ALTO GRADIMENTO e la radio impazzi'

Fanfani egli altri: il primo Blob con ipolitici il tormentone. In spiaggia con Sgarambona: luglio 1970, arriva la banda Arbore-Boncompagni ALTO GRADIMENTO d e la radio wl ROMA I L dottor Ceprandi è desideri rato al banco-vendite...». I L'annuncio, registrato in _jUuna sala dell'aeroporto di Fiumicino, viene ripetuto unadue-trenta volte. Lo sconosciuto e ignaro dottor Ceprandi entra nella galleria dei personaggi di Alto Gradimento, la trasmissione-culto di Arbore e Boncompagni. E diventa famosissimo. E' il 1970. «Adottammo allora il "tormentone", che era stato un appannaggio esclusivo della pubblicità», ricorda Renzo Arbore, uno dei due «pierini» che misero a soqquadro i vertici Rai tempestati per «colpa» loro da mugugni, a volte anche da proteste e interrogazioni parlamentari, da parte degli ospiti illustri la cui voce era stata «rubata» e intercalata a banalità o stupidaggini provocando effetti comicissimi. «Interrompevamo la trasmissione di un disco, cosa che era per la gente un obbrobrio tremendo perché - mentre si ascoltava l'acuto meraviglioso del cantante di turno - arrivava il dottor Ceprandi. Onestamente abbiamo sempre avuto questo talento, di individuare il momento in cui non si deve interrompere la canzone, quando ad esempio attacca il ritornello», dice Renzo Arbore. La trasmissione era nata il 14 luglio, nell'anniversario della presa della Bastiglia. Ouel giorno dalle radio sparse su tutta Italia e sintonizzate sul secondo programma, dopo il giornale radio delle 12, uscirono rumori, sberleffi, dischi rotti, le canzoni di Orietta Berti sminuzzate, l'invito agli automobilisti a pigiare l'acceleratore ignorando i segnali stradali e le regole del codice, e - alla fine - il fracasso di un terrificante tamponamento. Era il biglietto da visita di una trasmissione, inventata giorno per giorno, animata dal solito gruppo di sconsiderati amici di Arbore e Boncompagni - in primis Mario Marenco e Giorgio Bracardi - e che sarebbe andata avanti per dieci anni. Ai funzionari del settore il promemoria del programma era stato presentato col titolo «Musica e puttanate». «Eravamo due ragazzotti vispi. E volevamo fare uno spettacolo di divertimento tout-court. Non pensavamo alla satira. La nostra intenzione era andare contro tendenza. Erano anni impegnati. La nostra trasgressione sarebbe stata il totale disimpegno. Non ne potevamo più di "un certo discorso", "nella misura in cui", "cioè", "a sinistra della sinistra della sinistra della sinistra". Anche per questo abbiamo avuto successo. Fra i nostri ascoltatori più accaniti c'erano i fedelissimi del Manifesto, di Lotta Continua, di Stella Rossa, del Quotidiano dei lavoratori. Questi ultimi mi prediligevano. E io ne ero orgoglioso. Così grato che poi sono diventato amico di molti di loro, che ora sono lavoratori in giornali di ben altra tendenza. Spendevano tutta la giornata in seriosissimi dibattiti. Poi, nel chiuso delle loro camerette, si divertivano per le nostre cazzate». Di tormentoni ogni estate ne nasceva uno. Il ((tormentone più tormentone» fu quello del colonnello Buttiglione. Telefonava di continuo. Come se parlasse con l'Osservatorio meteorologico. E avvertiva minutamente, ripetutamente, con descrizioni lunghissime e noiosissime, di immaginari terremoti, insussistenti pericoli, inezie ingigantite a rischi di calamità nazionali. «Eravamo implacabili. Lo facevamo intervenire anche venti-trenta volte nei cinquanta minuti di trasmissione. Confesso che quell'estate anch'io ebbi sogni agitati. Era tale l'ossessione di queste telefona- te che la notte sognavo che lui mi telefonava. Un giorno lo fece davvero. Chiamò, molto gentilmente, a via Asiago dove registravamo e gli passarono la sala dei tecnici. Disse: "Pronto, sono il colonnello Buttiglione. Vorrei parlare con il signor Arbore...", Un tecnico lo interruppe: "E io sono Scarpantibus" (uccello strano e bizzoso, della galleria di Marenco, ndr)». «Il colonnello capì che, purtroppo, il suo nome equivaleva a una specie di scherzo goliardico. Allora chiamò l'animiraglio Sleiter, che era capo ufficio stampa del ministero della Difesa, e chiese che questa tortura di essere sbertulato per il solo fatto di chiamarsi Buttiglione finisse. Noi lo abbandonammo per un po'. E l'anno successivo lo promuovemmo a generale Damigiana Cui sarebbe dovuto succedere il capo di stato maggiore La Botte. Promuovevamo il grado ma anche il cognome. Volevamo finire con un Cantina, o che