Leghisti o antileghisti, quel che conta è la tolleranza

Leghisti o antileghisti, quel che conta è la tolleranza LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI' DI O.d.B. Leghisti o antileghisti, quel che conta è la tolleranza Gent. mo Sig. Del Buono, Rocco Buttiglione nella sua lettera al Direttore della Stampa, pubblicata il 3 corr. mese, ha evidenziato una contraddizione nell'operato della Lega Nord là dove essa auspica la costituzione di una macroregione (eufemismo evidente per Repubblica del Nord) che finirebbe per essere nei riguardi delle componenti che dovrebbero costituirla un centralismo del tutto uguale a quello per ora lamentato. Perché, sembra chiedersi il Buttiglione, smantellare un ingiusto centralismo che pure aveva il pregio di salvaguardare l'Unità nazionale per un altro che non ha riguardo per l'Unità? Il Buttiglione vuole attribuire alla Lega una buonafede che non ha. La Lega conosce bene a cosa si va incontro con le istituzioni che propugna, ma il fatto è che, se venissero attuate, metterebbero in pratica uno dei postulati del suo programma, forse il più importante e cioè l'autonomia più profonda dal Centro allo scopo di pervenire alla gestione quasi totale del gettito fiscale. La Lega non solo non teme di scivolare nel secessionismo vero e proprio, con le sue conseguenze e contraddizioni, ma anzi lo vagheggia e, se non lo strombazza più apertamente, è proprio perché avverte che la massa che l'ha votata non è preparata né matura per certo radicalismo nella contestazione antirisorgimentale. E' la stessa preoccupazione che mosse 50 anni fa coloro che per primi parlarono apertamente di secessionismo, poi mascherato da federalismo: i separatisti siciliani, lo ricordo che in Sicilia non erano ancora cessati i combattimenti con i tedeschi, che resistevano ostinatamente alle falde dell'Etna, quando si cominciò a sentire certo disfattismo sparso da un pugno di mascalzoni. Era la sparutissima setta separatista che, approfittando vilmente delle difficoltà del momento, tentava di trovare spazio politico. In Sicilia gli anni fino al 1946 furono durissimi e la setta separatista consegui qualche vantaggio ma tuttavia dovette modificare il proprio biglietto da visita che scandalizzava troppo la gente anche se affamata e senza casa: si preferì parlare di «indipendentismo» al posto di separati¬ smo, mettendo avanti l'alibi di una costituenda Confederazione italiana. Quella ventata di follia per fortuna poi passò. Anche nell'Italia settentrionale una setta che era abituata a predicare solo nelle piole a base di stupide barzellette («Ma cosa ha mai fatto Garibaldi?» e via discorrendo) ha approfittato di un periodo di serie difficoltà del Paese per beneficiare di un'attenzione che in tempi normali le sarebbe sicuramente mancata. Per l'avvenire non credo che gli italiani del Nord saranno più stupidi dei siciliani dei terribili anni 1943-1946. Grazie per l'attenzione. Pippo Portoghese, Torino Gentile signor Portoghese, anni fa, quando ho cominciato a tenere questa rubrica di corrispondenza, pubblicavo spesso le sue lettere interessanti, vivaci, informate, ma, da un certo punto in poi, lei è caduto sotto l'ossessione della Lega e le sue lettere sono diventate ripetitive atti d'accusa. Ho provato a discutere con lei opponendole che, se la Lega si anda¬ va ogni giorno affermando di più, molto era dovuto al nostro governo e, in genere, alla cattiva conduzione della cosa pubblica, ipotesi riduttiva rispetto alla diabolica e putrida struttura che ha finito per emergere. Lei mi ha dato del leghista e ha continuato a imputare alla Lega la colpa di tutto, e a non prendere in considerazione che la Lega rispondeva a domande, inquietudini, ansie procurate dalla partitocrazia. Io, intanto, non sono affatto diventato un leghista, ma in questa lettera che pubblico dopo molto tempo non riscontro che lei abbia fatto passi avanti nel capir la situazione. «Periodo di serie difficoltà del Paese» mi pare una formula equivoca. Comunque, a dimostrarle come siate poco tolleranti con le opinioni altrui, voi antileghisti o leghisti, accludo qui la lettera del signor Alberto Grosso-Campana di Rivoli che, poiché non ho pubblicato due di quelli che lui chiama «arti¬ coli» ma che, via, sono semplicemente lettere, mi ha scritto per accusarmi (peggio ancora di lei, che mi accusò solo di essere leghista) di essere addirittura antileghista non per iniziativa mia, ma per compiacere la linea del giornale e attaccare l'asino dove vuole il padrone. Poco gentile signor Grosso-Campana, la sua lettera vorrebbe essere offensiva, ma è solo patetica. In che mondo angusto vive. Si può non essere leghisti o antileghisti senza bisogno di regolarsi secondo la legge «o con noi o contro di noi». [o.d.b.] Egr. Sig. Del Buono, premetto che ho verso di lei considerazione e stima, che le sono riconoscente per aver pubblicato 4 miei scritti negli ultimi 6 mesi e che infine da lei nulla posso pretendere nell'ambito dell'estemporaneo rapporto che unisce coloro che scrivono alla rubrìca a lei affidata. Psicologizzando quelli che le scrivono, credo di poter individuare due punti fermi: chi le scrive si aspetta di essere pubblicato e, se non viene pubblicato, reagisce in vari modi... Per quanto mi concerne mi sono chiesto: come mai ha pubblicato, nell'ordine, un articolo su Di Pietro, uno sulla crudeltà della guerra nell'ex Jugoslavia, uno sull'ingerenza dei vescovi nella politica interna italiana e uno sull'onorevole Andreotti e, poi, di colpo, ha cestinato i due ultimi articoli che ho inviato dove trattavo il tema delle recenti elezioni amministrative con esplicite valutazioni a favore della Lega Nord? Autonomamente sono pervenuto a una sola conclusione: sui miei due ultimi scritti è scattato il «pollice verso» semplicemente perché «non sono secondo la linea del giornale». Se così fosse ne sarei vivamente e tristamente dispiaciuto perché leggo La Stampa da decenni e lo considero un bel giornale anche se con qualche riserva e perché sarebbe ulteriormente provato che la libertà e l'obiettività dell'informazione è, ancora oggi, una pia illusione e infine perché lei, che considero persona di non comuni doti intellettuali e professionali, è obbligato, mi scusi l'espressione, «ad attaccare l'asino dove vuole il padrone». Mi ero illuso che un angolino innocente come la sua rubrica potesse essere uno specchio imparziale del pensiero della gente, ma debbo, salvo sue convincenti prove in contrario, purtroppo convincermi che non è e non può essere così. Pazienza. Ciononostante continuerò a conservarle considerazione e stima anche se velate dal dubbio e continuerò a scriverle ogniqualvolta mi parrà opportuno, serenamente disposto a non vedermi pubblicato come sicuramente accadrà per questa libera e per lei spiacevole missiva... Alberto Grosso-Campana, Rivoli

Persone citate: Alberto Grosso, Andreotti, Buttiglione, Del Buono, Di Pietro, Pippo Portoghese, Rocco Buttiglione

Luoghi citati: Italia, Jugoslavia, Sicilia, Torino