. Ecco, io lo collocherei in quell'area». E, forse, anche lui ci si colloca. Ha detto: «Siamo razzisti schietti e dichiarati. Siar lo stato maggiore dell'esercit ohe combatterà la guerra in difesa della nostra razza». Gli altri, quelli che la pensano allo stesso modo e che oggi talora si riuniscono nelle bande di naziskin, sembrano vederlo come un monarca assoluto, una specie di dio Odino che parla sul diritto del capo di uccidere, sulla bellezza per gli umili di essere sacrificati alla storia, e su come la vita di ognuno non abbia alcun senso ma come sia un semplice segmento, su come sia martirizzata la condizione del capo e del potente nell'essere investito di questo ruolo subbine. Vincenzo Tessandori Ossessionato dalla purezza ariana, teorizzò l'alleanza fra maoisti e nazisti Il giudice Carnevale e a destra Guido Giannettini
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