ne so. Dopo di che il colonnello Buttiglione morì. Non l'abbiamo mai conosciuto, ma anche a distanza di anni nella nostra memoria siamo legati alla sua figura. Quando vedo la figlia, Angela, giornalista del Tgl, ne parlo con simpatia. Mi sento anche un po' in colpa. Però abbiamo chiarito che la cosa era assolutamente affettuosa. La nostra buona fede stava nel fatto che non sapevamo dell'esistenza di un vero colonnello Buttiglione. «L'unico che lo sapeva era Marenco. Lui era figlio di un colonnello della Finanza. Aveva sentito nominare il colonnello Buttiglione come altri colleghi del padre. E tirava fuori tutti gli alti gradi dell'esercito. Per far disperare il padre. Uno scherzo nello scherzo. Citava nomi in continuazione. A caso. 0 per vituperare "quello sfessato di Masturzo che non aveva la sciabola d'ordinanza...". La sua era una specie di vendetta postuma, che procurava al padre le proteste dei tenenti maggiori, dei tenenti colonnelli via via nominati. Per la verità io fui ricevuto dagli alti gradi della Finanza e ne ridevano tutti con grande simpatia». Mario Marenco si difende, con una delle sue smorfie di improbabile innocenza: «Non è vero. Negli Anni 50 sapevo che c'era un capitano Buttiglione. Dopo vent'anni, pensai, sarà diventato colonnello. Tutto qui. Così fu per gli altri personaggi. Io usavo la ripetitività per far bene entrare nella testa della gente una cosa. E introducevo un qualche paradosso. 0 qualcosa fuori posto, rispetto a delle autentiche verità. Aristogitone, il professore che diceva "tutti gli studenti tutti delinquenti", era il professore come lo vedevano i ragazzi in quegli anni. Anemo Cartone, il medico, spiegava come si squartano le persone sane e le si fa diventare malate. Crudeltà. Come quelle che vediamo in giro. Come fa il medico assassino. Se è bravo, se non toglie il fegato al paziente e glielo mette al malleolo, non fa ridere nessuno». Sempre lui, Marenco, inventò il venditore di spiaggia, tormentone di un'intera estate, che offriva cose orripilanti e disgustose: brodo caldo, grasso di maiale caldo, sugna, spremuta di frittura di pesce, cuscini da viaggio, verze calde... E la Sgarambona, dall'indimenticabile vocione roco. ((A nostra insaputa - ricorda Arbore era fidanzata mia e di Boncompagni. Puntava al matrimonio e si faceva smanazzare, manovrare dappertutto, in macchina... cose che a ciascuno di noi sono successe. Lei diceva: "Canaglione!". Finché rimase incinta. Di me o di Boncompagni? Incominciò un gran scaricabarile. E lei ci ossessionava per decidere il nome del nascituro. Non voleva un nome banale. Io decisi: si sarebbe chiamato Castellammare di Stabia!». Marenco sospira: «Tutti la usavano, come una pezza da piedi. Lei gridava a tutti: "Amoreel". Non c'era niente da ridere». La satira venne dopo. «Incominciammo a prendere in giro un certo sinistrismo - ricostruisce Arbore -. Con Verzo, un sessantottino romano di periferia, con idee confuse, con un gergo fisso: annamo, famo, er collettivo... Incominciammo a inserire i politici. Una frase qua una là presa da una tribuna politica o da un comizio. Un Blob ante litteram. Fanfani diceva "aria fresca", o "ne hanno fatte più di Bertoldo", "no, no, no, noo..." che noi gli facevamo ripetere a ogni sproposito. Ruggero Orlando diceva in maniera stentorea "esatto", e noi lo agganciavamo a grandi stupidaggini-verità come "oggi c'è il sole, quindi c'è più luce nella città". "Esatto!" confermava lui. Berlinguer non lo usammo mai: non c'era mai un momento di colore nella sua voce. Inutilizzabile. Pasquarelli ci attaccò, con un corsivo sul Popolo, per i tormentoni di Fanfani. Fu un piccolo casus. Ma l'Amintore chiamò Boncompagni, da aretino ad aretino. Gli disse: "Guardate che io mi diverto moltissimo, fate quello che volete!"». Il rischio che i politici protestassero allarmò la brigata. Che intanto mandava in onda la gallina Rosamunda, il nostalgico Catenacci, il comandante Navarro da otto anni dimenticato in orbita in una navicella spaziale, il pastore analfabeta (Bracardi) che sapeva dire soltanto «li pecuri, li pecuri» (aveva prestato le sue pecore per filmare gli intervalli tv e non gliele avevano restituite tutte), Max Vinella (sempre Bracardi: il cronista di risse di periferia, per cui la forza pubblica interveniva a ritirare al massimo la patente: «Chiappala, chiappala!» era il suo tormentone). E «Patroclo», l'urlo che Bracardi ripeteva, facendo vibrare tutti i microfoni Rai (((Aveva sentito uno vestito da comparsa romana a Cine- città, che chiamava un amico. Ne fu incantato. Abbiamo fatto anche un 45 giri: due facciate con tutte le varianti di questo grido. Il disco più bizzarro nella storia del vinile. Il più inutile. E con l'etichetta di Giuseppe Verdi, la Ricordi»). All'inizio coi politici c'erano andati cauti. Sì, avevano inventato l'on. Pacchettini, ministro dell'Imballaggio. Poi si erano fatti coraggio. Scoprirono che si potevano impunemente sfotticchiare i ministri veri, quando sembrava inimmaginabile anche solo nominare i Fanfani, gli Andreotti. La censura mieteva la sue vittime. «Ma noi arrivammo all'osceno, a un repertorio grandioso di pernacchie - nel giubilo degli ascoltatori - da quelle più delicate alle più scurrili. Arrivammo alla prima copula in diretta. Io e Boncompagni. Lui faceva un'attempata presentatrice Rai, la Bastogi. Io in diretta effettuavo una frettolosissima copula con tutta la liturgia vocale della copula medesima, che si concludeva sempre con un tormentone della signora Bastogi: "No, lì no".». Quando la satira politica incominciò a occupare sempre più spazio, Arbore si presentò dai segretari di partito a chiedere una regolare autorizzazione. Tanassi neanche lo ricevette: «Dopo decenni di democrazia, figurarsi se non si può fare satira!», gli fece dire. Da Almirante andò in doppiopetto gessato: «I ragazzi del msi, credendo che fossi uno dei loro, mi accolsero col saluto romano. Il segretario fu molto simpatico. Fece l'imitazione della Sgarambona. Disse: "Tutti abbiamo avuto una Sgarambona nella nostra vita!". Da Covelli andai con la cravatta blu Savoia e il distintivo del partito nazionale monarchico. Professai fede monarchica. Anzi, per giustificare il piccolo ritardo con cui ero arrivato, diedi la colpa ai parcheggi della Repubblica che erano - dissi - di gran lunga peggiori di quelli del Regno. Malagodi mi fece penare un po', benché avessi professato fede liberale. Disse: "Se lei mi chiede che cosa penso di una canzone di Peppino di Capri e mi fa dire "questo è un problema molto grave per il nostro Paese", io faccio la figura del cretino. Ne convenni. Ma ottenni l'autorizzazione». A ricordare quella lunga carrellata attravèrso gli Anni 70, Arbore ancora si diverte. Fu una grande palestra professionale. Un modo di fare spettacolo, che poi è rimasto quello anche sul palcoscenico televisivo. Un grande successo. «C'è gente che mi ferma e mi dice: "Io sono uno di Alto Gradimento", come se fosse una congregazione, una setta. C'erano chirurghi - lo abbiamo saputo dopo - che operavano con la radio accesa. C'erano professori universitari che chiudevano i libri e dicevano: "Basta, andiamo a sentire Alto Gradimento". C'era chi rideva solo, in macchina: e questa è la gratificazione maggiore cui un comico può aspirare. Non sempre è stato facile. Negli anni di piombo c'era ogni giorno un morto sul giornale. Qualche volta era faticoso anche per noi far sorridere la gente dopo un giornale radio che dava certe notizie. Proprio per questo forse abbiamo avuto tutto quel successo. La trasmissione era una specie di oasi del sorriso, quando sembrava che il sorriso fosse una colpa. Soprattutto se non veniva da sinistra, da Dario Fo ad esempio. Il successo era visto come l'asservimento al sistema. Per l'ideologia dominante tutto era sospetto di commerciabilità. Per bollare un libro, un disco, si diceva: è commerciale». L'uccellaccio Scarpantibus, il fascista Catenacci e la signora Bastogi Le assurde storie del cronista Vinella 77 «colonnello Buttiglione» esisteva davvero: telefonò per protestare. E divenne il generale Damigiani Fanfani egli altri: il primo Blob con ipolitici e la radio o che lui mi lo fece davgentilmente, istravamo e dei tecnici. l colonnello rlare con il ecnico lo in Scarpantibizzoso, del ndr)». he, purtropaleva a una rdico. Allora Sleiter, che pa del mini chiese che e sbertulato marsi Buttibbandonamo successivo enerale Dadovuto sucmaggiore La il grado ma vamo finire ne so. Dopo Buttiglione ai conosciunza di anni siamo legati o vedo la fita del Tgl, a. Mi sento Però abbiaa era assolu nostra buo che non sa di un vero eva era Maun colonnela sentito no Buttiglione padre. E tigradi dell'eare il padre. erzo. Citava e. A caso. 0 o sfessato di va la sciabosua era una ostuma, che proteste dei tenenti conati. Per la agli alti gradevano tutti difende, con di improbaè vero. 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Luoghi citati: Castellammare Di Stabia, Italia, Roma